Sentenza storica: a Palermo il primo rider assunto come dipendente

Dal tribunale di Palermo viene richiesta la reintegrazione del rider licenziato: per la prima volta nella storia d’Italia, un fattorino è stato assunto a tempo indeterminato da un’azienda food delivery. 


Ormai da alcuni anni a questa parte, in sella a biciclette o motorini, percorrono le strade delle nostre città, con la pioggia o con il sole e a tutte le ore del giorno e della notte, per effettuare consegne a domicilio: sono loro, i riders.

I grandi operatori del settore, tra cui ricordiamo il colosso inglese Deliveroo, la tedesca Foodora, la danese JustEat e la spagnola Glovo, svolgono la semplice funzione di intermediari, mettendo in contatto i ristoratori con il cliente consumatore. Essi gestiscono, in sostanza, l’acquisizione dell’ordine e la fase di consegna attraverso i riders, i quali ricevono una notifica sullo smartphone oppure una telefonata.

In base ad una dichiarazione rilasciata nel 2019 all’Osservatorio dei diritti da un componente di Deliverance Milano (il collettivo autonomo di fattorini e sindacato sociale organizzato del capoluogo lombardo) tutto avviene di norma senza alcun contatto fisico tra le parti: «Anche la firma sul contratto di lavoro è in forma digitale. Il cassone o la valigia per le consegne, la pettorina di riconoscimento, e il porta smartphone da polso li spediscono a casa in comodato d’uso gratuito oppure, più di frequente, con una cauzione di 65 euro da restituire con il primo stipendio».

Non solo: «I rider hanno un ranking, una sorta di posizione in classifica che viene determinata da un algoritmo. L’essere disponibile nelle ore calde, per intenderci dalle 20 alle 22, determina anche la possibilità di scelta dei turni; se hai il punteggio più alto, hai la priorità nello scegliere i turni che vuoi per la settimana successiva. Ma il punteggio dipende anche dalla disponibilità che dai. In definitiva, più lavori e più vantaggi hai così come se riesci a gestirti meglio».

Sembra poi opportuno evidenziare che tutte le spese per la manutenzione del mezzo di locomozione, il carburante, la RC-moto e il bollo risultano a carico del singolo fattorino; di norma avviene lo stesso per ogni danno subito durante l’orario di lavoro.

A questo proposito, in particolare, è recente la decisione dell’ASAPS (Associazione Sostenitori Amici della Polizia Stradale), di istituire un Osservatorio Incidenti Rider Food Delivery, allo scopo di raccogliere i dati relativi agli incidenti più gravi che coinvolgono quei lavoratori che operano quotidianamente sulle nostre strade, con ritmi sempre più veloci e stressanti.

Inoltre, quanto alla tipologia contrattuale relativa all’instaurazione del rapporto di lavoro tra piattaforma e rider, appare evidente come la stragrande maggioranza dei gruppi di food delivery abbia sistematicamente fatto ricorso alla categoria della “collaborazione occasionale”, con importanti ricadute negative in termini economici, normativi e previdenziali.

In particolare, ciò ha comportato l’assenza di una retribuzione minima prevista da contratto, di ferie e permessi retribuiti e di contributi previdenziali e assistenziali; e ancora, l’assenza di tutele in caso di infortunio o malattia professionale, contro il licenziamento illegittimo, nonché della tredicesima e quattordicesima mensilità.

Tutto questo a fronte di guadagni veramente ridicoli, se facciamo riferimento ai dati pubblicati sul sito della UILTUCS (Coordinamento Networkers) lo scorso 16 aprile. Quest’ultimo riporta una tabella ripresa dal sito “24plus” de Il Sole 24Ore contenente le tariffe che Glovo paga ai fattorini che collaborano con la piattaforma di consegne a domicilio.

Scopriamo così che a Brescia e a Modena, per esempio, la tariffa base per consegna risulta addirittura di 1 euro. Mentre a Cagliari la tariffa per una consegna di 5 km, senza attesa, è di 3,20 euro con una base di 1,20 euro. 

Si tratta, in definitiva, dell’ennesimo sintomo di una società malata, nella quale, mentre la crisi economica rende irreversibile la precarietà, i lavoratori diventano invisibili, sfruttati dal meccanismo senza pietà della concorrenza imprenditoriale; una terra di mezzo fatta di poche garanzie e tanti doveri. 

A questa condizione insostenibile, si sono ribellati alcuni dipendenti Foodora che, a Torino, nel settembre 2016, erano scesi in piazza per protestare contro paga e condizioni di lavoro e, nel 2017 non avevano avuto rinnovato il rapporto di lavoro. Nel maggio del 2018 il Tribunale respinse però il loro ricorso, sottolineando l’assenza dei presupposti per una reintegrazione, in quanto lavoratori autonomi.

L’anno successivo, invece, il giudizio di fronte alla Corte d’Appello ebbe esito positivo, stabilendo quest’ultima che, pur trattandosi di lavoratori autonomi, gli stessi avevano diritto in termini di sicurezza, inquadramento professionale, limiti di orario, ferie e previdenza, allo stesso trattamento dei lavoratori subordinati.

La multinazionale tedesca fece quindi ricorso contro la sentenza e il caso approdò in Corte di Cassazione. Con pronuncia definitiva, la Suprema Corte confermò quanto sancito dalla Corte di appello: «Le prestazioni dei rider rientrano tra le “collaborazioni etero-organizzate” alle quali va applicata la disciplina del lavoro subordinato».

Ancora, una vicenda simile a quella dei fattorini torinesi, ha interessato nei giorni scorsi la stessa città di Palermo. In particolare, protagonista è stato in tal caso, Marco Tuttolomondo, rider 49enne che lavora per Glovo dalla fine del 2018. Divenuto sindacalista, in seguito ad alcune sue dichiarazioni, è stato allontanato, lo scorso marzo, mediante disconnessione dalla piattaforma digitale di food delivery. Il fattorino, di fronte a quello che nei fatti era un licenziamento, ha quindi deciso di presentare ricorso al Tribunale di Palermo, chiedendo di essere reintegrato.

Lo scorso lunedì, dopo mesi di attesa, è finalmente giunta la storica sentenza che si spera possa fare adesso da apripista per la soluzione positiva di casi simili a quello di Marco: il giudice di primo grado ha stabilito che Glovo sarà obbligata, non soltanto ad assumere nuovamente il suo rider, ma altresì a pagargli una somma a titolo di risarcimento pari ai danni subiti dal giorno della disconnessione, più le differenze retributive tra quanto effettivamente percepito mediante il contratto di lavoro autonomo e quanto invece gli sarebbe spettato come lavoratore subordinato.

Nello specifico, Marco è così diventato il primo rider in Italia ad essere assunto a tempo pieno ed indeterminato; sarà pagato con uno stipendio orario e non più a cottimo e gli saranno applicati i minimi salariali previsti per il Terziario.

Foto in copertina di Ester Di Bona