Josep Borrell in Russia, l’eterno dilemma sull’identità politica dell’UE

Il comportamento incerto contestato a Josep Borrell, durante la sua visita in Russia, riaccende ancora una volta il dibattito sull’identità politica dell’Unione Europea.


Una lettera firmata da oltre 50 parlamentari europei è stata recapitata la settimana scorsa alla casella postale di Ursula Von der Leyen. Il motivo: richiedere apertamente le dimissioni – o il licenziamento, in caso contrario – dell’Alto Rappresentante per la politica estera UE, Josep Borrell. La ragione: la mancata difesa della “reputazione” dell’UE durante la sua visita in Russia. 

Le accuse: non essere riuscito  ad incontrare Navalny; non aver  risposto adeguatamente alla domanda sull’embargo imposto dagli Stati Uniti a Cuba; aver subìto l’attacco del Ministro russo per gli affari esteri  sulle sanzioni imposte dagli Stati Uniti all’Unione Europea nei riguardi della Russia. 

C’è una questione fondamentale da affrontare: quale sarebbe la reputazione dell’UE, che secondo quei parlamentari Borrell non avrebbe difeso? È interessante che si torni a un dibattito che riguarda la natura – quasi – federale dell’Unione. Nel 1957 gli Stati fondatori decidevano di intraprendere un percorso di integrazione economica che non comportava, necessariamente, una convergenza politica e culturale. 

Furono per anni vane, ad esempio, le battaglie di Altiero Spinelli per intraprendere un progetto federale comune. Negli anni è venuto, però, sempre più a crescere il processo di integrazione europea che, culminato con il Trattato di Maastricht del 1992, ha concepito prima, e portato poi, alla moneta unica e al mercato unico. A risultati, cioè, intrinsecamente politici, mai però dichiarati esplicitamente per diffuse resistenze degli Stati nazionali, capeggiati naturalmente dal Regno Unito. 

Ci si deve chiedere allora se l’incerto comportamento di Josep Borrell in Russia non sia addebitabile alla persona ma sia figlio piuttosto di un sistema ancora troppo confuso e diviso tra due tipi di policy making, quello intergovernativo e quello sovranazionale, che ancora oggi bloccano la crescita politica dell’Unione. 

In particolare non si può non ricordare come il Consiglio europeo, formato dai 27 Capi di Stato o di governo dei rispettivi Paesi dell’Unione, è divenuto l’organo istituzionale più rilevante, nel quale le varie prospettive degli Stati membri si confrontano. E il Consiglio, essendo l’organo intergovernativo per eccellenza, funziona con un sistema di voto all’unanimità, richiedendo, come dice R. Daniel Kelemen, soluzioni al minimo comun denominatore, o meglio compromessi assai mediocri. 

L’indecisione di Borrell, e la poca prontezza nel comprendere la necessità di condannare decisamente gli avvenimenti recenti in Russia, sono anche figli del popolare proverbio “come mi muovo sbaglio”.  A Bruxelles, anche a causa della struttura dei Trattati – scrive Sergio Fabbrini in Europe’s Future-Decoupling and Reforming – «ci sono troppe voci, troppa burocrazia e troppo poco potere sovranazionale». 

josep borrell

Insomma, gli Stati membri hanno concesso all’Europa la politica monetaria e, parzialmente, quella fiscale aderendo ad accordi incisivi come il Fiscal Compact. Su temi considerati però di sicurezza nazionale gli Stati hanno mantenuto completa autonomia e soprattutto un potere di veto per “far saltare” accordi, come si è visto, ad esempio, con il Recovery Fund (che Polonia e Ungheria hanno rischiato di non votare, perché condizionato al rispetto dello Stato di diritto). Ciò inevitabilmente comporta un immobilismo politico dato dalla poca (quasi inesistente) competenza politica su materie fondamentali come gli affari esteri.

Josep Borrell, insomma, è semplicemente la vittima di un’Europa bloccata su temi non solo ideologici, ma per di più dagli stessi Trattati. Nel mondo del tech, l’Europa, rispetto ai colossi cinesi e americani, è inesistente: non riesce a crescere a livello continentale in settori strategici per paura di perdere sovranità nazionale. Idem sulle relazioni estere, nella quale la politica europea è attraversata da profonde discrepanze. 

L’indecisione di Borrell, dunque, è vittima di un’Unione che non riesce a crescere politicamente.  Nonostante gli enormi passi in avanti compiuti nel corso di questa pandemia, l’Ue è ancora vittima di differenze culturali che affiorano, puntualmente, nel corso di ogni crisi e che, puntualmente, vengono “risolte” con compromessi prettamente economici.

Borrell in Russia ci ricorda dunque che l’Ue è ancora un progetto tra tanti attori, con obiettivi nazionali e non sovranazionali. Obiettivi che troppo spesso appaiono in conflitto tra loro. Quale sarebbe allora la “reputazione” dell’Ue da difendere? E questa reputazione che Borrell non avrebbe difeso è considerata uguale e di eguale importanza da tutti? 

É certo stato un errore gravissimo non denunciare apertamente in loco le offese alle libertà compiute senza pudore dal governo russo.  Ma il “povero” Borrell è solamente lo specchio di un problema di coesione culturale, politica e istituzionale che l’Europa si porta avanti da tempo. Ed è un problema che, tramite trattati, accordi o compromessi al rialzo, Bruxelles sa di dover risolvere presto. Perché né i cinesi, né gli americani né i russi aspettano che l’Europa si compatti politicamente per continuare a crescere anche economicamente. 

Andrea Manzella