Brexit, è davvero finita?

Dal 1° gennaio il Regno Unito è ufficialmente fuori dall’Unione europea ma il nuovo accordo su Brexit lascia aperti nuovi scenari.


Stavolta sembra davvero finita. A quattro anni dal referendum, dopo intensi negoziati, un Accordo di recesso e un’intesa commerciale last minute, Brexit è diventata (anche sostanzialmente) realtà. Il 1° gennaio scorso, il Regno Unito ha lasciato ufficialmente l’Unione Europea. Dopo 47 anni di “storia europea”, la Gran Bretagna ha iniziato il 2021 da Paese terzo, non più membro dell’Unione, e lo ha fatto in maniera “ordinata”, dato che alla fine, sotto l’albero di Natale, è arrivato anche l’agognato accordo commerciale e di cooperazione con l’Ue.

Sebbene sul filo del rasoio (la sera della vigilia di Natale, a soli otto giorni dal termine ultimo del 31 dicembre previsto dall’Accordo di recesso), la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il premier britannico, Boris Johnson, hanno raggiunto l’intesa post-Brexit che dal 1° gennaio 2021 regola i rapporti bilaterali tra UK e UE. «Si tratta di un accordo buono, equilibrato e la cosa più responsabile da fare per entrambe le parti», ha commentato von der Leyen, in una conferenza stampa congiunta con il capo negoziatore Ue, Michel Barnier, subito dopo il raggiungimento dell’intesa.

brexit ursula von der leyen

L’accordo commerciale tra UK e UE – frutto di dieci intensi mesi di negoziati, avviati all’indomani dell’entrata in vigore, il 1° febbraio scorso, dell’Accordo di recesso (il primo fondamentale accordo nel processo relativo alla Brexit, che ha sancito l’uscita formale del Regno Unito dall’Unione) e proseguiti per l’intero periodo di transizione previsto dallo stesso accordo – è stato firmato dalla presidente della Commissione von der Leyen e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel il 30 dicembre scorso. 

In Ue, l’intesa post-Brexit sarà applicata in via provvisoria fino al 28 febbraio 2021. Nei prossimi giorni, infatti, il testo dell’accordo dovrà essere esaminato e approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo, così da consentirne la regolare ratifica.  Nel Regno Unito, invece, il nuovo accordo sul commercio e cooperazione è già legge. Dopo essere stato approvato dal Parlamento britannico, con i voti favorevoli sia del partito Conservatore di Johnson che del partito laburista (il partito d’opposizione) nelle prime ore di giovedì 31 dicembre, ha ottenuto il consenso della regina Elisabetta, che ha posto fine all’iter legislativo e ha sancito, per così dire, la “vittoria” del premier Johnson, al termine di un funesto 2020.

«Con questo disegno di legge diventeremo un vicino amichevole, il migliore amico e alleato che l’UE potrebbe avere, lavorando fianco a fianco ogni volta che i nostri valori e interessi coincidono con il soddisfacimento del desiderio sovrano del popolo britannico di vivere sotto le proprie leggi, fatte dal proprio parlamento eletto», ha detto il primo ministro inglese.

Per quanto il premier si sia mostrato soddisfatto (molto più di von der Leyen, secondo alcuni), l’accordo post-Brexit tra UK e UE appare tutt’altro che definitivo: un compromesso tra i compromessi, che richiederà ulteriori negoziazioni in futuro.

Il testo dell’intesa tra UE e UK su commercio e cooperazione mette in atto anzitutto il libero scambio, con la rimozione di dazi o quote. Le merci scambiate tra Unione europea e Regno Unito dovranno però rispettare le norme d’origine preferenziale: le aziende britanniche saranno chiamate, infatti, a certificare l’origine dei loro prodotti e a dimostrare la conformità dei processi di produzione alla normativa europea. Saranno ripristinati i controlli alle dogane e una serie di altri impedimenti, che renderanno senza dubbio più difficili e costosi gli scambi. 

Per quanto riguarda il level playing field – uno dei punti critici dei negoziati, temendo l’UE che le aziende britanniche potessero fare concorrenza sleale a quelle europee – le parti hanno concordato di impegnarsi ad adottare standard minimi in materia ambientale, sociale, fiscale e sulle condizioni dei lavoratori.

In questo settore, però, il Regno Unito ha ottenuto “libertà normativa”: non sarà infatti obbligato a uniformarsi agli eventuali irrigidimenti della legislazione dell’Unione, ma potrà garantire gli standard adottando norme proprie. Nel caso in cui si dovessero verificare episodi di concorrenza sleale è previsto un “meccanismo di riequilibrio”, che opererebbe ex post, con la possibilità per entrambe le parti di introdurre misure di ritorsione che imporrebbero dazi su alcuni beni.

Su tale meccanismo, il Regno Unito si è guadagnato anche l’intervento di un arbitrato indipendente che agirà, in generale, in caso di controversie sul rispetto dell’accordo (evitando il ruolo diretto della Corte di giustizia dell’Unione Europea, come voleva invece l’UE).

Per quanto attiene la pesca, altro nodo cruciale in sede di negoziati, il nuovo accordo introduce un compromesso per cui fino a giugno 2026, i pescherecci dell’Unione europea potranno accedere alle acque territoriali britanniche, riducendo però del 25 per cento la quota di pescato. Dopo questa data, l’accesso e le quote saranno negoziati annualmente. 

Con le sue 1256 pagine, l’accordo commerciale post-Brexit ha permesso un’uscita ordinata del Regno Unito dall’Unione, scongiurando l’incubo no deal. Tuttavia, occorre tenere bene a mente che il nuovo accordo ha comunque sancito una frattura, un punto di non ritorno rispetto al passato. 

L’intesa tra UK e UE ha infatti rimosso il Regno Unito dal mercato unico europeo, ponendo fine alla libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Per di più, l’accordo che liberalizza gli scambi e disciplina la cooperazione amichevole non copre i servizi, la politica estera e di sicurezza comune e alcuni importanti programmi Ue aperti ai Paesi terzi (il Regno Unito ha scelto, infatti, di ritirarsi dal programma Erasmus, mentre continuerà a partecipare e a finanziare Horizon Europe, il programma europeo per lo sviluppo e la ricerca).

In questi mesi, il governo britannico si è mostrato infatti riluttante a estendere anche a questi settori l’intesa commerciale con l’UE, lasciando di fatto in sospeso non poche questioni in aree fondamentali per la vita dell’Unione e degli europei. Per questo, occorrerà aspettare qualche tempo per comprendere i reali effetti dell’accordo di Natale sulle relazioni tra UE e UK. L’intesa prevede alcuni periodi transitori (la pesca ne è un esempio) e la sua attuazione richiederà continue modifiche e negoziazioni tra le parti, che potrebbero aprire nuovi scenari.

Se a ciò si aggiungono le reazioni politiche di dissenso con cui le amministrazioni di Scozia e Irlanda del Nord hanno accompagnato l’approvazione della nuova intesa («Europa, torneremo presto», ha twittato il primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon), per quanto il governo britannico appaia determinato a riprendere il controllo dei propri confini nazionali, sulla Brexit non è forse ancora giunto il momento di mettere la parola fine.


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