Riuscirà l’amministrazione Biden a rispettare i diritti dei nativi?

Soffia il vento del cambiamento: i nativi americani non sono “qualcos’altro” e chiedono rispetto, e la possibile nomina della nativa Deb Haaland sarebbe di portata storica.


Mentre Trump continua a fare Trump, ha ufficialmente avuto avvio la transizione per l’insediamento di Biden. Il neo eletto presidente ha promesso un’amministrazione che “assomigli all’America” e ne rispecchi la diversità. 

Per quanto promettente (soprattutto dopo quattro anni di comunicazione trumpiana) una dichiarazione rimane solo un insieme di parole se non è seguita da fatti concreti. Un importante, nonché storico, fatto concreto sarebbe certamente la nomina come Segretario degli Interni di Deb Haaland. 

Originaria del New Mexico e facente parte della tribù Pueblo, Deb Haaland è stata la prima nativa americana eletta al Congresso nel 2018, insieme a Sharice Davids della tribù Ho-Chunk Nation. Più di 50 democratici alla Camera stanno spingendo la sua nomina attraverso una lettera inviata al team di Biden. “Si può fare la storia dando per la prima volta ai nativi americani un posto al tavolo del gabinetto” scrivono i deputati. 

La Haaland sarebbe infatti la prima nativa a sovrintendere il Dipartimento degli Interni e il primo Segretario di governo di origine nativa nella storia degli Stati Uniti. Avere un nativo americano in un ruolo chiave dell’amministrazione presidenziale avrebbe conseguenze mai immaginate prima per il popolo indigeno. Nick Tilsen, CEO di NDN Collective (organizzazione dedicata alla costruzione del potere indigeno) ne ha sottolineato l’importanza spiegando che «nominare una persona indigena come Segretario degli Interni è un passo davvero enorme nella giusta direzione per ottenere il giusto rapporto del Paese con gli indigeni».

Se venisse confermata, la sua nomina sarebbe quindi una svolta epocale per gli Stati Uniti. Per la prima volta verrebbe riconosciuta a livello istituzionale l’esistenza e il ruolo esercitato dal “popolo invisibile” dei nativi americani

Perché invisibile? Nonostante a livello elettorale il loro voto abbia avuto un peso più che consistente, la rilevanza data loro dai media e dai politici è tuttora pressoché nulla. La sera delle elezioni, la Cnn ha dato una chiara dimostrazione di ciò mostrando un grafico nel quale i nativi americani sono inseriti nella categoria “qualcos’altro” insieme agli elettori non bianchi, non latini, non afroamericani, non asiatici. Ha quindi sostanzialmente negato l’esistenza dei nativi in quanto popolo. 

La Native American Journalists Association (NAJA) ha chiesto le scuse della Cnn, affermando che: «essere nativi americani è una classificazione politica, non solo un background razziale. Le nazioni native hanno avuto un rapporto da governo a governo con gli Stati Uniti sin dal primo giorno. Fare riferimento agli elettori indigeni come “qualcos’altro” non riesce a riconoscere la sovranità e la classificazione politica degli elettori nativi».

Un fatto gravissimo alla luce del ruolo fondamentale svolto dagli elettori nativi nelle ultime elezioni presidenziali in diversi Stati chiave, tra cui l’Arizona, dove i nativi costituiscono circa il 6 per cento della popolazione.

Proprio in Arizona si trova la riserva dei Navajo. Si tratta della più grande riserva indigena americana, con 180 mila abitanti e un’estensione che si estende anche in New Mexico e nello Utah. La riserva Navajo vanta circa 67 mila elettori idonei. Durante le ultime elezioni i Navajo hanno avuto una affluenza alle urne del 97 per cento risultando fondamentali alla vittoria di Biden in ben tre contee, con un totale di 73.954 voti a suo favore. Nonostante ciò rimangono agli occhi dei media “qualcos’altro”. Una scelta priva di logica e di rispetto. 

Alla mancanza di attenzione mediatica si accompagna ovviamente la scarsa attenzione politica riservata alle loro principali problematiche. I nativi americani hanno il più alto tasso di povertà rispetto a qualsiasi altro gruppo razziale, quasi il doppio della media nazionale. L’estrema povertà contribuisce non solo all’aumento della criminalità ma anche a elevati tassi di suicidio, alcolismo, abusi sessuali. Il suicidio è la seconda causa di morte tra i nativi di età compresa tra i 10 e i 34 anni. 

L’assistenza loro fornita durante l’emergenza Coronavirus è stata scadente, nonostante le tribù siano state duramente colpite dalla pandemia. Nel maggio 2020 la riserva Navajo ha infatti avuto numeri di contagio di molto superiori a quelli di New York e ha perso quasi 600 membri. Le tribù hanno addirittura dovuto agire giudizialmente per ricevere 8 miliardi in finanziamenti di soccorso COVID-19 loro dovuti dal governo federale.

Parte dei progressi registrati per i popoli dei nativi negli ultimi anni non sono dovuti all’operato delle istituzioni, ma a gruppi di attivisti come il Native American Rights Fund e Four Directions, i quali hanno impugnato numerose leggi che privavano ancora oggi  i nativi americani del diritto di voto, come ad esempio la legge sull’identificazione degli elettori nel North Dakota che richiedeva indirizzi stradali tradizionali. 

La nomina di Deb Haaland potrebbe dunque essere fondamentale per permettere ai nativi americani di uscire dall’invisibilità dentro la quale sono stati rilegati dai media e dalla politica e per ottenere, dopo secoli di sfruttamento, il rispetto e l’attenzione che meritano.