Bridgerton e il fascino del non convenzionale

Bridgerton è la quinta serie tv più vista prodotta da Netflix e anche la più chiacchierata. Un falso storico dal tocco magico di Shonda Rhimes.


Una delle produzioni maggiormente viste di Netflix che sta spopolando nell’ultimo mese è l’adattamento dei romanzi scritti da Julia Quinn: stiamo parlando di Bridgerton e del primo di una serie di otto libri dell’autrice statunitense, intitolato Il duca e io. Il notevole successo riscosso da un drama, definito come un mix tra Gossip Girl con un pizzico di Downton Abbey e le cronache della famiglia Bennet, spinge a chiedersi il perché di tutto questo gran fervore.

La serie tv, che potrebbe avere davanti a sé più stagioni (una per ogni libro) racconta da vicino la vita degli otto figli del visconte Bridgerton e della moglie Violet e, in questo primo capitolo in particolare, della quarta figlia Daphne, mettendo in scena, dai costumi ai dialoghi, dai balli al galateo, tutto l’immaginario che ci conduce a una lettura – seppur più leggera – dei romanzi di Jane Austin: Orgoglio e pregiudizio, come già ricordato, ma anche Ragione e sentimento, Emma, e tutti quei libri che hanno segnato passaggi di una crescita letteraria, che potremmo dire “obbligatori”, e i cui relativi film non sono stati da meno. 

Per chi ha letto il libro – se prima o dopo aver visto la serie tv non importa – non può non essere rimasto sorpreso da alcune diversità che forse hanno reso la trasposizione cinematografica migliore. Chiariamo: il racconto scritto e la sua lettura rimangono il più bel viaggio che la nostra mente possa fare, ma l’aggiunta di alcune accortezze hanno reso il tutto meno convenzionale, scontato o poco originale. D’altronde, se Julia Quinn ha lasciato carta bianca a Shonda Rhimes, che si è presa non poche libertà, un motivo deve pur esserci.

Bridgerton ha una trama semplice, rispecchia quelle che erano le preoccupazioni delle famiglie aristocratiche anglosassoni dell’Ottocento alla corte di Giorgio III: per gli uomini preoccuparsi degli affari e garantire un erede per la successione del titolo, per le donne trovare un buon marito di alto rango. Ma al di là delle vicende mondane, fatte di balli dalle sfarzose vesti, di pettegolezzi e whisky pregiati, alcune scelte di infedele trasposizione devono essere menzionate.

Simon Arthur Henry Fitzranulph Basset, duca di Hastings, che nella serie tv è interpretato dall’acclamato, tanto per bravura quanto per bellezza, Ragé-Jean Page, attore britannico di origine zimbabwese, è nel libro un uomo bianco e con gli occhi azzurri. Ma Page non è l’unico attore di colore: altri protagonisti, come la regina Carlotta (che nel libro non è affatto menzionata) e attori secondari sono calati in una Inghilterra poco fedele ai tempi. 

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Regina Carlotta di Meclemburgo-Strelitz (Golda Rosheuvel)

Per questa scelta, si è parlato di politically correct. In realtà, nessuno degli spettatori avrebbe mai gridato allo scandalo per la mancanza di attori di colore. Tutt’altro! Chi avrebbe mai immaginato di vedere un duca nero alla corte inglese? In questo caso il politicamente corretto non è una forzatura, ma, al contrario, una piacevole sorpresa.

Le musiche non sono quelle dei grandi compositori classici sette-ottocenteschi, ma cover di grandi successi pop del nostro tempo: dai Maroon 5 a Billie Eilish, da Ariana Grande a Taylor Swift. Far risuonare Beethoven, probabilmente, non sarebbe stato coerente con la stessa sceneggiatura.

C’è un altro particolare che la serie tv mette in campo, ma che è totalmente assente in questo primo libro dedicato a Simon e Daphne: il tema dell’omosessualità. Il secondo dei figli Bridgerton, Benedict, rampollo secondogenito e, per questo, non soggetto alla pressione dell’eredità e del matrimonio, appassionato di pittura, si avvicina al mondo libero dell’arte e in una festa, del tutto diversa rispetto ai protocolli di corte, si rende testimone di un incontro omosessuale clandestino. 

Il romanzo non tratta la vicenda: nell’Ottocento l’omosessualità era un crimine e bisognava ben guardarsi dal mostrarlo o dall’ammetterlo. Ma il dover nascondere il proprio orientamento sessuale, come sappiamo, ha origini più lontane e che la Rhimes abbia voluto mostrare quello che è sempre stata la più grande ipocrisia nei secoli non ci deve fare gridare allo scandalo. Quel passaggio non disturba, ma ci avvicina ai turbamenti di un’epoca che, purtroppo, non si è ancora conclusa.

In ultimo, è bene sottolineare una differenza importante e tangibile tanto nel libro quanto nella serie tv e che è, invece, distante dalle abitudini descrittive cui siamo abituati coi romanzi di Jane Austin. Entra in scena non soltanto la necessità di un riscatto delle donne, abituate a nascondere la loro intelligenza e mantenere una certa integrità, con una Daphne ironica e desiderosa di amore, ma vengono raccontate anche le aspettative opprimenti e i disagi che cadono in capo agli uomini, i rancori verso famiglie troppo severe e aride di sentimenti e la negazione di un amore libero. Qui i protagonisti sono i sentimenti tanto della donna quanto dell’uomo.

Bridgerton, sia come un romanzo che come una serie tv, nel leggerlo o nel guardarla, ci permette di ritagliarci un momento di leggerezza, di immedesimarci, di essere quel personaggio o quell’altro. È la forza dell’immaginazione e della catarsi. I temi trattati sono tanti: la famiglia, la maternità, la solitudine, l’educazione sessuale; alcuni hanno un peso maggiore di altri, alcuni sono sviluppati con più enfasi rispetto ad altri, ma hanno saputo attrarre una platea eterogenea di spettatori.

In attesa che Netflix ci presenti la prossima stagione che potrebbe uscire l’inverno prossimo, per i più curiosi, non resta che leggere i libri.