gli ebrei palermo

Gli ebrei nella Palermo disumanizzata durante il Ventennio

Contrariamente a quanto si dice, gli ebrei in Italia conobbero durissime condizioni di vita di cui va ripresa la memoria. La Sicilia e Palermo non fanno eccezione.


Diversi secoli fa la vita economica e culturale siciliana era animata dalla presenza di una corposa comunità ebraica. Un idillio, purtroppo, destinato a finire malamente con la persecuzione e l’espulsione degli ebrei dalla Sicilia già nel XV secolo. Nel corso degli anni, fino ad arrivare al Novecento, gli ebrei – o i cittadini di origine ebraica – in Sicilia non raggiunsero più numeri esorbitanti ma divennero parte integrante del tessuto sociale e produttivo.

Per quanto limitato fosse il numero di questi cittadini “colpevoli” delle proprie origini, furono indicati dalla propaganda fascista, perseguitati e, quindi, deportati. Ciò che lasciarono alle spalle fu una terra che li aveva accolti e poi traditi, una terra di scommesse economiche e gravi privazioni per mano delle autorità fasciste.

Le leggi razziali del 1938

Fra il 1938 e la liberazione da parte delle truppe anglo-americane, gli ebrei furono presi di mira dal potentato fascista. Il dittatore italiano Benito Mussolini decise – parallelamente alla condotta dell’alleato nazista – di eliminare la presenza ebraica in terra italiana. Il procedimento arrivò a compimento nel settembre di quell’anno con la promulgazione delle leggi razziali.

L’emanazione delle prime leggi razziali coincise con il Capodanno ebraico, ma non fu quella la data che allarmò gli ebrei presenti nell’Isola e nell’intero territorio nazionale: il censimento di tutti gli ebrei sul territorio nazionale partì già nell’agosto del 1938. 

La macchina della persecuzione era, dunque, già in moto per mezzo dei prefetti, i quali dovevano fornire al Ministero dell’Interno tutte le informazioni sugli ebrei residenti nelle varie circoscrizioni. In poche parole, la comunità ebraica era già sotto controllo quando arrivò lo shock delle leggi antisemite.

Il tessuto imprenditoriale a partire dalle comunità ebraiche

Nel corso del XIX secolo molte delle famiglie ebree dirette verso la Sicilia avevano contribuito in maniera massiccia allo sviluppo isolano e, nello specifico, del Capoluogo siciliano: molti di loro commerciavano agrumi, altri erano professori o studenti. Il ritardo del processo di industrializzazione nazionale  nei primi decenni del Novecento, inoltre, aveva favorito inevitabilmente l’ingresso di ingenti capitali stranieri utili alla crescita italiana.

Basti pensare al complesso industriale edificato tra il 1910 e il 1913 (data dell’effettivo avvio dell’attività) nel quartiere Arenella su iniziativa di capitalisti ebrei tedeschi. Si trattava di una delle più grosse industrie presenti in Italia e nel mondo per la produzione di acido solforico, tartarico e citrico (componente essenziale del più conosciuto “succo di limone”): la “Società Anonima Fabbrica Chimica Italiana Goldenberg” successivamente “Chimica Italiana Arenella”. Allora la Goldenberg era un colosso rispetto alla piccola Pfizer – sì, quella del vaccino anti-covid – anch’essa produttrice di acido citrico. Altri tempi.

Chi erano gli ebrei in Sicilia?

Dalle stime raccolte in periodo fascista, emerge che la popolazione ebraica siciliana fosse costituita da 202 persone (Palermo 96; Catania 75; Messina 21; Agrigento 4; Siracusa 3; Enna 3). Fra questi erano presenti anche alcuni professori che a causa delle leggi razziali persero la propria cattedra. Le persone che dovettero emigrare erano generalmente di condizione socioeconomica piuttosto elevata e, quindi, con un ottimo grado di istruzione.

Nel mezzo degli anni Trenta, alcuni nomi di quella Palermo disumanizzata dalle leggi fasciste danno il senso di cosa si è perso, e di cosa si perde tutte le volte che fallisce l’integrazione e la convivenza civile.

Storie di palermitani perduti

Il 16 ottobre 1938, in forza dei decreti legge del ministro Bottai in accordo con il Gran Consiglio del Fascismo, venne eseguita l’espulsione degli ebrei da ogni scuola dall’asilo fino all’Università con i «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista».

Dall’elenco palermitano degli ebrei espulsi (non necessariamente nati nel Capoluogo) possiamo citare il biochimico Camillo Artom, uno tra i massimi specialisti della sua generazione, professore di fisiologia umana dal 1933 e insegnante all’Università di Catania e di Palermo. La sua è la storia di un pericolo scampato, di un talento che ha donato tanto all’estero.

Artom lavorò nel Capoluogo siciliano dal 1935 al 1938, chiamato a dirigere l’istituto di fisiologia che gli aveva lasciato Ugo Lombroso – altro luminare della disciplina – fino all’espatrio, ottenuto faticosamente. Sfuggendo alle persecuzioni fasciste, si diresse negli Stati Uniti dove divenne capo del Department of Biochemistry nella Bowman-Gray School of medicine di Winston-Salem e dove visse per il resto della sua vita. Gli è stata anche dedicata la Wake Forest University Venice House (a Venezia) nota anche come “Casa Artom”.

Un’altra storia parla di un medico, ma non uno qualsiasi: Maurizio Ascoli era il direttore dell’Istituto di patologia medica dal 1920 e, in seguito, nel 1929, dell’Istituto di clinica medica dell’Università degli studi di Palermo. Venne allontanato dalla sua carica nel 1938. Dopo la caduta del regime viene reintegrato nel 1943. Il suo contributo più importante che viene ricordato è l’ideazione del pneumotorace ipotensivo e quello bilaterale simultaneo per la cura della tubercolosi. Da lui deriva la “splenocontrazione di Ascoli” (l’iniezione di adrenalina nella milza). Fondò l’Ospedale oncologico di Palermo, poi intitolato a suo nome, oggi all’interno della struttura ospedaliera “Civico e Benfratelli”.

A Palermo viveva e insegnava anche Mario Fubini. Nel maledetto 1938 l’eminente critico letterario lasciò la cattedra di Letteratura – vinta appena un anno prima – e trovò asilo in Svizzera dove riuscì a condurre dei corsi per universitari “rifugiati” come lui. Non tornerà più in Sicilia perché dopo la guerra otterrà diversi incarichi prestigiosi alla Bocconi e alla Statale di Milano, oltre che alla Normale di Pisa.

Un altro espulso eccellente fu l’accademico Emilio Segrè. Nel 1936 il fisico divenne direttore dell’Istituto di fisica dell’Università degli Studi di Palermo. Nel 1937, a Palermo, scoprì il tecnezio, e fu proprio la sua attività di ricerca a salvargli la vita. Nel 1938, infatti, mentre in Italia venivano emanate le leggi razziali, Segrè si trovava all’Università di Berkeley, dove rimase per il resto della sua vita. Durante la guerra partecipò al progetto “Manhattan” per la realizzazione delle prime bombe atomiche e fu presente al primo test nucleare, noto con il nome in codice Trinity.

Limitazioni e internamenti dopo le leggi fasciste del ‘38

Tutti i docenti ebrei furono costretti a lasciare l’Italia, portando con sé un bagaglio culturale ma soprattutto accademico enorme. Era vietato possedere apparecchi radio, macellare ritualmente, possedere licenza come affittacamere, collaborare con la stampa sotto pseudonimo, l’esercizio del commercio ambulante, tenere pubbliche conferenze, possedere la licenza bar e spacciare bevande alcoliche, commerciare in oggetti antichi e d’arte, possedere la licenza per scuola di ballo, partecipare alle aste dei pegni e molti altri divieti che, di fatto, rendevano la permanenza insostenibile.

Gli ebrei dichiarati (con ammissione volontaria di “appartenenza alla razza”) o scoperti divennero nemici allo scoppio della guerra nel 1939. Anche a Palermo si procedette dunque all’internamento degli ebrei e degli apolidi. Furono preventivamente trasferiti nelle carceri cittadine e solo successivamente deportati in dei piccoli campi di internamento sparsi per la Provincia. 

Non solo Auschwitz: gli ebrei internati nei campi nazionali, compresi quelli in Sicilia, venivano tenuti costantemente sotto controllo, spiati, obbligati a firmare e dare contezza di ogni attività all’interno del campo. Erano dei prigionieri privati della più basilare dignità umana. In tutto morirono oltre 7 mila ebrei italiani – palermitani, catanesi, romani, milanesi, cittadini come tutti noi – molti dei quali furono uccisi nei campi di sterminio nazisti. Alle vittime della persecuzione nazifascista venne tolto tutto: prima le attività ricreative e lavorative, poi i beni immobili (molti dei quali non recuperati neanche dopo le “restituzioni” post-belliche), beni mobili, fino alla vita stessa.


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