Governo Draghi, verso il voto di fiducia

Dopo due settimane turbolente, tra consultazioni e spaccature interne, il governo Draghi chiederà la fiducia al Parlamento oggi e domani.


Le ultime due settimane sono state scandite da consultazioni, riunioni dei vertici dei partiti e le piazze dei palazzi del potere gremite di giornalisti e curiosi. La crisi di governo, iniziata con le dimissioni delle ministre di Italia Viva, il mandato esplorativo affidato al presidente della Camera Roberto Fico e la fallita ricerca dei “responsabili” per formare il governo Conte ter, sembrano far parte di un ricordo lontano, ormai sostituito da un “nuovo” governo pronto ad affrontare il voto di fiducia a Palazzo Madama e a Montecitorio.

Dopo aver chiarito l’impossibilità di indire nuove elezioni in piena pandemia, il presidente della Repubblica ha convocato per il 3 febbraio l’ex governatore della BCE Mario Draghi per formare un “governo di alto profilo” e di scopo, che possa portare a termine obiettivi mirati, come la gestione del Recovery Plan e una nuova legge elettorale.

Accettato l’incarico con riserva, Draghi ha ricevuto, in primis, i gruppi parlamentari e, successivamente, i sindacati, le associazioni di categoria e i rappresentanti degli enti locali. Le consultazioni hanno messo in luce un’effettiva convergenza nella personalità di Draghi da parte di quasi tutti i gruppi parlamentari e delle parte sociali costituendo così instabilità interne all’interno dei partiti che, essendo finora in disaccordo (anche) nella gestione della pandemia, adesso si trovano ad appoggiare lo stesso esecutivo.

Primi tra tutti il Movimento 5 Stelle, la cui attività politica dentro e fuori le istituzioni si è sempre fondata sull’assunto “Mai con Berlusconi e Forza Italia”, ma che da adesso farà parte di un esecutivo composto anche da esponenti di Forza Italia. Ed è proprio la presenza di quest’ultimo partito che ha sancito la rottura interna al Movimento con l’uscita ufficiale di Di Battista.

Nonostante la nuova veste da “amici dei poteri forti” del Movimento possa sembrare uno dei cambi di posizione più eclatanti nella sfera della politica interna, ciò che ha sconvolto di più è stata la svolta europeista di Matteo Salvini e della Lega, che dopo le consultazioni con il presidente incaricato ha aperto la cosiddetta “fase dialogante” chiedendo, addirittura al presidente Draghi «un atteggiamento europeista sui migranti». L’unica esponente politica che non ha esitato nel mantenere la scelta presa è la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che ha deciso fin dall’inizio di non sostenere il nuovo governo, continuando il proprio lavoro facendo «opposizione patriottica».

A differenza degli esponenti dei gruppi parlamentari, il presidente incaricato non ha lasciato trapelare alcuna posizione o riflessione dopo i due giri di consultazioni, che si sono conclusi nel riserbo più assoluto e senza indiscrezioni sulla lista dei ministri fino a venerdì scorso.

La “nuova” squadra di Governo

Il 12 febbraio il neopresidente del Consiglio ha sciolto la riserva e ha comunicato al capo dello Stato la nuova lista dei ministri. Il nuovo esecutivo, composto da 23 ministri e dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è costituito da 15 esponenti politici scelti tra le forze della nuova e ampia maggioranza (M5S, PD, Leu, Italia Viva, Forza Italia e Lega) e otto tecnici.

Tra i 15 esponenti politici, 5 facevano parte del governo precedente; tra i riconfermati dell’ala di centro-sinistra vi sono il ministro della Salute Roberto Speranza (Leu); Dario Franceschini (PD) al Ministero per i beni e le attività culturali. Tra gli esponenti del M5S vi sono il ministro Luigi Di Maio agli esteri; Federico D’Incà ai Rapporti con il Parlamento; Stefano Patuanelli, che lascia il ministero per lo Sviluppo economico per passare al ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; infine, la ministra Fabiana Daidone che dal ministero per la Pubblica Amministrazione passa alle Politiche giovanili. Per Italia Viva, infine, rientra nella squadra di governo Elena Bonetti al ministero per le pari opportunità e famiglia.

Per quanto riguarda le nuove nomine, tra le fila del PD entra a far parte dell’esecutivo Andrea Orlando come ministro del Lavoro e delle politiche sociali; la Lega conquista tre ministeri: Giancarlo Giorgetti allo sviluppo economico, Erika Stefani come ministra alla Disabilità e Massimo Garavaglia come ministro al Turismo. Infine, per Forza Italia tornano a far parte di un esecutivo dopo dieci anni dalla caduta del governo Berlusconi IV, Renato Brunetta alla Pubblica Amministrazione, Mariastella Gelmini come ministra per gli affari regionali e autonomie e, infine, Mara Carfagna come ministra per il Sud e la coesione territoriale.

Le prime reazioni

Le prime reazioni dopo la pubblicazione della lista dei Ministri sono state quasi scontate e altrettanto giustificate: l’era del cambiamento tanto millantata dal Movimento 5 Stelle si è trasformata in un remake del passato, con tanto di ritorno dei fedelissimi di Berlusconi. La decisione di appoggiare il governo Draghi come «atto di responsabilità» e l’intenzione di preservare l’alleanza con PD e Leu, mostrano un nuovo volto del Movimento, forse non ancora del tutto capito dai suoi vecchi sostenitori.

Questa decisione ha acuito alcune tensioni interne, che si sono trasformate in una rottura nel momento in cui si è conclusa la votazione nella piattaforma Rousseau relativa alla volontà degli iscritti al Movimento di appoggiare il nuovo governo, con il 59,3 per cento dei voti favorevoli: questo risultato ha portato Di Battista a dire addio al movimento attraverso un diretta Facebook, in cui ha affermato: «la mia coscienza politica non ce la fa più […] Non ce la faccio ad accettare un M5S che governa con questi partiti».

La mancata parità di genere

Oltre alla mancanza di un vero cambiamento, grande assente di questo governo è la parità di genere: il neo-governo, infatti, è composto da 15 uomini e da sole otto donne. Questa mancanza risulta ancora più grave se si prende in considerazione che le uniche forze politiche al governo senza donne che ricoprono il ruolo di ministre sono proprio il PD e Leu, ovvero due partiti che negli ultimi anni hanno sempre definito la parità di genere come un valore fondamentale da difendere.

L’ex presidente della Camera Laura Boldrini, intervistata da Fanpage.it si è mostrata molto delusa nella scelta dei tre ministri uomini e ha affermato: «Per il Pd l’uguaglianza esiste sulla carta, ma quando si tratta di fare scelte politiche importanti tutto si vanifica». E aggiunge: «Bisogna assolutamente che il partito consideri la parità tra uomo e donna una priorità assoluta per la società italiana, a cominciare quindi dal proprio operato. Non basta che venga affermato in documenti elaborati da sole donne».

Ridurre, dunque, la parità di genere solo a una questione numerica all’interno del governo, sarebbe alquanto riduttivo, poiché dalle stesse parole della Boldrini si evince che esiste ancora una disparità di genere che riguarda più le dinamiche interne ai partiti che una questione di posizioni politiche e di condivisione di valori; questo viene confermato anche dal fatto che numericamente i partiti di destra hanno più donne al governo.

Verso il voto di fiducia

Nonostante il malcontento e le voci fuori dal coro, il 13 febbraio si è tenuta a Palazzo Chigi la cerimonia di giuramento del Governo e il tradizionale passaggio di consegne tra il Presidente uscente, Giuseppe Conte, e il Presidente del Consiglio, Mario Draghi.

governo draghi

Mercoledì 17 e giovedì 18 febbraio il neopresidente del Consiglio si presenterà rispettivamente al Senato e alla Camera per chiedere la fiducia al Parlamento. La prima seduta che si terrà in Senato avrà inizio domani 17 febbraio alle 10, alle 12:30 riprenderà il dibattito in Aula e la prima “chiama” dei senatori è programmata per le 22; alla Camera, invece, i deputati sono convocati giorno 18 per le 11.30, slittando la programmazione di un’ora.

Secondo il pallottoliere, i voti contrari al governo Draghi sarebbero circa 40 al Senato e circa 50 alla Camera, compresa l’ala dissidente del Movimento. In particolare, i parlamentari 5Stelle che voteranno “no” al nuovo governo sono in totale 35, ma ci sono anche dieci senatori e 25 deputati indecisi. In contrapposizione ai dissidenti, M5S, PD Leu hanno deciso di creare un intergruppo parlamentare in quanto componenti dell’ex-maggioranza del Conte bis con la volontà di rilanciare il Paese contrastando il fronte di centro-destra.

Le spaccature, tuttavia, non vi sono soltanto all’interno dei 5Stelle: il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha annunciato, dopo l’assemblea che si è tenuta domenica 14 febbraio, che i 12 parlamentari di Sinistra italiana eletti nel gruppo Leu voteranno “no” alla fiducia, tranne Loredana De Pretis ed Erasmo Palazzotto che hanno deciso di votare la fiducia.

Fedele alla sua scelta iniziale è Giorgia Meloni e il gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, che consta di 19 senatori e 33 deputati; gli ex-finiani, tuttavia, definiscono come “un suicidio politico” la decisione di formare «l’opposizione patriottica», autoescludendosi nel processo di riforme e di innovazione che scaturirà dal Recovery Plan e, in generale da questo governo.

Il conteggio dei voti contrari al governo non mostra segni di squilibrio per la vita del nuovo esecutivo, tanto da poter escludere anche quei colpi di scena a cui siamo tanto abituati; forse perché almeno in questo caso, considerando la pandemia in corso, il presidente del Consiglio Draghi ha ragione: «L’unità qui non è un’opzione, ma un dovere».


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