Dalla presa della Bastiglia alla “sicurezza globale”: i francesi e il senso di rivolta

Quella contro la “sicurezza globale” è solo l’ultima delle proteste dei francesi che, per difendere i loro diritti, non hanno mai esitato a riversarsi nelle piazze.


I francesi sono scesi in piazza, di nuovo. E lo hanno fatto, come sempre, per difendere l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali che garantiscono la vita della Repubblica e della democrazia. Da Parigi a Lione, da Bordeaux a Strasburgo, da Lille a Rennes. Lo scorso 28 novembre, in migliaia hanno protestato contro la proposta di legge sulla “sicurezza globale”, percepita dalla popolazione come un freno alla libertà di stampa e di espressione.

Il disegno di legge – presentato dalla maggioranza a sostegno del Presidente Macron, (République En Marche e Agir), allo scopo di arginare criminalità e terrorismo – è già stato approvato dall’Assemblea Nazionale ed è ora in discussione al Senato. Il testo prevede l’ampliamento del campo di intervento delle forze di polizia municipale, l’impiego di agenti di polizia nel settore della sicurezza privata e l’autorizzazione, per le forze dell’ordine, a utilizzare droni e a eseguire operazioni di sorveglianza su strade pubbliche, nel caso di “gravi disturbi all’ordine pubblico”, o semplicemente al fine di prevenire attentati alla sicurezza di persone e cose in luoghi particolarmente esposti al rischio terrorismo.

La parte più controversa della legge sulla sicurezza globale rimane, però, quella relativa al divieto di diffusione delle immagini delle forze dell’ordine in azione. L’articolo 24 del disegno di legge, infatti, punisce la diffusione del “volto o altro elemento di identificazione” di un poliziotto o di un gendarme in intervento, quando questo sia finalizzato a recare danno “alla sua integrità fisica o psichica”, con un anno di reclusione e una multa di 45.000 euro.

Agli occhi della società civile, la norma è apparsa come antidemocratica e liberticida. Così, mentre il governo francese ha continuato a rivendicare l’ambizione della nuova legge di fornire maggiore protezione ai poliziotti, giornalisti, attivisti e semplici cittadini francesi hanno aspramente criticato la sanzione dell’uso “distorto” di foto e video degli agenti in attività, che non limiterebbe solamente la libertà di stampa, ma finirebbe, di fatto, per autorizzare la violenza indiscriminata della polizia.

A detta del governo, il provvedimento non impedirà la trasmissione delle immagini alle autorità amministrative e giudiziarie. Tuttavia, in un contesto segnato da un crescente clima di sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine, a fronte dei sempre più frequenti episodi di violenza ad opera della polizia (da ultimo, il brutale pestaggio del produttore musicale, Michel Zecler, avvenuto lo scorso 21 novembre a Parigi, da parte di quattro agenti, ora in stato fermo), l’articolo 24 della legge sulla sicurezza è risuonato come un’ingente limitazione del diritto di critica e di protesta. E tanto è bastato ai francesi per indignarsi e riversarsi in massa nelle piazze. 

«È il popolo della libertà che ha marciato in tutta la Francia per dire al governo che non vuole la sua legge sulla “sicurezza globale”, che rifiuta la sorveglianza generalizzata e i droni, che vuole essere in grado di filmare e trasmettere gli interventi della polizia», ha dichiarato  il coordinamento di protesta StopLoiSécuritéGlobale, che riunisce i sindacati dei giornalisti e le associazioni per i diritti umani. «Questo movimento è ancora agli inizi; il giubilo popolare e la folla che canta slogan felici e pieni di speranza ci impongono di continuare questa lotta nei prossimi giorni per lo Stato di diritto, per la democrazia, per la Repubblica».

E non ci sarebbe da stupirsi, del resto, se le proteste continuassero a oltranza, fino all’ottenimento di un risultato concreto, un emendamento o il ritiro stesso della legge in discussione. Se c’è una cosa che, forse più di tutte, appartiene al popolo francese, infatti, è la compattezza nelle sue battaglie contro gli abusi di potere; la capacità di giocarsi il tutto per tutto a difesa delle libertà, fino a passare alla storia.

Dalla presa della Bastiglia del 14 luglio 1789, che avrebbe posto fine all’Ancien Régime, dando inizio alla Rivoluzione francese, alle insurrezioni della popolazione ultra cattolica e monarchica della Vandea, brutalmente represse, in quello che alcuni storici considerano un vero e proprio genocidio; dai moti del 1848, soffocati nel sangue dal generale Cavaignac, alla Comune di Parigi del 1871, il governo popolare instaurato a seguito delle rivolte (anch’esse ferocemente represse) dei contadini francesi, in nome dell’uguaglianza economica e sociale; dalle contestazioni del ’68, che ebbero per protagonisti studenti e operai, alle mobilitazioni dei “berretti rossi”, i rivoltosi bretoni che, nel 2013, scesero in piazza contro le imposizioni fiscali di Hollande; dai gilet gialli e la lotta per la riduzione del prezzo della benzina fino alle proteste odierne contro la legge sulla sicurezza globale.

Le insurrezioni, i tumulti e le proteste che, nel corso del tempo, hanno coinvolto il popolo francese hanno sempre avuto un unico comune denominatore: il senso di rivolta. Un impulso che si è ripetuto ogni qualvolta si è trattato di difendere diritti e libertà, di combattere contro abusi e disuguaglianze. La storia del popolo francese ha la ribellione come costante.

Non importa se siano stati di destra o di sinistra, contadini o borghesi, ricchi o poveri, studenti o lavoratori, laddove sia stato posto un freno a “liberté” ed “egalité”, i francesi sono sempre scesi in piazza, determinati a vincere (come, di fatto, è spesso avvenuto) le loro battaglie.

Aldilà dei risvolti futuri, allora, le proteste di questi giorni contro la legge sulla “sicurezza globale”, ci dicono, ancora una volta, della caparbietà della società civile francese; della consapevolezza che i francesi hanno dei loro diritti e della loro capacità di difenderli, tutti e insieme, quando vengono negati. Ci dicono della forza delle voci unanimi, alla quale noi italiani abbiamo, forse, smesso di credere e di cui, oggi più che mai, abbiamo bisogno. Su questo, dai francesi abbiamo solo da imparare. Non c’è storia né partita che tengano: solo chapeau.