Lì dove la possibilità di abortire finisce, inizia la restrizione delle libertà

Polonia e Honduras sono soltanto due degli ultimi Paesi dove la possibilità di abortire viene limitata e la libera scelta sul corpo della donna diventa una chimera.


La libertà di decidere del proprio corpo, anche nel 2021, non è un atto scontato e neppure necessariamente un diritto garantito. Soprattutto per le donne che ancora oggi, in molti Paesi del mondo, non possono abortire legalmente e in modo sicuro. Prova ne sono le diverse proteste che hanno riempito le strade di alcune città nelle ultime settimane, dall’Honduras alla Polonia, per chiedere il diritto all’aborto. 

In Honduras è vietato abortire in qualsiasi circostanza già dal 1985. È prevista una pena fino a  sei anni di prigione per chiunque operi un aborto o chi ci ricorra. È dello scorso mese un’ulteriore restrizione per accedere e praticare l’aborto. Infatti il divieto ad abortire è stato inserito nella costituzione e per apporre delle modifiche in futuro vi sarà bisogno di tre quarti dei voti in parlamento. In pratica, sarà quasi impossibile cambiare la normativa vigente.

Un fattore che ha certamente influenzato questa decisione è stato l’aspetto religioso. L’Honduras è un Paese fortemente cristiano ed esponenti della chiesa hanno molto potere. Mauricio Oliva, presidente del Congresso Nazionale, ha dichiarato che l’Honduras non può seguire le “orme del male” come le altre nazioni che hanno legalizzato un “atto infame” come “togliere la vita a un feto che sta crescendo”. In aggiunta a ciò, già da tempo anche la pillola del giorno dopo è stata vietata. 

La situazione in Honduras non è tanto distante da quella di altri Paesi dell’America Latina, come il Nicaragua o El Salvador, in cui vige lo stesso divieto. Recentemente si è anche aggiunta la Repubblica Dominicana alla lista dei Paesi che vieta del tutto l’aborto. Occorre considerare che nel caso dell’Honduras, il 40 per cento delle gravidanze sono indesiderate o non pianificate. Inoltre, 30 mila adolescenti dai 10 ai 19 anni partoriscono ogni anno nel Paese, e molte di queste gravidanze sono causate da incesti o violenze sessuali.

Con questa nuova legge, l’Honduras si unisce a quei Paesi che hanno da poco modificato le regole per l’aborto. Tra questi, da poco, vi è anche la più vicina Polonia. Già lo scorso ottobre, l’aborto era stato vietato anche in caso di malformazione del feto o problemi di salute. A fine gennaio la legge è diventata ufficiale, facendo riversare sulle strade tantissime persone. I conflitti non sono mancati, con la polizia che ha usato gas lacrimogeni contro la folla.

In questo momento, la legge permette di abortire solo in caso di violenza sessuale, incesto e quando la madre è in pericolo di vita. Si stima che ogni anno circa 200 mila donne polacche cerchino di abortire, in modo legale in un altro Paese o illegalmente nel proprio. “E’ un diritto, non un’ideologia” è ciò che molte donne hanno giustamente sostenuto durante la terza settimana di proteste nel Paese.

Spostandoci invece in Asia, qualche buona notizia proviene dalla Thailandia, dove adesso l’aborto sarà legale solo nel primo trimestre. Nonostante sia certamente un cambiamento positivo, non è ancora abbastanza, poichè chiunque dovesse abortire dopo dodici settimane andrebbe sempre incontro a una multa o alla prigione fino a sei mesi. Le eccezioni a questa legge sono simili ad altre: l’aborto sarà permesso se la gravidanza è stata causata da violenza, se il feto presenta anomalie o se danneggia la salute della madre. Anche qui molte adolescenti sono diventate madri, con circa 1,5 milioni di bambini nati da queste gravidanze indesiderate dal 2000 al 2014.

Matcha Phorn-in, direttrice dell’NGO tailandese “Sangsan Anakot Yawachon”, ha sottolineato quanto sia importante la partecipazione delle donne nel processo decisionale. «Nessuna donna che ha avuto esperienze con l’aborto è stata coinvolta nel processo», un problema che si può riscontrare ovunque, le donne al centro della questione che però non vengono interpellate.

Ma non bisogna andare molto lontano per notare i problemi che le donne devono affrontare a questo proposito. Sebbene l’Italia abbia legalizzato l’aborto nel 1981, vi sono ancora degli ostacoli per chi voglia ricorrere a ciò. L’esempio più recente è quello dell’Umbria, in cui non viene più garantito l’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) farmacologica in ospedale e molte donne sono state costrette a spostarsi in altre regioni. Inoltre due settimane fa, le dichiarazioni di due preti hanno fatto scalpore. Un prete di Marsala ha paragonato l’aborto all’Olocausto e un altro di Macerata si è chiesto se fosse più grave l’aborto o la pedofilia.

Criminalizzare l’aborto potrà anche proteggere, come sostengono alcuni, la vita di un feto, ma non fa altro che mettere in pericolo donne di tutte le età e la loro libertà di decidere sul loro corpo. Secondo l’ultimo report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli aborti illegali dal 2010 al 2014 rappresentato il 45 per cento degli aborti mondiali. Nei Paesi in cui l’aborto è illegale o parzialmente legale, soltanto 1 aborto su 4 viene operato in maniera sicura. Invece nei Paesi in cui è legale, o quasi, 9 su 10 aborti sono ritenuti  sicuri per la donna.

Infine, bisogna considerare che la pandemia non ha fatto che acuire le difficoltà per l’interruzione della gravidanza. In Italia, ad esempio, molti ospedali hanno rifiutato di operare alcune ragazze se positive, e alcuni reparti sono stati chiusi. In un Paese con uno dei più alti numeri di obiettori di coscienza, le donne hanno sempre meno possibilità di poter decidere del proprio corpo.

Ogni anno, circa 23 mila donne muoiono a causa di aborti illegali e non sicuri, e molte altre si ammalano per via di complicazioni. Il diritto a un aborto legale è un diritto fondamentale, sancito a parole da diverse costituzioni e trattati ma che nella pratica talvolta viene a mancare. È chiaro che bisogna anche investire sulla tutela della maternità e su una adeguata educazione sessuale, per una maggiore consapevolezza delle proprie possibilità.

Nella speranza che le prossime novità riguardo questa pratica siano di progressive aperture e garanzie, e non ulteriori restrizioni e divieti sul corpo e sulla vita di milioni di donne.


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