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Violenza verbale e stupore: Meloni e i portatori sani d’odio

L’odio colpisce ancora, ha colpito persino Giorgia Meloni. Persino lei che dell’odio ha fatto il tratto distintivo della sua comunicazione politica.


L’episodio vergognoso che ha come protagonista Giovanni Gozzini, storico e docente all’Università di Siena, ha prodotto un grande abbraccio bipartisan a sostegno della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Durante una trasmissione di Controradio, la deputata romana è stata apostrofata dal professore con parole che vanno da «scrofa» a «vacca». 

Stupore e scandalo più a destra che a sinistra. Di solito i buonisti e gli innocenti stanno tutti a sinistra, dal Pd in poi. Gozzini, intanto, è stato sospeso dall’Ateneo per tre mesi, senza stipendio. Punizione necessaria e più che meritata. 

Il linguaggio colmo di odio, l’«asfaltamento» sui social e la costante piaga sessista restano, e non le stiamo scoprendo oggi: sono una conseguenza, elementi di un contesto “appesantito” giorno dopo giorno, campagna elettorale dopo campagna elettorale. A questo, persino Giorgia Meloni e altri avvelenatori di pozzi, dovrebbero esserci arrivati.

Cosa è successo a Controradio?

Al programma di Controradio “Bene bene male male” del 19 febbraio tre interlocutori parlano di politica: il giornalista Raffaele Palumbo, lo scrittore Giorgio Van Straten e il professore Giovanni Gozzini

Quest’ultimo, a proposito della leader di Fratelli d’Italia, unica forza (di rilievo) di opposizione al governo Draghi, afferma: «questa pesciaiola, mi dispiace di offendere questi negozianti, ma non posso vedere in Parlamento gente simile, di un’ignoranza di tale livello, che non ha mai letto con ogni evidenza un libro in vita sua, rivolgersi da pari a pari con un uomo come Mario Draghi […] Datemi dei termini. Una rana dalla bocca larga, una vacca, una scrofa, cosa devo dire per stigmatizzare il livello di ignoranza e di presunzione?». Metodo sbagliato, attacco becero, livello del lessico argomentativo bassissimo.

Il programma, normalmente seguito da qualche centinaio di utenti, è stato “pizzicato” su questi venti o trenta secondi incriminati. La puntata in questione non è più disponibile sul sito e sul canale Youtube di Controradio ma diversi giornali e televisioni l’hanno riportata nei giorni scorsi tra una dichiarazione di solidarietà e una reazione di sdegno per le parole offensive pronunciate dal professore.

Reazioni e solidarietà stucchevoli

Il mondo politico, dal presidente Mattarella ai tanti parlamentari che si sono espressi sulla questione, si è mostrato compatto a difesa – e come altrimenti? – di Giorgia Meloni. Solidarietà su giornali e canali televisivi, ripudio generale per le offese di ogni tipo, sessiste e volgari, e per un linguaggio che non si addice a nessuna sana discussione, soprattutto a proposito di politica e politici. Si condanna il linguaggio condito di odio o che lo istiga, l’hate speech in due parole.

In Italia l’hate speech lo conosciamo bene, soprattutto con la polarizzazione avvenuta sui social nell’ultimo decennio. Una polarizzazione dovuta a una spregiudicata “gestione” dell’opinione pubblica, bombardata da affermazioni decontestualizzate, brevi video scandalosi con rigoroso titolo in caps lock (maiuscolo), faziosi scoop segnalati con bollino rosso sui canali ufficiali di comunicazione di alcune forze politiche, fake news costruite ad arte e riproposte dentro una lotta all’ultimo sangue, all’ultima verità difesa con le unghie e con i denti da utenti-tifosi sempre più incattiviti e (soprattutto oggi) in cattività causa restrizioni e distanziamento sociale.

Subito dopo il “caso Gozzini” abbiamo assistito all’ennesima solidarietà per una vittima di violenza verbale. Solidarietà sacrosanta ma passiva, acritica, senza contesto: il linguaggio d’odio presente in dibattiti politici, contro il quale si scaglia l’accusa unanime, non è una condizione casuale; è un prodotto dei nostri tempi, non trascurabile, e come ogni prodotto discende da agenti responsabili. 

Chi semina vento…

I partiti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono i campioni dell’odio, lo dice anche un approfondito rapporto di Amnesty International del 2019. I due non solo sono tra i primi tre (insieme a Forza Italia) a spendere di più sui social per la promozione dei propri contenuti, ma sono sempre tra i primi tre (insieme a Luigi Di Maio) nella triste classifica che quantifica affermazioni e post dal contenuto offensivo e discriminatorio all’indirizzo di persone o categorie sociali, perlopiù minoranze. Il leader della Lega però straccia tutti quanti e con largo distacco.

Secondo Amnesty International il 95 per cento delle dichiarazioni di politici sui social che «veicolano stereotipi, sono discriminatorie, razziste o incitano all’odio e alla violenza in campagna elettorale» sono da attribuire ai tre partiti della coalizione di centrodestra. In un funambolico paradosso, quindi, Giorgia Meloni è stata offesa anche per colpa sua? Assolutamente no. Occorre però saper cogliere i segni provenienti dalla società.

I segni, già, quelli che ogni buon politico deve saper interpretare nella collettività, dalla pancia del popolo, le tendenze, le sensazioni, i malumori, i bisogni e le pulsioni. Xenofobia, machismo, razzismo, omofobia, paura dell’invasione sono i peggiori mali da seminare (e coltivare) nella raccolta del consenso popolare intorno a una propaganda politica. E sono anche veleni che coinvolgono inevitabilmente tutta quanta la popolazione. 

L’odio chiama odio ed è sempre e comunque un errore sputarlo sull’avversario/interlocutore: gli episodi di violenza verbale non sono una prerogativa dei tifosi-elettori di destra, ma corrispondono a condotta comune da un versante all’altro. 

Sono anni che si raccoglie tempesta in un clima avvelenato dove si ascoltano solo opinioni di destra se si è di destra e opinioni di sinistra se si è di sinistra, e dove, soprattutto, non si esce da una patetica “comfort zone” priva di senso critico e di autocritica.

Il copione dell’offesa da sinistra, nei casi come quello subito da Giorgia Meloni, è sempre lo stesso, quello che vede tutti in formazione, nella posa dello stupore plastico: avviene la segnalazione di una cattiva condotta, i santi accusano il silenzio di tutti a sinistra, stupore generalizzato per quei bravi ragazzi che sono il popolo di sinistra, l’appello ai due pesi e le due misure – subito, pochissimo dopo che è saltato fuori il malandrino scurrile di turno, come ha fatto “a valanga” Guido Crosetto su Twitter – e infine viene eliminato ogni momento di riflessione perché è già tempo di scuse, solidarietà e difesa incondizionata.

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Sarebbe anche ora che chi comunica con un pubblico ampio – e con ampie responsabilità, senza scomodare la massima che Peter Parker impara, a caro prezzo, prima di diventare Spider Man – subisca sanzioni certe, tutt’altro che elettorali, semmai riescano ancora a esserci nella cabina di voto. Il professore Gozzini perde giustamente tre mesi di stipendio, e gli avvelenatori politici cosa hanno perso mai, a parte una memoria storica (futura) onorevole?

Tutte le volte che si parla di solidarietà

Ha suscitato scalpore (per non dire, di nuovo, stupore) il post della giornalista Selvaggia Lucarelli sulla sua pagina Facebook in cui non esprime «alcuna solidarietà a Giorgia Meloni. Perché – si legge nel post – la solidarietà è un concetto profondo, un’idea, un abbraccio di fratellanza e complicità che non posso concedere a chi ha fatto dell’intolleranza e della divisione il suo credo politico. Perché l’insulto è odio, ma il linguaggio più subdolamente aggressivo è quello utilizzato per far leva sulle emozioni, sulle paure, sull’ignoranza e sull’identificazione del nemico in chi è fragile e diverso».

Facile giungere a conclusioni affrettate su un “male meritato” per Giorgia Meloni. Come già detto, niente di tutto questo. Invece, siamo sicuri che chi accusa la violenza verbale non sappia di essere parte dell’avvelenamento sociale? Siamo sicuri che chi minimizza un «ammazzateli tutti» rivolto a gay e lesbiche parlando del “Partito di Bibbiano” non si rende conto del danno che sta provocando?

Tutta la solidarietà di Giorgia Meloni

Dopo la mozione per la “commissione anti-odio” voluta dalla Senatrice a vita Liliana Segre, Meloni fu uno degli acuti più poderosi che urlò alla censura. La Segre, voce della memoria della Shoah, ha ricevuto, e riceve tuttora quotidianamente, offese e minacce – tanto da doverle assegnare la scorta – per il solo fatto di essersi scontrata con il fronte del centrodestra su una questione delicata, quanto azzeccata, come quella della moderazione del linguaggio politico. Tipico caso di sguardo ai “segni” di cui dovrebbero dotarsi i politicanti, categoria di cui Liliana Segre, peraltro, non fa parte.

A parte ebreo, se sei ladro, spacciatore, arrestato per qualunque motivo, pazienza: devi subire. «Difendiamo chi ci difende: abbiamo presentato due proposte di legge per aumentare le pene a chi aggredisce un pubblico ufficiale e per abolire il reato di tortura che impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro. Siamo sempre dalla parte delle forze dell’ordine!» ha scritto la Meloni nel 2018 in un tweet poi cancellato. Il bello dei social, oltre che essere dimenticati nei silos infiniti di post, è anche quello di cancellare quello che diventa sconveniente.

Meloni è anche una fervente sostenitrice – celebrata anche con un’originale canzone – della “battaglia navale” che andrebbe giocata contro le Ong nel Mediterraneo. La leader di Fratelli d’Italia ha affermato in un video a proposito di una controversa operazione di salvataggio di migranti: «La Sea Watch deve essere sequestrata, l’equipaggio arrestato, gli immigrati a bordo fatti sbarcare e rimpatriati immediatamente mentre la nave va affondata come accade con le navi che non rispettano il diritto internazionale». Il termine affondare viene direttamente dalle bacheche più oscure di Facebook in cui si fa riferimento all’uccisione dei migranti.

I musulmani, inoltre, vengono costantemente indicati come una cultura pericolosa e terroristica. Giorgia Meloni si esprime così a proposito di una proposta di legge contro l’integralismo islamista: «Il fenomeno del fondamentalismo islamico è inserito nella cultura islamica. Alla base del problema c’è una specifica ideologia, mescolata a una base religiosa».

Per concludere con i social, il luogo oscuro dal quale il male origina, impossibile non citare le affinità con l’ex presidente americano Donald Trump testimoniate, non solo dalla partecipazione della leader di Fratelli d’Italia al principale evento repubblicano degli Stati Uniti, ma dal proprio “impegno” sui social, costato molto caro al canale Twitter dello statunitense: l’account ufficiale Facebook di Giorgia Meloni ha subito diverse cancellazioni (che alcuni definirebbero censure) per le violazioni degli standard della community presieduta da Mark Zuckerberg. Da qualche parte, almeno, le conseguenze delle proprie azioni hanno davvero degli effetti diretti sulle parole date in pasto alla folla.