Bosnia, i profughi del campo di Lipa sono stati abbandonati

L’incendio divampato il 23 dicembre al campo di Lipa è solo uno degli episodi di violenza avvenuti negli ultimi mesi in Bosnia-Erzegovina, dove si sta consumando una crisi umanitaria senza precedenti.


La rotta balcanica percorsa dai migranti è stata, negli ultimi dieci anni, la via alternativa a quella mediterranea e la Bosnia-Erzegovina rappresenta proprio l’ultima tappa prima di poter superare i confini ed entrare in Unione Europea, precisamente dalla Croazia.

Se la questione relativa ai migranti richiedenti asilo all’interno del confine dell’Unione europea sembra instabile – come nei campi profughi in Grecia o nelle nuove navi-quarantena per la sorveglianza sanitaria dei migranti soccorsi al largo di Lampedusa – la situazione al confine con la Croazia risulta estremamente precaria.

A 30 km da Bihać, capoluogo del cantone Una-Sana della Bosnia ed Erzegovina e città più prossima al confine con la Croazia, è stato aperto nell’aprile del 2020 il campo profughi di Lipa costituito da sole tende per far fronte all’aumento del numero dei migranti che transitano periodicamente in questa area. Questo campo, originariamente temporaneo con una capienza massima di mille persone, è stato istituito soprattutto per ridurre i sovraffollamenti nel centro di accoglienza di Bira, inaugurato nel 2018 nell’ex area industriale nella periferia di Bihać e gestito dall’OIM (l’Organizzazione per le migrazioni delle Nazioni Unite).

Tuttavia, a seguito di alcuni episodi di violenza ai danni dei profughi ospitati nel campo, nel settembre del 2020 le autorità locali e il governo cantonale decidono la chiusura e lo sgombero immediato del campo di Bira e di trasferire i migranti nel campo di Lipa, senza coinvolgere e comunicare la propria decisione né al governo centrale di Sarajevo né all’OIM.

Questa decisione totalmente unilaterale, contestata dalle Nazioni Unite e dalle ONG che operano nel territorio del cantone, ha reso la situazione nel territorio di Bihać insostenibile: il numero delle persone ospitate nel campo di Bira prima dello sgombero e successivamente trasferite nel campo temporaneo di Lipa, ammontava a circa duemila persone; a questo numero vanno ad aggiungersi i migranti già ospitati nel campo temporaneo, già in massimo regime durante l’estate.

Inoltre, essendo in origine una soluzione momentanea, il campo tendato di Lipa non è mai stato attrezzato per essere utilizzato come alloggio invernale. L’ONU ha espresso forti preoccupazioni, soprattutto in vista del rigido inverno in arrivo: il campo di Lipa, infatti, non ha mai presentato alloggi sicuri e riparati per tutti i suoi ospiti e risulta, inoltre, impossibile prendere misure preventive contro il Covid-19.

Nei mesi successivi allo sgombero del centro di accoglienza, il governo centrale ha cercato di instaurare un dialogo costruttivo con il sindaco di Bihać e il governatore del cantone proponendo la riapertura del campo di Bira, ottenendo però solo l’acuirsi di un conflitto tra poteri (locali, centrali e sovranazionali) di per sé già aspro sulla gestione dei flussi migratori nell’area balcanica.

Tuttavia, durante lo svolgimento del dibattito nei palazzi del potere, la situazione nel campo di Lipa è divenuta sempre più insostenibile a causa della mancanza di acqua corrente e potabile, elettricità e riscaldamenti; a queste condizioni disumane vanno ad aggiungersi l’aumento di episodi di violenza da parte dei cittadini residenti a Bihać, che hanno organizzato una vera e propria “caccia al migrante” nei confronti di chi tentava di oltrepassare il confine verso la Croazia.

L’OIM, che ha tentato comunque di gestire un campo in condizioni disumane, ha deciso a metà dicembre di lanciare un ultimatum alle autorità locali: l’OIM avrebbe lasciato la gestione del campo a meno che l’autorità locale non avesse provveduto all’approvvigionamento, anche nelle forme più elementari, delle risorse elettriche e idriche.  Purtroppo, l’ultimatum non ha portato all’effetto sperato e l’organizzazione ha ottenuto come risposta l’ennesimo silenzio.

Il 23 dicembre, mentre il personale dell’OIM lasciava Lipa, è scoppiato un incendio che ha distrutto l’intero campo. Secondo il rappresentante dell’OIM in Bosnia-Erzegovina, Peter Van der Auweraert, almeno 900 persone sono rimaste senza un alloggio. Secondo le ultime ricostruzioni, ad appiccare l’incendio sono stati proprio alcuni ospiti del campo che per protesta hanno deciso di distruggere alcune tende prima di fuggire.

L’incendio al campo di Lipa è stato solo uno degli ultimi episodi di violenza e tensione sociale divenuti ormai di routine nel confine tra Croazia e Bosnia-Erzegovina, poiché l’inadeguatezza all’accoglienza di questo campo era già chiara, soprattutto nel periodo invernale.

Intanto, le istituzioni bosniache continuano ad accusarsi a vicenda con un imbarazzante rimbalzo di responsabilità: a seguito dell’incendio; il ministro della sicurezza bosniaco Cikotic ha deciso di trasferire i migranti in una ex caserma a sud di Sarajevo: questo trasferimento purtroppo non è ancora andato in porto a causa delle proteste delle comunità locali; il medesimo scontro tra comunità locali e centrali è avvenuto nel momento in cui il governo centrale, sotto la pressione dell’UE, ha tentato di riaprire temporaneamente il centro di Bira.

Non riuscendo a risolvere questo conflitto con le autorità locali, il governo centrale ha deciso infine di inviare le forze dell’ordine a Lipa per allestire una nuova tendopoli, abbandonando i richiedenti asilo (se è possibile abbandonarli più di quanto lo siano già) tra le macerie di quello che è rimasto del campo di Lipa, costituito originariamente soltanto da tende e container.


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