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“Give” di Lorenzo Quinn a Palermo: l’opera (non)giusta nel posto giusto

La grande installazione di Lorenzo Quinn, “Give”, si scaglia con il suo semplice messaggio di pace e bene sullo scenario della maestosa Cattedrale di Palermo. L’opera didascalica e scontata che piace alla gente.


Give” è il nome della grande scultura installata fino al 30 marzo 2021 davanti la Cattedrale di Palermo, dopo il successo ottenuto l’estate scorsa della medesima opera installata al Giardino di Boboli a Firenze su indicazione di Eike Schmidt (direttore delle Gallerie degli Uffizi).

Sono delle grandi mani bianche messe in segno, per l’appunto, di dono, nel gesto di sorreggere un albero di ulivo. Le mani create a grandi dimensioni sono la cifra stilistica di Lorenzo Quinn, nato a Roma nel 1966, figlio dell’attore americano Anthony Quinn e della moglie Iolanda Addolori. 

Dopo un’infanzia vissuta tra l’Italia e gli Stati Uniti, inizia un corso all’Academy of Fine Arts di New York per diventare un pittore surrealista. Ma è nella scultura che Quinn trova la sua strada. Si ispira ai grandi maestri, come Michelangelo e Bernini, e partecipa a varie biennali; molti se lo ricorderanno per le sue enormi mani installate temporaneamente sul Canal Grande per la biennale del 2017,  a sostenere il palazzo vicino alla Ca’ d’oro, intitolate semplicemente “Support”.

Partiamo da queste ultime: il lavoro dell’artista molto stimato da gran parte del sistema e dai collezionisti è assolutamente didascalico. Quinn è quell’artista che compiace coloro che sono legati alla semplicità e alla riconoscibilità della forma, una chiarezza simbolica che nulla lascia al ragionamento. Quello dice e quello è, e il titolo rappresenta perfettamente quello di cui vuole parlare.

In questo caso, il ruolo dell’artista assurge alla funzione sociale che unisce tutti in una morale spicciola e basilare: il tema “Give” simboleggia un messaggio di pace e coesione sociale, rappresenta in modo simbolico il “dare”, donarsi l’uno all’altro in maniera incondizionata. Una sorta di Eden della morale, un Tutti insieme appassionatamente della scultura contemporanea.

Opera di intrattenimento visivo spacciata per arte pubblica. È diventata ormai troppo consueta l’abitudine di svuotare l’arte contemporanea da quella sua caratteristica mistica concettuale, quasi a dover dare rivalsa ai pensieri semplicistici e immediati, come a voler far tornare la figuratività semplice e chiara di una volta: quella lettura facile dell’arte a scopo religioso o politico, che nulla ha del genio intellettuale di cui si impregna l’artista, che si slega dalle opere doverose. 

Le opere di arte contemporanea come queste diventano un luna park (escludendo il Luna Park di Carsten Höller, dove il pubblico si trova ad essere cavia degli esperimenti folli dell’artista), generando stupore per le dimensioni e per la facilità, da parte dello spettatore, di comprenderla, felice di conoscere finalmente le regole del gioco dell’arte.

Durante il sopralluogo dell’opera, un evento ha scaturito la nostra riflessione: un bimbo di circa 5 anni, passando davanti le grandi mani, ha esclamato «wow che bello!». Quel bambino passa di certo giornalmente davanti la Cattedrale, circondata dalle sculture che ne difendono la sacralità; passa ogni giorno davanti il lungo e doloroso lavoro di fusione di tanti stili, che rende la Cattedrale di Palermo il simbolo della multiculturalità. Alla fine la bellezza nei paraggi sono le “manone” bianche gentili che dolcemente porgono un alberello. Potrà quel bambino chiamarsi Plotino? Una reincarnazione del pensiero neoplatonico che affida alla bellezza il ruolo di mediatrice tra mondo sensibile e mondo delle idee?

La filosofia neoplatonica ci parla di trascendenza metafisica ed etica delle forme platoniche che poi si è irreversibilmente tinta di trascendenza religiosa. Il pensiero e la conoscenza si sono impercettibilmente, ma strutturalmente, colorati di accezioni mistiche; dunque il bello è ciò che attrae l’anima verso il mondo delle idee. La contemplazione estetica si intreccia alla ricerca amorosa e al desiderio di unione con la realtà intelligibile, sulla base della somiglianza che tale realtà possiede con la natura dell’anima. Nell’opera di Quinn è stata riconosciuta quella bellezza morale legata al tema cristiano e quindi da questo sicuramente si appropria del binomio buono = bello.

Quando Plotino passa a interrogarsi sul significato del termine “bello”, riflette sul perché si dicono belli i corpi sensibili, ad esempio. I corpi sono belli non in sé, ma per altro da sé. Egli contesta radicalmente uno dei capisaldi dell’intera concezione classica della bellezza, la bellezza come simmetria e misura. Pensare alla bellezza come simmetria significa pensarla non come essenzialmente è, ma come appare nel mondo fenomenico. 

A questo punto ci distacchiamo da Plotino, perché in questo caso è la non ambiguità della forma a suscitare piacevolezza all’occhio, dove si insinua la struttura critica winckelmanniana della bellezza nella sua armonia estetica. Le grandi mani dal gusto michelangiolesco, dalla colorazione che ricorda il candore dei marmi canoviani, nient’altro sono che abili giochi per decodificare un’immagine che incontra, con immediata facilità, il favore popolare.

Dunque, sono tutti pazzi per Quinn. Tutte le sovrintendenze vogliono che le mega opere bianco latte facciano capolino sulle loro piazze, come un naso palesemente rifatto su di un volto. Ma una cosa a favore di Give la possiamo dire: anche se si tratta di un’opera sotto molti punti di vista “sbagliata”, nel caso palermitano si trova proprio nel posto giusto. 

La Cattedrale è il luogo della morale benevola, il luogo madre della misericordia dello scambio di generosità, un luogo santo, come è santo il gesto di Give che ci pone l’ulivo, simbolo di pace, che attesta la fine del castigo e la riconciliazione di Dio con gli uomini.

Come arriva l’opera a Palermo? Tutto nasce dalla collaborazione tra l’artista, la società Once srl, il Comune di Palermo e l’Arcidiocesi guidata da Monsignor Lorefice. L’amministrazione palermitana si ritiene orgogliosa di questa opera d’arte pubblica e ciò traspare dalle parole del primo cittadino Leoluca Orlando: «Grazie a “Give” confermiamo che bellezza, etica ed estetica sono indissolubilmente collegate, che l’una senza le altre non ha ragione di esistere o è vuota. In questo Natale certamente diverso dagli altri, con questo ‘dono’ si rafforza la collaborazione e la sintonia tra Comune e Curia con un’opera che è in grande sintonia col cammino della città, delle sue istituzioni, della sua società civile».

“Arte pubblica” non è che il grande trabocchetto delle amministrazioni che, dietro una facciata fatta di opere che interagiscono dentro il tessuto sociale in un’area urbana, “addomesticano” il cittadino all’arte – soprattutto contemporanea – mentre dall’altro lato si nasconde il rischio della strumentalizzazione politica. 

Installata in grandi piazze normalmente molto frequentate, l’opera può diventare araldo o manifesto politico e il cittadino diviene, quindi, servo dell’oggetto. In altri casi, l’opera ha la forza di minare il potere autoritario statale. E poi, in un altro caso ancora, «L’arte pubblica dovrebbe resistere alle trappole della decontestualizzazione e all’omologazione del gusto/interesse pubblico». 

Dove posizioniamo l’esempio palermitano? Give è un addomesticamento all’arte per le masse e in modo semplice, per via della sua immediata simbologia “buona e cara” che piace anche ai bambini. È anche un forte manifesto politico di un’amministrazione non del tutto malvagia, che presenta molte lacune che sono chiare e limpide come il significato stesso di Give. È indovinatissima la contestualizzazione dell’opera: non ci sarebbe stato posto più adatto di Palermo.

Foto di Virginia Monteleone