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L’importanza del viaggio di Papa Francesco in Iraq

Si è concluso domenica il tour di Papa Francesco nei luoghi simbolo dell’Iraq. Dall’incontro con Al Sistani al passaggio nelle città devastate dallo Stato Islamico, il papa fa diplomazia e segna la storia.


Salam, salam, salam, Allah maakum. “Pace, pace, pace. Dio è con voi”: con questo saluto Papa Francesco ha salutato la folla che ha partecipato alla messa a Erbil domenica 7 marzo, mentre si congeda dal popolo iracheno a conclusione di un viaggio che può essere definito storico. Un viaggio fortemente voluto che né la pandemia né gli attentati terroristici contro le basi militari che ospitano soldati occidentali, avvenuti solo pochi giorni prima, sono riusciti a fermare. «Il popolo iracheno ci aspetta – ha ricordato il papa – aspettava San Giovanni Paolo II, al quale è stato vietato di andare. Non si può deludere un popolo per la seconda volta».

E non solo non delude, ma in un momento in cui il mondo è ripiegato su se stesso a causa del covid accende i riflettori su un popolo che è stato martoriato dalla guerra, dalla crisi economica, abbandonato e dimenticato.

Il viaggio pastorale di Bergoglio, una visita di quattro giorni che ha coperto cinque province del Paese mediorientale, è stato definito storico ed è significativo per diverse ragioni, non solo religiose ma anche politiche. Innanzitutto è il primo viaggio di un pontefice nella terra di Abramo, il padre fondatore delle tre religioni monoteistiche. L’obiettivo era far sentire la vicinanza alla minoranza cristiana presente nel Paese e decimata dai conflitti e dallo Stato islamico e favorire il dialogo interreligioso tra l’islam e il cristianesimo, ma anche tra le due grandi correnti dell’islam: i  sunniti e gli sciiti.

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Gli incontri a Baghdad e Najaf

La prima tappa del viaggio è stata Bahgdad. Papa Francesco ha celebrato la messa nella cattedrale di Nostra Signora della Salvezza, in cui nel 2010 furono uccisi 48 fedeli in un attentato e ha sottolineato che «la diversità religiosa, culturale ed etnica, che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare; oggi l’Iraq è chiamato a mostrare a tutti specialmente in Medio Oriente, che le differenze, anziché dar luogo a conflitti, devono cooperare in armonia nella vita civile». I cristiani presenti nel Paese dall’età apostolica rappresentano una “ricca eredità”.

Ma fa appello alla tutela di tutte le minoranze etniche e religiose presenti in Iraq, e in particolare ricorda la comunità yazida, vittima delle persecuzioni e di un vero e proprio genocidio perpetrato dai tagliagole dello Stato Islamico

Ma è la giornata di sabato e l’incontro con il leader sciita Al Sistani a dare la misura dell’importanza storica di questo viaggio. Francesco si reca a sud dell’Iraq, nel cuore dell’Islam sciita, a Najaf, città santa per gli sciiti, dove incontra uno dei leader religiosi più rispettati da questo ramo dell’Islam, l’ayatollah Ali Al Sistani

Insieme contro Isis

L’Ayatollah non è solo la figura spirituale di spicco di tutto l’Iraq (Paese a maggioranza sciita), ma è stato anche determinante in alcuni importanti passaggi storici: nel 2014 infatti, nel momento di massima espansione di Daesh in Iraq, emanò una fatwa con cui chiedeva al popolo di combatterlo. Nel 2005, dopo la deposizione di Saddam Hussein, invitò gli iracheni a partecipare alle elezioni e nel 2019, mentre il Paese era attraversato da forti proteste contro il governo, intervenne spingendo per le dimissioni del primo ministro iracheno. 

Il papa ha voluto fortemente ringraziare il leader religioso per il contributo dato nella lotta all’Isis e per aver “alzato la voce in difesa dei più deboli”. Parole importanti anche da parte di Al Sastani che ha voluto rassicurare il pontefice sul suo impegno affinché «i cittadini cristiani vivano come tutti gli iracheni in pace e in sicurezza, con tutti i loro diritti costituzionali».

L’importanza di questo incontro sta tutto in un colloquio che va oltre una generica idea di fratellanza tra i popoli, ma che prova a calarla nella realtà coniugandola ai diritti civili e politici nella costruzione di un processo di pacificazione concreto su una terra che per troppo tempo ha vissuto la guerra e la violenza. 

Non solo religione, ma attenta diplomazia

Al di là del profondo messaggio di pace per il popolo iracheno, il Papa ha scelto come interlocutore principale con il mondo sciita Al Sistani, seguace di una tradizione che persegue una certa divisione tra potere religioso e potere politico, ben lontana dall’idea iraniana di totale commistione tra le due sfere e di potere assoluto da parte del clero. 

Iran, Paese anch’esso a maggioranza sciita, che di certo non guarda con troppa simpatia ad Al Sistani e che vorrebbe continuare a esercitare la sua influenza attraverso le milizie presenti sul territorio dai tempi della lotta all’Isis sul più debole Paese vicino. 

Il pontefice potrebbe però aver aperto la strada a un dialogo con il mondo musulmano sciita proprio come è già avvenuto con il mondo sunnita, concretizzatosi con la Dichiarazione sulla fratellanza umana firmata congiuntamente nel 2019 dal Papa e dall’Immam Ahemed Al Tayyeb, autorità massima dell’Islam sunnita. 

All’indomani del viaggio in Iraq tutti i commentatori concordano nella volontà del pontefice di voler fare da ponte per un maggiore dialogo anche tra le due principali correnti religiose del mondo islamico.

Da Ur alle rovine di Mosul

Dopo Najaf, altra tappa importante è stata quella nella piana di Ur. Ur è un luogo fortemente emblematico, la terra in cui il padre delle tre grandi religioni monoteiste, Abramo, secondo la tradizione, parlò per la prima volta con Dio. A Ur si è svolto un coinvolgente incontro interreligioso espressione della varietà di tradizioni religiose che si intrecciano dagli albori della civiltà nella storia dell’Iraq

La trasferta del Papa si è conclusa domenica con un commovente passaggio tra le rovine lasciate dall’Isis in alcuni luoghi simbolo dell’Iraq settentrionale: Mosul, l’ex capitale del Califfato; Qaraqosh, uno dei villaggi a maggioranza cristiana più devastati dalla furia di Daesh ed Erbil, nel kurdistan iracheno, dove migliaia di cristiani hanno trovato rifugio. 

I numeri sulla presenza di popolazione cristiana sono notevolmente cambiati dalla guerra contro Saddam Hussein voluta dagli Usa per scovare le fantomatiche armi nucleari del Paese. Nel 2003 i cristiani in Iraq erano più di un milione, oggi a causa delle guerre, delle persecuzioni e la conseguente fuga nei paesi limitrofi ne sono rimasti circa 250 mila, la maggior parte dei quali sono concentrati nella zona di Ninive e del Kurdistan iracheno. 

La scelta di Papa Francesco di voler affrontare a ogni costo questo viaggio in Iraq non era priva di rischi. La recrudescenza del virus in un Paese in cui il sistema sanitario è praticamente inesistente, le tensioni tra Iran e Stati Uniti, la presenza dello Stato Islamico sul territorio, erano motivi sufficienti per fare in modo che in molti scoraggiassero la volontà del pontefice di partire. 

Ma ha vinto lo spirito pastorale del Papa e la volontà di fare la sua parte nella pacificazione di un Paese dilaniato dai conflitti e nella costruzione di un dialogo interreligioso. È chiaro, la visita del Papa non potrà essere la panacea di tutti i mali, ma è certamente molto di più di quello che fanno tutte le potenze occidentali in cui si continua a parlare di pace e di diritti con un certo doppiopesismo e  continuando la vendita di armi che piuttosto che pace portano solo morte.