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Giornata del fiocchetto lilla, dialogo tra i nuovi linguaggi dei disturbi alimentari

L’ossessione per il cibo e il culto del corpo sono fra i temi sociali più chiacchierati. Nuccia Morselli, psicoterapeuta del progetto clinico Le Ginestre, e Rossana Mangiapane, medico psichiatra e responsabile del centro il Cerchio d’oro, raccontano il profilo clinico del linguaggio dei disturbi alimentari, tra nuove sfide e altrettante primavere.


In occasione della Giornata nazionale del fiocchetto lilla, volta alla sensibilizzazione sul problema dei disturbi del comportamento alimentare (DCA), abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con due professioniste del settore che ci hanno raccontato il profilo clinico dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) sotto due aspetti differenti ma concatenati, quello psicoterapico e quello psichiatrico. 

Nuccia Morselli, psicoterapeuta e responsabile del progetto clinico Le Ginestre – che accoglie nella città di Gela, una sede dei centri clinici Ananke di Villa Miralago (VA), la più grande rete nazionale di strutture riabilitative dei DCA in Italia – opera in un’equipe multidisciplinare composta da sette professionisti che cercano di coprire il fabbisogno del territorio e collabora con l’associazione Il Filo Lilla, che riunisce i genitori dei pazienti, coinvolti nel progetto di formazione di durata annuale chiamato “Genitori in progress”.


A questa chiacchierata a due voci se ne inserisce una terza, quella della dottoressa Rossana Mangiapane, medico psichiatra e responsabile del Cerchio D’oro. Il centro messinese sulla cura dei DCA, da centro sperimentale nato più di dieci anni fa dalla volontà del Direttore di Dipartimento di allora, è diventato nel 2011 Unità operativa per la cura dei disturbi alimentari afferente al dipartimento del centro salute mentale dell’ASP di Messina

Testare il bisogno emergente sul territorio, misto al lavoro sinergico tra pazienti, famiglie ed interlocutori dell’ASP, ha permesso di consolidare il lavoro d’equipe e i servizi ambulatoriali e semiresidenziali. Questi ultimi permettono, in maniera diurna, di svolgere una serie di azioni mirate alla riabilitazione nutrizionale del sintomo: dai pasti assistiti, alle attività terapeutiche e riabilitative.

Il Covid-19 e i suoi lockdown hanno determinato un aumento dei casi del 30 percento. Gli operatori hanno messo in campo una nuova metodologia di supporto per far fronte ad una domanda sempre crescente. Fornito un numero gratuito, fanno seguito consultazioni gratuite in video chiamata, come racconta la dottoressa Morselli.

In seguito alla pandemia, si è registrata una diffusione di disturbi alimentari strettamente collegati ad ansia o depressione. A causa del lockdown, i pazienti più giovani sono stati privati del tempo che prima dedicavano ad attività routinarie: dalla scuola, allo sport, agli amici. Questo ha determinato l’emersione della paura, del dolore, della noia, dell’ansia, tramutatisi in ossessione per il corpo e per il cibo.

La clinica dei disturbi alimentari ha un linguaggio che si usa per tradurre una problematica interna, un malessere, un disagio che non si riesce a far venir fuori. Il linguaggio cambia nel tempo e abbraccia una fascia sempre più vasta di pazienti con una variabilità clinica notevole. 

I DCA hanno cambiato volto: più di dieci anni fa si consideravano solo le categorie standard e, ad esempio, l’emergere del disturbo di alimentazione incontrollata, che va distinto dall’obesità, cominciava ad avere dignità di esistenza grazie a un processo di conoscenza e sensibilizzazione anche nell’ambiente sanitario.

Il sintomo vero e proprio, che sia restrizione alimentare, ruminazione ossessiva, perdita del controllo oppure ossessione per il cibo sano, può apparire sempre uguale nella casistica dei disturbi alimentari ma dietro c’è un significato che appartiene alla soggettività del singolo, alle sue relazioni, ai suoi vissuti, ai suoi momenti. 

L’obiettivo è trovare la chiave per capire perché quella persona ha sviluppato quel sintomo per gestire il suo problema. Da dieci anni a questa parte le richieste pervengono anche da giovani maschi adulti. Seppur con proporzioni differenti, i primi esordi si vedono in età sempre più diversa da quella tipicamente adolescenziale, dalle donne adulte ai bambini più piccoli.

Partendo da questi ultimi, si osserva il fenomeno risonante della restrizione alimentare legato all’inosservanza di una tabella nutrizionale varia, oppure dal rifiuto ad assumere cibi solidi come a voler prolungare un tempo infantile, che inevitabilmente fa affiorare disagi nuovi. 

La dottoressa Morselli spiega che i pazienti arrivano al centro già a uno stadio elevato di gravità, figli di tanti anni di terapie fallite o di disagi taciuti, con una storia clinica abbastanza lunga e complessa e con esordi a volte ritardati rispetto ad eventi traumatici avvenuti molti anni prima. 

In alcuni casi, oltre alla consulenza psicoterapica associata a quella di altri professionisti come il nutrizionista, è richiesta quella psichiatrica, che contempla un trattamento farmacologico davanti a problemi di personalità, disturbi del pensiero o del sonno, livelli di angoscia importanti, situazioni in cui il paziente mangia durante la notte. 

La dottoressa Morselli cita anche il cutting, un’altra pratica che accompagna i disturbi del comportamento alimentare, data dalla volontà di farsi dei tagli per scaricare l’angoscia. Nel caso di autolesionismo l’intervento psichiatrico è necessario, dato che il rischio che i pazienti si facciano del male è ancora più elevato. «Abbiamo visto dei ragazzi che avevano dei corpi a carta geografica» aggiunge la dottoressa.

Le strutture di supporto nazionale non riescono a rispondere alle richieste dei singoli. La responsabile del centro clinico Ananke, nella sede di Gela, attesta che i centri qualificati a lavorare a livello istituzionale e in equipe multidisciplinare sono insufficienti. Le conseguenze sono tempi di attesa lunghi e un inserimento in comunità sempre più complesso. 

Nel caso in cui il paziente si trovi in condizione di ideazione suicidaria ci si scontra con strutture carenti di personale qualificato utile ad accogliere e supportare l’emergenza. La fatica interessa anche la rete di affetti attorno al paziente: le famiglie hanno difficoltà a orientarsi e a vedere accolta la loro richiesta. 

La responsabile del Cerchio d’oro, la dottoressa Mangiapane, afferma che spesso ci si trova nella situazione in cui si è costretti ad “esportare” nel Nord Italia i pazienti per carenza di centri riabilitativi. C’è una sproporzione enorme fra i costi dei ricoveri fuori dalla Sicilia e quanto costerebbe creare centri territoriali, dando la possibilità ai pazienti di curarsi qui. Ci sono stati dei tentativi per cambiare rotta, ma inevitabilmente rimangono nel dimenticatoio, per diversi fattori: dall’assenza di buoni interlocutori al vuoto di politica sanitaria. 

Entrambe le dottoresse sottolineano l’importanza dell’informazione e della sensibilizzazione al tema a partire dalla scuola media e dai primi anni di scuola superiore. Di solito, sono i professori a saper leggere le prime avvisaglie del problema che si manifesta in vari modi: perdita di interesse, appiattimento umorale, isolamento. 

Proprio in quest’età i social sgomitano nelle vite dei giovanissimi per assumere un ruolo preponderante. Il parere della dottoressa Morselli è che questi fanno presa su personalità già fragili, che hanno già dei disagi sul piano dell’immagine, dell’insicurezza personale, della bassa autostima. 

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Instagram, su tutti, ha creato una specie di dittatura del corpo; le ragazze, soprattutto le più giovani, si trovano spesso a confrontarsi con immagini di corpi per lo più ritoccati, non esattamente fedeli alla realtà. Si creano stereotipi ideali che danno vita ad una insana competizione, alimentata dall’invidia dell’altro, piuttosto che occuparsi dell’espressione della propria personalità. La cultura del corpo, e del corpo sessualizzato, inevitabilmente, fa presa sui ragazzi già in età preadolescenziale. 

Entrambe le professioniste convengono sul fatto che i social non vanno demonizzati, non hanno un ruolo causale ma, come ci dice la dottoressa Mangiapane, possono rappresentare delle risposte inappropriate a dei bisogni interni che andrebbero ascoltati in altra sede, magari da un genitore, un insegnante, un amico. 

«Molte volte la risposta che cerco la trovo nel profilo Instagram di qualcuno o la conferma che non vado bene nell’immagine di qualcun altro». Inoltre, è molto frequente l’idea di poter fare delle diete usando delle app, «alcune delle quali andrebbero denunciate come già facciamo. Se un individuo è sottopeso e vuole perdere dieci chili l’applicazione lo consente anziché il contrario». Questi sono strumenti vissuti e gestiti in solitudine senza nessun controllo, soprattutto da parte delle giovanissime.

La dottoressa Morselli ci lascia un messaggio: «aver cura precede il curare. Mai come in questa situazione avere cura dei primi segni di chi ci sta accanto è importante. In questo momento storico, tutti i legami sono messi a dura prova, le distanze stanno creando molta solitudine, avere cura vuol dire porre attenzione all’altro: un modo per sentirsi amati, pensati e creerebbe la condizione per aprirsi».

(Il numero verde nazionale per i disturbi alimentari è 800 180 969, consultabile in qualunque momento. Qui la mappa dei siti italiani dedicati ai DCA, reperibile anche sul sito del Ministero della salute)

Foto in copertina daniellehelm