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Zitti e buoni, il Festival di Sanremo è finito

I Maneskin trionfano al Festival di Sanremo 2021, il Festival della pandemia che verrà ricordato per le misure anticovid e per delle canzoni di giovani per giovani.


Dopo varie polemiche e difficoltà, alla fine il “Festival della pandemia” ha preso vita, concludendosi proprio ieri notte. Un Sanremo senza dubbio particolare che verrà ricordato per le misure anticovid, l’assenza di pubblico e il cast molto giovane. La 71esima edizione ha visto esibirsi ben 26 cantanti in gara, che hanno proposto canzoni che vanno dalle classiche “ballad” all’indie pop. I vincitori sono stati la band Maneskin con il brano rock Zitti e buoni, una ventata di aria fresca e diversità nella kermesse. Al secondo posto il duo Fedez-Michelin e al terzo Ermal Meta, che ha ricevuto anche il premio “Giancarlo Bigazzi” per la miglior composizione musicale. 

La più giovane, Madame, appena 19 anni, è stata la vincitrice del premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo per Voce. Invece Willie Peyote, con il suo rap ironico Mai dire mai ha vinto il premio della critica “Mia Martini”. Il premio “Lucio Dalla” assegnato dalla Sala Stampa Radio-Tv-Web è stato assegnato a Colapesce e DiMartino, duo di cantautori siciliani arrivati quarti con Musica leggerissima, un brano che ha fatto divertire parlando del legame della vita con la musica.

Tra i veterani Orietta Berti, che ha presentato un brano perfetto per lei in cui sfoggia le sue doti vocali, e Renga un po’ la brutta copia di sé stesso. Max Gazzè, invece, ha gareggiato con il brano Il farmacista, musicalmente forse un po’ troppo simile ad altri suoi brani, ma ha saputo trasformarsi ogni sera, fino a volare sabato notte tra le poltrone dell’Ariston, nei panni di uno stravagante Superman.

Amadeus, direttore artistico anche per questa edizione del Festival, ha anche dato spazio a cantanti della scena indie come La Rappresentante di Lista, il duo Coma_Cose e il giovane romano Fulminacci, con delle proposte molto interessanti. 

Non sono mancati brani più “sanremesi”, come le ballad di Arisa, Noemi o Annalisa, tre valide cantanti che forse questa volta non avevano la canzone giusta. Apparentemente un mix perfetto di vari generi (anche il soul con il bravissimo Ghemon) che però ha dato l’impressione che la qualità non fosse così alta, o che appartenesse a pochi nomi.

Irama, unico concorrente che è dovuto rimanere in quarantena per tutte le sere del Festival a causa della positività di due colleghi dello staff, ha partecipato alla gara con il video delle prove generali mentre lui è rimasto in albergo, simbolo dello smart working musicale. 

Per quanto riguarda le nuove proposte, ha vinto Gaudiano con il brano Polvere da sparo, seguito al secondo posto da Davide Shorty con il brano Regina. Il livello molto alto, qui in particolare, lascia spazio al dubbio che alcuni giovani avrebbero tranquillamente potuto partecipare al posto di alcuni Big, i quali avrebbero avuto ancora bisogno di un po’ di gavetta.

Alla conduzione, Amadeus e Fiorello sono stati affiancati da Ibrahimovic e da una presentatrice diversa ogni sera. Si sono alternate l’attrice Matilda De Angelis, la cantante Elodie, la modella Vittoria Ceretti e Barbara Palombelli, Beatrice Venezi e Giovanna Botteri. Fiorello ha vestito i panni di autentico showman con Amadeus, ma purtroppo non tutti i siparietti hanno funzionato, con alcuni momenti più “lenti”, troppo lunghi o semplicemente scritti male.

Gli interventi e i discorsi al pubblico

Il miglior intervento è stato sicuramente quello di Elodie, immeritatamente trasmesso all’una di notte. Con molta semplicità, la cantante romana ha raccontato delle sue origini, del non riuscire ad arrivare a fine mese, del non poter sognare perché è necessario sopravvivere. «Se nasci in certi contesti devi lavorare di più degli altri per ottenere ciò che dovresti già avere», una frase emblematica di una realtà ingiusta che esiste quotidianamente. «Non bisogna sempre sentirsi all’altezza delle cose, l’importante è avere il coraggio di farle e poi si aggiusta in corsa», un messaggio che molte più persone avrebbero dovuto ascoltare.

A questo discorso sincero e, per certi versi, intimo si contrappone quello di Barbara Palombelli, che nel suo monologo inserisce un’accozzaglia di luoghi comuni: invita le donne a «studiare fino a piangere» e a continuare a sorridere e tenere duro per essere delle «vere donne»

Purtroppo invitare le donne non è bastato per credere che questo Festival sia stato profondamente femminista, se ancora perfino una direttrice d’orchestra come Beatrice Venezi sostiene che definirsi «direttore sia meglio» perché contano le competenze (qui si potrebbe aprire un grande capitolo). 

Quello, invece, che sarebbe dovuto essere il messaggio principale del Festival è stato relegato in secondo piano. L’appello per i diritti dei lavoratori dello spettacolo non è stato inserito bene in scaletta, facendo parlare Alessandra Amoroso e Matilde Gioli soltanto nella quarta serata all’una di notte. Fortunatamente Lo stato sociale ha riaperto il discorso portando sul palco dell’Ariston, durante la serata delle cover, proprio i lavoratori dello spettacolo, con Emanuela Fanelli e Francesco Pannofino. 

Spazi mancati probabilmente per dare più spazio al grandissimo Ibrahimovic, il cui contributo è stato quello di ripetere tutte le sere «Questo è il mio Festival» o «Dirigo io il Festival». Non essendo questo il suo mestiere, gli autori avrebbero fatto meglio a scrivere un monologo e un testo decente per evitarci battute imbarazzanti. Altre presentatrici avrebbero invece meritato più tempo, dato che, anche se per poco, avevano già dimostrato di essere molto in gamba e di avere qualcosa da dire.

Festival ringiovanito 

Una figura costante che però ha dato un valore aggiunto a questa edizione è stato senza dubbio Achille Lauro. Il performer ha regalato cinque quadri diversi ogni sera, interpretando le sue canzoni in chiave diversa, mandando un significato ben preciso attraverso le sue esibizioni. Un vero showman capace di mettersi in gioco con diversi costumi, da Mina a una statua greca e che fino all’ultimo si è dimostrato originale, sorprendente e molto umile. 

Per la maggior parte degli ospiti Sanremo si è dimostrato «molto italiano» (citando Boris). D’altronde, quasi tutti sono stati cantanti nostrani come Negramaro, Loredana Bertè, Mahmood e Diodato, quest’ultimo ad aprire il Festival con la sua Fai rumore.

Nonostante alle 22 tutta Italia fosse costretta a rimanere in casa, gli ascolti sono stati più bassi del previsto. Un Festival con uno share in media del 40 per cento che però ha fatto il boom nelle interazioni social, soprattutto su Twitter. Un segnale del fatto che Sanremo sta diventando sempre più giovane, non solo per i concorrenti ma anche per il pubblico.

Lo spettacolo non è mancato. Canzoni e ospiti degni di nota hanno comunque lasciato una sensazione quasi di “vuoto”, e non solo per l’assenza di pubblico. I momenti (potenzialmente) migliori sono stati relegati a ruota di scorta e in orari improponibili, o comunque non sfruttati nel loro potenziale. Troppi siparietti inutili, forse. Amadeus, intanto, ha annunciato che non presenterà il Festival di Sanremo l’anno prossimo. Senza dubbio si prende il merito di essere riuscito ad organizzarlo nonostante tutto, permettendo a tantissimi artisti, tecnici e chiunque lavori dietro le quinte di tornare a calcare i palchi.

Il Festival, di certo, ha messo un po’ di musica leggera «per non cadere dentro il buco nero» della pandemia, citando Colapesce e DiMartino. Però, come direbbe Arisa, «potevi fare di più».