Caso Khashoggi, l’Europa deve rispondere

Le novità sul caso Khashoggi sono chiare: c’è la mano del Principe Saudita Mohammad Bin Salman. E stavolta, l’Europa non può rimanere in silenzio.


Il dossier CIA ha confermato la “mano” del principe saudita Bin Salman nell’atroce omicidio del giornalista dissidente Jamal Kashoggi avvenuto il 2 ottobre 2018 nel consolato di Istanbul. In Italia ha rinfocolato le polemiche già sorte per la visita a Riad – nel bel mezzo della crisi di governo – effettuata dall’ex premier e attuale senatore Matteo Renzi

Polemiche sorte non tanto e non solo per la collaborazione retribuita a una “fondazione” di quel paese, ma per gli stupefacenti attestati di “nuovo rinascimento” e di produttivo “costo del lavoro” concessi a un regime illiberale, la cui politica fondata su una “immigrazione quasi-schiavistica” è nota a tutti. Ma lasciamo Renzi alle sue imbarazzatissime giustificazioni. C’è un punto molto più importante.

Il dossier CIA pone l’Europa davanti a una decisione storica: far finta di niente o divenire una vera potenza civile capace, con la sua influenza strategica, di condizionare la scena internazionale per la protezione dello Stato di diritto e dei criteri di Copenaghen, che sono poi i fondamenti del suo stesso essere. Per farlo, però, occorrerebbe indirizzare una politica estera europea su posizioni comuni, prendendo posizione nei confronti di regimi che sistematicamente violano i valori che sono alla base dell’Unione .

L’Europa – bloccata da un policy-making che soffre costantemente di lentezza, vista la complicata natura intergovernativa all’unanimità, ma soprattutto da anacronistiche resistenze in nome delle singole sovranità nazionali – ha avuto costanti difficoltà, negli anni, a orientarsi verso una politica internazionale univoca. 

Nel corso del mese di novembre 2020, nel tentativo di finalizzare il voto all’unanimità del consiglio europeo per promuovere il Recovery Fund e il MFF 2021-2027, l’Ue rimase bloccata per diverse settimane in un litigio intergovernativo. In quel caso, furono la Polonia e l’Ungheria le nazioni dissidenti, contrarie alla clausola del Recovery legata all’obbligo di rispettare lo Stato di diritto. 

Una posizione, quella dei due Paesi, che scandalizzò i media e l’opinione pubblica europea, coinvolta in quel momento in un richiamo democratico incondizionato. Insomma, quando i problemi nascono in casa i leader europei, soprattutto di Germania e Francia, sono ansiosi di riaffermare la centralità dello Stato di diritto nel contesto europeo.

Diverso il discorso sul piano internazionale. Nei mesi seguenti, c’è stato un altro episodio che ha fatto ripiombare l’Europa in una posizione di ambiguità, incertezza e impotenza: l’arresto dell’attivista politico e oppositore di Putin, Alexei Navalny. Oltre all’indecisione di Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri – il quale non ha saputo prontamente reagire alle “inconvenienze” diplomatiche russe in una sua visita a Mosca – c’è stato immobilismo.

caso khashoggi

Nessuno, certo, può ignorare l’importanza per l’Europa delle relazioni economiche e politiche con Russia e Arabia saudita. Da un lato, il gigante russo non solo ci nutre di gas ma ci ha legato con accordi economici come il Nord Stream 2, che fa moderare i toni anche a un’europeista come Angela Merkel. 

Quanto al rapporto con l’Arabia, esso è nutrito da armi e petrolio. Non per niente, nel settembre 2020, il Parlamento europeo chiese a gran voce lo stop della vendita di armi a Egitto, Turchia e, appunto, Arabia Saudita. L’Italia, infatti, a fine gennaio 2021 ha decretato lo stop alla vendita di bombe e missili verso l’Arabia Saudita facendo entrare in vigore la legge 185 del 1990 che decretava il divieto di export verso Paesi «i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani». Ma a livello di esecutivo europeo, ancora non si è riusciti a fare molto.

Che la struttura europea sia un work in progress lo si sa. Ma questo non giustifica che non si parli abbastanza della necessità vitale per l’Unione di avere una considerazione univoca dello Stato di diritto dentro e fuori i suoi confini. Pretendere il rispetto dello Stato di diritto all’interno dell’Unione per poi ammutolirsi o limitarsi a twittare quando a violarla sono partner commerciali fondamentali può essere una soluzione diplomatica momentanea ma a lungo andare distruttiva, poiché mina la credibilità dei Paesi e dei valori stessi su cui si fonda il progetto europeo.

Si tratta di valori imprescindibili per l’Europa e questo impone di difenderli anche al di fuori della comune frontiera. «Le nostre vite finiscono quando tacciamo di fronte alle cose davvero importanti», diceva Martin Luther King. Ecco: alzare la voce contro l’Arabia Saudita potrebbe essere il cambio di rotta necessario per cominciare a sostenere davvero ciò che l’Unione europea ha costruito e non finire nell’ombra di interessi economici che, senza quei valori, finirebbero per smontare l’impianto europeista.

Andrea Manzella


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