Gli ultimi giorni di Donald Trump

Accuse, manovre, tanto fumo e tanto teatro: gli ultimi giorni di Donald Trump alla Casa Bianca rivelano un quadro grossolano all’apparenza ma problematico nella sostanza.


Se si volessero descrivere in una sola immagine gli ultimi colpi di coda dell’amministrazione Trump, salterebbe subito all’occhio lo scatto che immortala l’avvocato di Trump Rudolph Giuliani, in un comizio dove parla di “elezioni rubate”, mentre una goccia di sudore si mescola alla tinta per capelli lasciandogli una scia nera sulla faccia. L’immagine sembra quasi una parodia ed è stata a più riprese fatta circolare in rete, diventando facile tormentone e frutto di prese in giro. Ma dietro alle azioni di Giuliani e dello stesso Donald Trump, apparentemente farsesche, si stanno creando dei precedenti pericolosi.

Il rifiuto di Donald Trump di accettare il risultato delle elezioni è già di per sé un atto quasi senza precedenti nella storia degli Stati Uniti. Il solo altro caso nella storia della nazione risale al lontano 1876, quando Rutherford Hayes, allora governatore dell’Ohio, riuscì a contestare i risultati elettorali di tre Stati e a strappare la presidenza al candidato Samuel Tilden. E in quel caso, il risultato appariva decisamente più fumoso e controverso rispetto all’attuale situazione tra Donald Trump e Joe Biden.

In effetti, i tentativi legali per cercare di smentire il risultato sembrano confermare che le affermazioni del presidente uscente e del suo avvocato siano ingiustificate. Il riconteggio dei voti richiesto in Georgia ha confermato i risultati a favore del candidato dei Democratici e le azioni legali in Pennsylvania, Arizona e Michigan sono state respinte.

L’ulteriore tentativo da parte di Trump di indurre ciascuno dei governatori appartenenti al suo partito a dichiarare l’invalidità dei risultati nel proprio stato sembra fallito ed è stato denunciato dal senatore repubblicano Mitt Romney come “una delle manovre più antidemocratiche mai provate da un presidente degli Stati Uniti”, anche a causa delle sue deboli basi legali e dell’assenza di quelle prove che Giuliani e altri legali di Trump dichiarano di avere ma non hanno mai mostrato.

Rimane tuttavia un punto cruciale: sebbene il suo mandato sia ormai giunto al termine, Donald Trump ha poco meno di due mesi di tempo per portare avanti la sua agenda politica, creando quindi situazioni che, per il successore, potrebbero rivelarsi spinose e difficili da risolvere, per tanti motivi. Normalmente, iniziative di questo tipo dovrebbero essere portate avanti considerando l’operato della nuova amministrazione, per un fattore puramente pratico: iniziare manovre che potrebbero essere successivamente rovesciate dalla controparte politica crea stalli e danneggia l’interesse dello Stato. Tuttavia, il presidente uscente sembra intenzionato a portare avanti la sua politica estera aggressiva.

Un esempio è l’intenzione di ridurre il numero di soldati in Afghanistan e Iraq. Nonostante anche Biden abbia in programma un’azione simile, i numeri da lui indicati sono nettamente inferiori a quelli proposti da Trump, con un taglio netto che porterebbe i soldati sia in Iraq che in Afghanistan a 2500 in ciascun paese. Un rientro così massiccio, secondo fonti interne al partito repubblicano, rischierebbe tuttavia di urtare gli interessi degli Stati Uniti nella zona, avvantaggiando invece gli avversari del governo afghano.

L’Afghanistan, in particolare, sta vivendo una situazione particolarmente delicata: all’inizio del 2020, dopo anni di trattative, si era arrivati a un accordo tra le forze governative afghane e i talebani, gruppo con forti legami con il terrorismo di Al-Qaida. I talebani si impegnavano a prendere le distanze dai terroristi per trattare col governo, ottenendo in cambio il ritiro delle truppe americane nel corso del 2021. Tuttavia, le recenti dichiarazioni di Trump hanno lasciato intendere che il rientro dei soldati avverrà a prescindere; non è un caso dunque se nel mese di ottobre sia stato registrato il maggior numero di morti civili per attacchi terroristici sul territorio, dal momento che viene a mancare al governo locale la possibilità di usare la presenza americana come deterrente. Neanche tra le fila dei repubblicani questa manovra di rientro viene vista di buon occhio, in particolare da Mitch McConnell, capo dei repubblicani al Senato e fervente sostenitore di Trump.

Inoltre, qualche giorno dopo la dichiarazione della sconfitta, Donald Trump avrebbe chiesto ai principali esponenti della sua amministrazione se fosse possibile bombardare un sito nucleare in Iran. Il rischio di creare un nuovo conflitto così vasto a poche settimane dalla fine del suo mandato era evidente ed è indicativo dell’ambivalenza nei gesti e nei pensieri del presidente uscente: Trump sembra deciso a creare situazioni difficili da risolvere per la nuova amministrazione. Un simile atto di guerra renderebbe impossibile il progetto politico di Joe Biden in Iran, che prevede un nuovo accordo sul nucleare sulla scia di quello di Obama, con un alleggerimento delle sanzioni in cambio di un limite sul programma nucleare.

I rapporti tra USA e Iran, anche a causa della politica di scontro diretto portata avanti da Trump, sono cambiati. Il ritiro unilaterale dall’accordo con l’Iran nel maggio 2018 e la nuova imposizione di sanzioni più dure delle precedenti hanno rafforzato l’ala più estremista della politica iraniana, contraria al dialogo con gli Stati Uniti. Inoltre, il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo ha portato l’Iran a far ripartire la sua politica sul nucleare, con una produzione di uranio arricchito che ora permetterebbe al paese di creare una bomba nucleare in meno di un anno; l’applicazione di sanzioni ha infine provocato dissidi con l’Europa, che aveva negoziato assieme a Obama l’accordo e che per via dell’extraterritorialità delle sanzioni si è ritrovata a dovere negoziare un accordo diverso che escludesse gli USA, isolandoli ulteriormente a livello internazionale.

L’aumento della conflittualità dell’Iran, in cui è ancora aperta la ferita provocata dall’uccisione per mano americana del generale Soleimani, accresce quindi il rischio di un atteggiamento sempre più duro da parte dell’Iran; un problema che Biden potrebbe ritrovarsi ad affrontare anche senza l’ulteriore “aiuto” di un presidente uscente che, con la sua ambiguità, rischia di creare situazioni che appaiono ridicole ma che hanno conseguenze potenzialmente gravi.


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