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Crisi di governo: la situazione dopo la fiducia a Conte

Superata la crisi di governo, non c’è tempo da perdere: Conte e i suoi devono trovare altri “responsabili”. Sono alle porte altre importanti prove per l’Esecutivo.


Il nuovo anno è iniziato in modo movimentato per il governo giallo-rosso, stravolto nell’ultima settimana dalle dimissioni delle ministre Bellanova e Bonetti, e del sottosegretario Scalfarotto del gruppo parlamentare di Italia Viva, che dalla maggioranza passa all’opposizione, dando avvio alla crisi di governo.

Il presidente Mattarella, a un anno dalla fine del suo mandato, si ritrova a gestire la seconda crisi di governo dopo circa un anno e mezzo e, quel richiamo al senso di responsabilità nel suo discorso di fine anno, adesso sembra quasi andato nel dimenticatoio.

La mossa di Matteo Renzi, leader di Italia Viva, che al momento consta di 16 senatori, non è stata poi così inaspettata, come è stato più volte affermato dai parlamentari 5Stelle; ed è pur vero che, sia il presidente Conte che molti esponenti del PD avevano invitato Renzi a non costringere il governo a fare questo “salto nel buio”, in un momento delicato in cui anche le certezze più solide tendono a sgretolarsi. 

Questo “salto”, tuttavia, è stato compiuto e, nonostante non sia ancora chiaro se dietro alle motivazioni del passaggio all’opposizione dichiarate dai parlamentari di Italia Viva ci siano secondi fini – al momento a noi oscuri – il governo Conte bis si trova in estrema difficoltà.

Cronologia della crisi di governo

La settimana, dunque, non è stata delle più serene per il governo giallo-rosso: la sera del 13 gennaio, il premier Conte ha accettato le dimissioni delle due ministre senza «sminuire la gravità di questa decisione» e, convocando il Consiglio dei ministri, ha valutato lo stato dell’arte all’interno della sua coalizione costituita da una maggioranza a dir poco risicata. 

Il giorno seguente, comunica ufficialmente la sua intenzione di rivolgersi alle Camere – rispettivamente lunedì alla Camera e martedì al Senato – per delle comunicazioni di «carattere fiduciario», ovvero per porre la questione di fiducia sulla risoluzione di maggioranza ai parlamentari in aula.

Se alla Camera il governo gode di maggiore appoggio, al Senato la situazione si è mostrata subito preoccupante poiché a Palazzo Madama ad aver un peso considerevole nelle votazioni in aula sono proprio quei 16 senatori di Italia Viva appena passati all’opposizione. La speranza è stata subito riposta ai cosiddetti “responsabili” o, come denominati questa volta, “costruttori” o “volenterosi” e, in altre circostanze (ma non questa volta) definiti dagli stessi 5stelle come “voltagabbana”.

Costruttori, responsabili, volenterosi

Chi sono i “responsabili” o “costruttori”? Generalmente, sono tutte quelle persone che, elette nella legislatura corrente ed essendo in posizioni marginali nel partito di appartenenza, sanno che alle prossime elezioni non verranno eletti e che appoggiano il governo per far sì che la legislatura non finisca. Questa modalità di ricerca e appoggio al governo è molto frequente nelle aule parlamentari e non è una novità nelle dinamiche della politica italiana, che negli ultimi trent’anni si è sempre distinta per i suoi governi dalle maggioranze deboli e risicate.

Ciò che ha creato maggiore indignazione tra i parlamentari sulla “chiamata ai responsabili” da parte del governo è proprio il fatto che i 5Stelle hanno sempre criticato e condannato questi “meccanismi da palazzo del potere” per il mantenimento della poltrona. Nonostante l’indignazione, la chiamata ai responsabili ha portato i suoi frutti in entrambe le Camere.

La dinamica dei voti di fiducia

Infatti, nonostante Fico non potesse votare in quanto presidente della Camera e vi fossero due deputati del M5S assenti, la votazione alla Camera si è conclusa con 321 voti a favore del governo e 259 contrari, con circa cinque voti in più rispetto a quelli previsti dai “pallottolieri” dei gruppi parlamentari.

La seduta in Senato, invece, è stata un po’ più movimentata e tesa: la sessione, durata circa 12 ore, è iniziata con l’attesissimo arrivo della senatrice a vita Liliana Segre che, nonostante i medici le avessero sconsigliato di uscire e viaggiare perché considerata un “soggetto a rischio”, ha deciso comunque di recarsi a palazzo Madama perché richiamata dal «senso del dovere». 

L’intera giornata è stata scandita dal dibattito e dalle dichiarazioni di voto, in cui maggioranza e opposizione si sono alternati con toni molto accesi: tra i vari interventi segnaliamo quello della senatrice De Pretis (Leu), di Matteo Renzi, di Matteo Salvini e del senatore Licheri (M5S) in risposta a quest’ultimo. 

I colpi di scena non sono mancati neanche durante la votazione, quando alla prima “chiama” l’intero gruppo parlamentare di Italia Viva è risultato assente e, durante la seconda chiama si è astenuto; inaspettato è stato anche il voto di fiducia di due senatori di Forza Italia, Andrea Causin e Mariarosaria Rossi; gli altri due grandi assenti della prima chiama sono stati Nencini (PSI) e l’ormai famoso Ciampolillo (gruppo Misto-ex M5S), che dopo diverse peripezie e VAR hanno votato la fiducia al governo, incassando in totale 156 voti a favore e 140 contrari.

Singolare la scelta del gruppo parlamentare di Renzi che, se avesse votato contro il governo avrebbe portato a una situazione di parità, con le conseguenti dimissioni del premier Conte e il presentarsi di scenari completamente differenti.

Maggioranza risicata: la partita delle commissioni

Sebbene il governo abbia raggiunto la maggioranza nelle due Camere, questo risultato – soprattutto quello incassato al Senato che risulta al di sotto di 161 – non è sufficiente per far sì che non si ripresenti un’altra crisi di governo tra un mese. Con una maggioranza così ristretta, infatti, anche una piccola controversia potrebbe mettere in stallo l’intero operato del governo e delle commissioni parlamentari.

La questione delle commissioni parlamentari risulta essere alquanto complessa poiché, se alla Camera la maggioranza gode del controllo di otto commissioni, al Senato l’esecutivo non gode della maggioranza nelle commissioni, di cui 11 risultano essere nelle mani di Italia Viva. 

Il governo, invece, ha la maggioranza solo in tre commissioni (Finanze, Agricoltura e Lavoro) e una situazione di parità in altre quattro (Affari costituzionali, Bilancio, Industria e Politiche Ue). A questi numeri, per niente favorevoli al governo, si aggiunge il numero di commissioni il cui presidente appartiene al gruppo Italia Viva, che possono giocare un ruolo determinante nelle decisioni in commissione.

La mancanza di una maggioranza nelle commissioni costituisce un rischio costante di difficoltà nel concludere l’agenda del governo, oltre a forme di ostruzionismo atte a indebolire un governo già allo stremo delle forze. È proprio per questo che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, al vertice di maggioranza con Conte, M5S e Leu, si è mostrato preoccupato dell’attuale situazione al governo; preoccupazione legittima poiché, con una maggioranza debole come quella attuale, il controllo dell’azione di governo resterebbe comunque nelle mani di Italia Viva il cui leader, alla conclusione della votazione in aula, si è mostrato disponibile a votare a favore delle istanze del governo quando e se lo riterrà giusto, ma nei banchi dell’opposizione.

Come ottenere un governo forte?

Secondo il Ministro Dario Franceschini il numero di senatori su cui dover contare per avere un governo forte è di 170; questa maggioranza, costituita da altri 14 senatori, porterebbe il governo a smarcarsi dal ruolo di “ago della bilancia” di Renzi.

Dunque, la ricerca dei responsabili e “volenterosi” disposti ad appoggiare un Conte ter può definirsi tutt’altro che conclusa, se si ha l’intenzione di scongiurare delle elezioni anticipate. La mancanza di collaborazione di Renzi ha portato la maggioranza a ricercare i propri voti nel centrodestra, escludendo gli antieuropeisti e sovranisti, ovvero la Meloni e Salvini. Un occhio di riguardo è rivolto a Forza Italia grazie all’aiuto di Causin e Rossi, già espulsi dal partito dopo il voto di fiducia al governo.

Negli ultimi giorni, inoltre, era stata presa in considerazione l’idea di coinvolgere le file dei centristi, grazie anche alle recenti dichiarazioni della senatrice Paola Binetti che aveva affermato: «Io personalmente, da sola, nella maggioranza […] non andrei. Ma se tutto il mio gruppo, l’Udc, con un piano e un progetto politico articolato e condiviso con questa maggioranza, decidesse di sostenere questa fase della legislatura, io mi sentirei di collaborare».

Tuttavia, questa speranza di apertura a favore del governo si è dissolta all’istante a causa dell’inchiesta, partita dalla Procura di Catanzaro e coordinata dal procuratore Nicola Gratteri, in cui risulta iscritto nella lista degli indagati anche il segretario nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa (da ieri dimissionario) indagato con l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa.

Alla notizia delle dimissioni di Cesa e della perquisizione della sua abitazione romana, i chiarimenti su una possibile alleanza con il gruppo parlamentare in questione non tardano ad arrivare: il ministro degli Esteri ha prontamente dichiarato «con la stessa forza con cui abbiamo preso decisioni forti in passato, ora mi sento di dire che mai il M5S potrà aprire un dialogo con soggetti condannati o indagati per mafia o reati gravi – e ha aggiunto – è evidente che questo consolidamento del governo non potrà dunque avvenire a scapito della questione morale, dei valori che abbiamo sempre difeso e che sono fondanti del progetto 5Stelle».

La ricerca dei responsabili, dunque, si fa più ardua e la richiesta del centrodestra nel chiedere al Presidente Mattarella di sciogliere le Camere per andare a votare si fa sempre più insistente. Di fatto, il tempo a disposizione del governo per rafforzare la propria maggioranza a palazzo Madama non è molto: mercoledì 27 gennaio, infatti si voterà la relazione sullo stato della Giustizia del Guardasigilli Bonafede e Matteo Renzi ha annunciato che voterà contro.

L’unica certezza che si ha al momento è che l’uscita di Renzi dalla maggioranza ha reso i dem più coesi nella scelta del premier Conte, considerato come il punto di equilibrio. Di certo non si può creare dal nulla una maggioranza che non esiste e le difficoltà riscontrate aprono nuovi scenari; come ha affermato Goffredo Bettini, storico esponente del PD, «non è che le elezioni non si possono fare, perché si fanno in tutta Europa. Ma se non riusciamo a rafforzare il governo, non c’è un governo della destra o con le destre: si va alle elezioni».


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