arte blasfema

Arte blasfema o reinterpretazione di simboli intoccabili?

Arte irriverente, arte cruda, arte che non perdona. Arte blasfema? Gli artisti reinterpretano i simboli ritenuti “intoccabili” da una religione che dovrebbe poggiare le sue basi sull’aniconismo. 


Iniziamo con una dovuta premessa: lo scopo di questo articolo è ben lungi dal voler urtare la sensibilità dei fedeli, offendendoli nel loro credo. Nessun tipo di considerazione personale, offensiva, è quivi riportata: a parlare sarà l’arte. Mostreremo, difatti, come questa si sia evoluta non solo dal punto di vista estetico ma anche contenutistico e narrativo, usando sovente la religione e la simbologia a essa concernente come medium.

“Non avrai altro Dio al di fuori di me”

Recita così il primo dei dieci comandamenti. E ciò, chiaramente, ne esclude qualsiasi tipo di rappresentazione immaginifica onde evitarne l’idolatria: basti pensare al mito del vitello d’oro, narrato nel libro dell’Esodo, fabbricato da Aronne e venerato alla stregua di Dio dal popolo ebraico in assenza di Mosè il quale, al suo ritorno, non solo supplicò il Signore di perdonarli ma diede fuoco al vitello dando vita così al primo e assoluto atto iconoclasta della storia.

Dunque, da quel momento, la religione ebraica rispetterà il monito enunciato dal primo comandamento, così come l’Islam: vige la “regola” dell’aniconismo, ovvero la non rappresentabilità di figure “particolarmente sensibili”. Insomma, una vera e propria prevenzione all’idolatria. 

Al di fuori di questo contesto, tuttavia, sembra stagliarsi il Cristianesimo che nei fatti sembra aver contraddetto la biblica proibizione, fautore di una iper-rappresentazione artistica di Cristo, della Madonna e dei Santi, vittime però, nel corso dei secoli, di “preventivati” fenomeni iconoclasti.

La Chiesa, così, casa del Cristianesimo, diventa il committente più importante e l’arte, di riflesso, diviene ancella della religione: il suo compito, difatti, non è solo quello di adornare con affreschi e pale d’altare ma anche, attraverso queste, catechizzare il popolo. Attraverso una narrazione per immagini, semplice e comprensibile si cerca di arrivare, quindi, anche all’uomo illetterato.

Le parabole e i passi più importanti della Bibbia o del Vangelo vengono rappresentati per mezzo di una iconografia essenziale: ritorneranno sempre, in maniera quasi ridondante, Annunciazioni, Sacre Famiglie, Crocifissioni e Deposizioni che vengono “sintetizzate” e reinterpretate in relazione alla mano dell’artista, al suo gusto e alla corrente di appartenenza.

Importante cambio di rotta 

Se dapprima la società poteva esser definita teocentrica (con le sue eccezioni), concezione tangibile, come abbiamo visto, anche dal punto di vista artistico, col passare del tempo, dei secoli, perde questa sua connotazione. Arriva a sfaldarsi il legame artefede come ancestrale protagonista. 

La religione sembra non esser più il “punto comune” della società, anzi sembra proprio sparire dagli orizzonti, e quindi anche in quelli artistici, per esser richiamata in maniera sempre più provocatoria nel contemporaneo.

Provocazione, per di più, che abbandona totalmente la rappresentazione legata alla bellezza classica, rinascimentale o, in poche parole, moderna: è evidente una “obbligata” evoluzione stilistica che si esprime nelle rappresentazioni in chiave concettuale, a scapito non solo dell’estetica – sebbene, per fortuna, tutto è soggettivo soprattutto nell’arte – ma anche del contenuto. Infatti, proprio quest’ultimi divengono veritieri, crudi e crudeli, di impatto legati a un odierno realismo sciolto dal vetusto classicismo, in cui viene evidenziato un laicismo al limite, a volte, della blasfemia.

È chiaro, quindi, che siamo ben lontani dalle regole della committenza ecclesiastica, anzi sembra proprio non esistere più. Individualismo, autoreferenzialità e autonomia contraddistinguono l’artista contemporaneo che, attraverso la sua arte, denuncia e non racconta pedissequamente versetti biblici, volendo suscitare critica e non passiva adorazione.

Ciò, però, succede anche per una perdita di fiducia non tanto in Dio quanto in chi lo rappresenta, ovvero la Chiesa: tanti i fatti di cronaca che l’hanno vista protagonista e che hanno lasciato sgomenti. È giusto asserire di “non far di tutta l’erba un fascio”, ma non è contestabile una perdita di credibilità nei confronti del mondo delle istituzioni religiose, dal quale, sembra talvolta trapelare una ipocrisia che ben contrasta con ciò che rappresenta.

Per l’artista contemporaneo, quindi, la religione, con la sua simbologia, diventa medium o meglio ancora cassa di risonanza di questa ipocrisia (mal)celata. L’artista diviene dissacrante secondo un modus operandi ben preciso.

Gli artisti e le loro opere definite “blasfeme” 

L’artista cubano Erik Ravelo, per esempio, utilizza per la sua opera Los Intocables il crocifisso, linguaggio universale e simbologia del dolore quasi intrinseco nell’uomo e a volte derivante da tematiche sociali. L’artista fa leva proprio su queste ultime per la realizzazione di questa criticata installazione: sette crocifissioni, sette problematiche odierne, sette denunce. Le vittime, bambini i cui volti sono celati dai pixel, sono crocifissi sui propri carnefici, le cui identità sono egualmente celate: sono inermi, rassegnati alla stregua di un Christus Patiens.

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Erik Ravelo – Los Intocables

Ravelo realizza coppie shock che stigmatizzano scomode realtà: preti pedofili, il turismo sessuale, il commercio illegale di organi, le violenze militari, gli esperimenti nucleari, le stragi nelle scuole, il consumismo. Vittime sacrificali e crocifisse sempre e solo loro, i bambini, martiri in terra intrappolati nella morsa della cattiveria dell’uomo, anche di quell’uomo che non ti aspetti.

L’iconografia del crocifisso ritorna nell’opera di Janei Leinonen, in cui Cristo viene sostituito dal clown di McDonald’s, dal titolo McJesus. Nessun intento blasfemo, ma solo la denuncia a un consumismo sfrenato alimentato dalle conosciute multinazionali. 

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Così come il Cristo di Nick Stern, You’re not Banksy, crocifisso in Converse e dalle cui braccia pendono buste regalo. Entrambe le opere, esposte al Museo di Haifa, sono state apertamente contestate perché ritenute offensive, tanto da richiederne il ritiro.

Il crocifisso è anche protagonista nell’opera di Martin Kippenberger dal titolo Zuerst Die Fuisse in cui al posto di Cristo campeggia una rana con in mano un boccale di birra e nell’altra un uovo. Ritenuta altamente offensiva, si è “lottato” affinché venisse tolta dal Museion di Bolzano, luogo dove era esposta, sino a toccare lo sciopero della fame

Tuttavia, l’opera era ben lontana dagli intenti blasfemi che vi erano stati attribuiti ed è un peccato che lo stesso artista non abbia potuto difenderla poiché morto dieci anni prima dell’esposizione a soli 44 anni.

Kippenberger ha, difatti, realizzato il suo autoritratto, anzi per meglio dire, il suo alterego Fred la rana, a seguito di un periodo buio culminato con la disintossicazione. Riflettiamo: se la simbologia del crocifisso è quello della sofferenza, perché non utilizzarlo per descrivere un momento di personale dolore? 

L’artista si è scoperto fragile, vulnerabile e si è così rappresentato giacente su un simbolo che è sì di dolore, ma che si trasforma in trionfo: Cristo morto e risorto, così Martin Kippenberger alias Fred la rana con in mano i due simboli di distruzione e di rinascita (l’uovo).

A dar nuova vita a un’altra iconografia estremamente diffusa, ovvero quella della Pietas, è il fiammingo Jan Fabre. Con la sua opera monumentale Al Sogno Compassionevole (Pietà V), esplicito richiamo alla scultura michelangiolesca, l’artista ha voluto “giocare” con i ruoli dei protagonisti, sostituendoli. 

Il Cristo morto porta il volto di Fabre – a cui tuttavia non vuole sostituirsi – in abito da sera e in stato di decomposizione evidente; la Madonna invece ha il volto di uno scheletro, ciò che rimane di un corpo dopo la morte, e simboleggia il sacrificio di una madre, pronta a morire al posto del figlio. 

L’atto più naturale che esista, il gesto d’amore più grande però non capito e, anche in questo caso, tacciato di blasfemia. In certi casi è molto più semplice puntare il dito anziché sforzarsi di leggere un’opera d’arte contemporanea, anzi più semplicemente imparare a farlo.

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Jan Fabre – Al Sogno Compassionevole (Pietà V)

Papa Paolo VI, considerato il Santo degli artisti, si rivolse al mondo delle arti per recuperare l’ ancestrale connubio veritiero e spirituale tra arte e religione: «Esiste ancora, esiste anche in questo nostro arido mondo secolarizzato, una capacità prodigiosa di esprimere, oltre l’umano autentico, il religioso, il divino, il cristiano».

Era il 1964. Il suo auspicio, però, non si concretizzò, se non per qualche rara eccezione: l’arte ha preso la sua strada, alla ricerca di nuove cifre stilistiche, sperimentando, cercando di creare qualcosa di nuovo, un mondo diverso. Insomma, un’arte più libera.


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