licenziamenti illegittimi

Le tutele dei licenziamenti illegittimi. Profili di incostituzionalità

Chiamata a esprimersi sulla questione di legittimità in riferimento alle tutele dei licenziamenti illegittimi, la Corte Costituzionale dopo il Jobs Act boccia anche la Legge Fornero.

Che la normativa riguardante i licenziamenti individuali illegittimi sia articolata e frazionata, a seguito di modifiche legislative e sulla base dei diversi elementi che ne caratterizzano il tipo, è un dato di fatto che mette a dura prova la memoria dei professionisti del settore e porta sempre grande confusione alle aziende. 

Nel tempo, le esigenze di tutela di fronte a licenziamenti individuali non giustificati, se da una parte hanno condotto il legislatore ad articolare le sanzioni e ad allargare la copertura dei casi, dall’altra lo hanno spinto a rivederne i contenuti di fronte alla costante richiesta da parte degli imprenditori di potere prevedere un quantum certo, da contabilizzare, nel caso di vertenze aperte con ex dipendenti licenziati.

Su questa scia, sia la riforma Fornero (L. 92/2012) che il Jobs Act (D.lgs 23/2015) hanno inciso fortemente sull’argomento, ridisegnando procedure, tutele e sanzioni. Nello specifico, la L. 92/2012 ha modificato l’art. 18 della L. 300/1970, introducendo un sistema che va ad individuare, in primo luogo, il concetto dimensionale cui la disciplina si riferisce, ovvero aziende con numero di dipendenti superiori a quindici; in secondo luogo, il tipo di licenziamento: intimato oralmente, disciplinare, discriminatorio, per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo e oggettivo e, nel caso di illegittimità, la sua tutela

Sulla base del motivo addotto dal datore di lavoro e ritenuto insussistente dal giudice, quest’ultimo potrà individuare un risarcimento, più o meno consistente, così come indicato dal legislatore. Su una simile linea si muove anche il D.lgs 23/2015 che, invece, trova applicazione per quelle aziende con più di quindici dipendenti che abbiano assunto a partire dal 7 marzo 2015 con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. 

La previsione delle tutele per il licenziamento illegittimo, a distanza di anni, ha iniziato a mostrare i propri limiti. Il primo a essere colpito è stato il D.lgs 23/2015, con la sentenza n. 194 del 8 novembre 2018 della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’art. 3 nella parte in cui si prevede, in caso in cui non ricorrano gli estremi del giustificato motivo o della giusta causa, l’estinzione del rapporto di lavoro e il riconoscimento di un’indennità pari a due mensilità per ogni anno di servizio prestato. 

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Una delle motivazioni, secondo la Corte Costituzionale, è da ricercare nella non conformità con l’art. 3 co. 1 Cost., ossia nella evidente violazione del principio di uguaglianza in quanto l’indennizzo stabilito secondo il solo criterio di anzianità porterebbe a trattamenti differenziati tra lavoratori in termini di tempi e disciplina applicata. L’anzianità aziendale non è l’unico elemento, ma uno degli elementi che il giudice deve tenere in considerazione nell’individuazione dell’indennità da riconoscere al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo

Due anni dopo la Corte Costituzionale ha bocciato anche l’art. 4 del D.lgs 23/2014, in relazione alla tutela del licenziamento illegittimo per vizi formali e procedurali.  Anche in questo caso l’incostituzionalità rilevata è da applicare all’esclusivo riferimento all’anzianità di servizio, individuata dal legislatore come unico criterio di quantificazione del risarcimento, così che, ribadisce la Consulta, non possa essere trascurata la «vasta gamma di variabili che vedono direttamente implicata la persona del lavoratore».

Lo scorso 24 febbraio, la Corte Costituzionale si è pronunciata anche sull’art. 18 co. 7 dello Statuto dei lavoratori così come modificato dalla Legge Fornero (L. 92/2012).  La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Ravenna. 

In merito, la Consulta ha emanato un comunicato stampa che, anticipando la sentenza, individua una evidente disparità di trattamento tra ciò che è previsto per il licenziamento illegittimo per giusta causa – che contempla, al co. 4, la reintegra del lavoratore sul posto di lavoro – e ciò che è previsto per il licenziamento economico o per giustificato motivo oggettivo, che, in caso di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, rimanda invece alla discrezionalità del giudice sulla scelta (una “facoltà” e, dunque, non un “dovere) di reintegrare o di riconoscere una indennità risarcitoria. L’incostituzionalità si rileva nuovamente al cospetto del principio di uguaglianza dell’art. 3 co. 1 Cost.  

La preoccupazione sollevata dal Tribunale di Ravenna è chiara e il ricorso alla Corte Costituzionale lecito: la differenza di trattamento e la scelta di applicazione della tutela lasciata al giudice su un licenziamento economico riconosciuto insussistente pregiudica la dignità del lavoratore, non rispetta il principio di uguaglianza formale e ne pregiudica l’efficienza normativa. Si attende adesso il deposito della sentenza per poter comprendere fino in fondo le ragioni dell’incostituzionalità espresse dalla Consulta.


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