I diritti negati dei popoli indigeni in Canada

La popolazione indigena del Canada è costantemente vittima di razzismo, in ambito istituzionale, sanitario, legale e ambientale. Il racconto delle vittime di discriminazioni.


Sebbene il Canada sia spesso dipinto come un Paese idilliaco, la realtà mostra che in termini di razzismo non è tanto diverso dai vicini Stati Uniti. Negli ultimi anni si sono verificati infatti diversi episodi di razzismo nei confronti della popolazione indigena, che non risulta essere salvaguardata. Gli indigeni costituiscono il 5 per cento della popolazione canadese, una minoranza che però è spesso presa di mira in molti ambiti. 

Nonostante ciò, gli indigeni compongono il 30 per cento dei carcerati canadesi; percentuale che aumenta nelle province di Manitoba, Saskatchewan e Alberta fino al 54 per cento. Ciò accade principalmente per il trattamento della polizia nei confronti di chi è indigeno in Canada, così come succede negli Stati Uniti con gli afrodiscendenti.

Secondo un’analisi del 2017, un indigeno in Canada ha 10 volte più probabilità di essere picchiato e ucciso dalla polizia rispetto a una persona bianca. In soli tre anni, dal 2017 al 2020, sono stati uccisi dalla polizia 25 indigeni.

Uno dei casi più eclatanti è quello della famiglia del giovane Colten Boushie, nel 2016. Quest’ultimo era stato sorpreso nell’atrio di una proprietà privata ed era stato colpito alla testa da un colpo di pistola. Il giovane si trovava lì con degli amici perchè doveva riparare una ruota bucata della macchina. Invece i proprietari di casa credevano che avrebbe rubato il loro veicolo e per questo avevano iniziato a sparare. Il signore, un contadino bianco, aveva dichiarato che si era trattato di un incidente dovuto a un malfunzionamento della propria arma.

Nuove prove e testimonianze mostrano che la polizia è arrivata a casa della madre per annunciare la morte del figlio mostrando un comportamento scortese e razzista. Dopo averle chiesto se avesse bevuto, hanno provveduto a perquisirle la casa, urlandole di ricomporsi dopo aver appreso la notizia. 

Debbie Baptise, la madre del giovane, ha dichiarato che «Non ci faremo trattare come se non contassimo nulla, non meritavo di essere trattata così». In aggiunta, secondo le nuove accuse, i poliziotti affidati al caso avrebbero distrutto alcune prove della scena del crimine. A questo proposito, il primo ministro Justin Trudeau ha affermato che questo trattamento è inaccettabile, parte di un razzismo sistemico.

Lo scorso giugno 2020, altra vittima del razzismo istituzionale è stata Chantel Moore, colpita con un proiettile dalla polizia che, recatasi nella sua abitazione per un’ispezione, si era sentita minacciata da un coltello. Esattamente quattro giorni dopo, Rodney Levi fu ucciso da un poliziotto con due colpi di pistola al petto, a seguito di una chiamata sospetta. 

Sempre nello stesso periodo, anche la sedicenne Eishia Hudson morì per mano di un poliziotto. La ragazza, insieme ad altri giovani, avrebbe derubato un negozio di alcolici e mentre si trovava alla guida di un SUV era stata colpita da un proiettile, morendo in ospedale.

Il razzismo che gli indigeni subiscono non è solo istituzionale, ma anche ambientale. Molte fabbriche e industrie vengono posizionate in aree popolate da diverse minoranze, esponendole a un rischio più elevato di inquinamento. Per esempio, una comunità di indigeni in Ontario soffre ancora per la contaminazione di mercurio del 1960. Per tale ragione, il Canada raccoglierà dati precisi sull’impatto che queste industrie hanno sulle minoranze indigene.
Sempre sulla scia dell’impatto sanitario, risalgono a qualche mese fa le prime denunce contro il razzismo nella sanità canadese. In un report pubblicato a novembre 2020, si riportano numerosi maltrattamenti subiti da diversi pazienti indigeni nella provincia della British Columbia.

Secondo un altro report, inoltre, la comunità indigena ha meno accesso ai servizi sanitari, ai dottori di famiglia e alle cure per il cancro. Grazie alla nuova app Safespace, adesso molti cittadini indigeni hanno la possibilità di denunciare questi episodi di razzismo all’interno degli ospedali, anche anonimamente. Inoltre, operatori sanitari della comunità indigena affermano di non sentirsi sicuri con certi colleghi e di essere stati spesso abusati verbalmente.

La pandemia da Covid-19 ha acuito la problematica, rendendo più difficile l’accesso all’assistenza medica; le stesse ricerche sulla salute degli indigeni sono notevolmente ridotte. Molte persone indigene sono state contagiate dal Covid e la causa principale è la condizione in cui alcuni di loro sono costretti a vivere. Per altre tribù indigene una grande difficoltà è stata quella della traduzione di informazioni e messaggi importanti, poiché senza interpreti adatti la comunicazione non è potuta avvenire correttamente. 

Negli Stati Uniti, Victor Lopez Carmen, nativo americano laureato ad Harvard, è riuscito a fornire delle traduzioni adeguate alla popolazione indigena, insieme a un altro team di supporto. Un piccolo passo per l’inclusione di una minoranza, in attesa di un trattamento migliore da parte delle istituzioni. 

Vi è dunque ancora molto da fare per salvaguardare la comunità indigena da razzismo e povertà, dalla perdita delle loro tradizioni e della loro lingua. Da poco, Sheryl Lightfoot è diventata la prima donna indigena canadese a rappresentare il Canada alle Nazioni Unite. Si dovrà occupare proprio dell’implementazione della Dichiarazione dei Diritti delle Persone Indigene e assicurare che questi principi vengano messi in atto.

«La soluzione è scoprire quali sono i problemi e cosa pensano le persone indigene. Dobbiamo conoscere i nostri diritti e farli rispettare ogni giorno» ha dichiarato la professoressa Lightfoot, augurandosi un futuro migliore per la sua gente.


Immagine in copertina di Shawn Harquail