Samira Zargari, il rapporto tra donne e sport in Iran

Il caso di Samira Zargari, allenatrice di sci iraniana costretta a rinunciare ai mondiali di Cortina, rappresenta l’ennesima sconfitta per i diritti umani.


Samira Zargari, commissaria tecnica della nazionale iraniana di sci, non ha potuto prendere parte ai mondiali di Cortina 2021 appena terminati. A vietarglielo è stato il marito, in ossequio alla legge vigente in Iran. La vicenda di Zargari riporta in primo piano una problematica per niente nuova, dato che quella del rapporto controverso tra donne e sport in Iran è una storia che si ripete da anni. 

Secondo le leggi in vigore nella repubblica islamica, le donne devono avere il permesso dei loro mariti per ottenere un passaporto e, anche qualora siano in possesso del documento, gli uomini possono di volta in volta impedire loro di viaggiare. Sebbene i funzionari della federazione di sci iraniana abbiano provato a persuadere il marito di Samira Zargari a cambiare la sua assurda posizione, la donna è rimasta a casa. 

La repubblica islamica dell’Iran si è dimostrata da sempre poco propensa a farsi garante dei diritti basilari delle donne. Nonostante i notevoli progressi registrati negli ultimi anni, l’Iran non è ancora al passo con i diritti sanciti dagli standard internazionali. Nascere donna in Iran significa crescere in una società profondamente maschilista, in cui le donne hanno un ruolo secondario e dove per affermarsi devono sempre dimostrare di essere davvero all’altezza. 

Le donne iraniane non possono viaggiare senza il permesso del padre o del marito, non possono scegliere chi sposare, non possono uscire senza l’hijab: dunque, non possono essere realmente libere. Le donne iraniane possono invece subire violenza di genere, subire un matrimonio imposto dal padre, subire svariati divieti quotidiani, tanto più che nel codice penale iraniano non è presente un vero e proprio reato di violenza contro le donne e ragazze per motivi di genere, compresa la violenza domestica e i matrimoni precoci e/o forzati.

Tiziana Ciavardini, antropologa culturale e giornalista italiana, nel suo libro “Ti racconto l’Iran. I miei anni in terra di Persia“, descrive la complessità della terra di Persia, facendo emergere tutta la bellezza e la spiritualità che si respirano dietro a un sistema legislativo non propriamente all’avanguardia. Come afferma l’autrice, per una donna in Iran la scelta può andare in due direzioni: essere integralista religiosa e quindi contraria all’ammodernamento oppure non rassegnarsi a essere vittima della complessità del sistema, ribellandosi a rischio della propria vita. 

samira zargari
Tiziana Ciavardini

Ciavardini spiega inoltre come gli ostacoli all’affermazione femminile in Iran nascano da un fattore politico e religioso, precisando tuttavia quanto sia possibile trovare radici più profonde nella struttura mentale e sociale, identificata nel concetto di cultura patriarcale, ossia in quel sistema di valori, norme e costruzioni sociali che confinano la donna nella sfera domestica. 

Un intero capitolo del libro è dedicato al tema della presenza delle donne negli stadi, mostrando quindi come alcuni semplici gesti della vita quotidiana occidentale non siano affatto scontati, assimilati e consentiti in Iran. 

Il dibattito sulla presenza delle donne allo stadio è emerso in Iran già nel 2014 grazie al caso di Ghoncheh Ghavami, giovane attivista arrestata per aver assistito a una partita di volley e in seguito rilasciata dietro cauzione. L’eco della vicenda e il movimento di protesta che ne scaturì fu tale che le Nazioni Unite ritennero opportuno parlarne nel corso della sessantanovesima sessione dell’Assemblea Generale. Tuttavia, nonostante le proteste vibranti, in questi anni le donne iraniane sono rimaste fuori dagli eventi sportivi, se non per rare eccezioni.

La svolta si è avuta nel 2019, quando Sahar Khodayari – tifosa dell’Esteghlal – venuta a conoscenza del rischio di una condanna a sei mesi di carcere per aver tentato di entrare in uno stadio a vedere una partita della propria squadra del cuore, si suicidò dandosi fuoco. La giovane ragazza era stata individuata dalla polizia nonostante si fosse travestita da uomo, con una parrucca blu (colore sociale dell’Esteghlal) e un cappotto lungo. Dopo quel tragico episodio 3500 donne poterono accedere per la prima volta allo stadio e assistere a un incontro valido per le qualificazioni ai mondiali. 

Tornando alla vicenda di Samira Zargari, occorre sottolineare come non si tratti della prima atleta iraniana costretta a subire il sistema di leggi che escludono le donne dallo svolgimento di eventi sportivi. Prima di lei, infatti, nel 2015, Niloufar Ardalan, capitano della nazionale femminile di calcio a cinque, non poté seguire la squadra in Coppa d’Asia perchè il marito le impedì di ottenere il passaporto. Il suo viaggio fu consentito dall’intervento della magistratura iraniana, dal momento che la legge concede al pubblico ministero, in caso di emergenza, di decidere sul rilascio del passaporto alle donne. 

Nel 2017, invece, fu Zahra Nemati, medaglia d’oro di tiro con l’arco ai Giochi Paralimpici, ad avere proibita dal marito la possibilità di competere all’estero; anche in questo caso le autorità iraniane intervennero per consentire all’atleta di viaggiare. 

«Non puoi fare qualcosa per motivi egoistici per mettere in pericolo gli interessi della nazione», affermò Nemati in un’intervista rilasciata al Centro per i diritti umani in Iran (CHRI) l’8 maggio del 2017. « Quando viaggio in altri paesi, rappresento le donne disabili del mio paese e porto a casa le medaglie. Il desiderio di mio marito di certo non mi influenzerà perché non viaggio per motivi personali, ma per un obiettivo superiore ai problemi coniugali di una coppia». 

Per donne come Samira, Niloufar o Zahra l’unica speranza è quella di appellarsi all’interesse nazionale poiché il loro interesse personale – di donne ancor prima che di atlete – non ha alcun valore e non viene minimamente tutelato. La storia di Samira Zargari, come è evidente, rientra in quel calderone di problematiche di genere che insorgono quando ci si scontra col sistema giuridico della repubblica islamica dell’Iran. 

Scardinare un complesso arcaico di leggi, come quello iraniano, avvicinandolo al rispetto degli standard internazionali dei diritti umani sarebbe interesse dell’intera comunità internazionale. Gli ostacoli da abbattere non riguardano soltanto la religione bensì l’impianto politico e la sua formazione insieme alla struttura culturale.

Il rispetto dei diritti umani non può essere assolutamente limitato da questioni di genere in una società all’avanguardia. Risulta quindi fondamentale un impegno morale da parte di tutti nel farsi portavoce di episodi come quello di Samira Zargari, così da spingere paesi come l’Iran ad adeguarsi al più presto ai valori di libertà e di uguaglianza vigenti nella maggior parte del mondo. 


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