Restauro del Castello della Zisa: la Regione Siciliana ci mette un milione di euro

Dopo lo stop dovuto al lockdown, arriva la spinta della Regione Siciliana al restauro del Castello della Zisa. Un’occasione per rinvigorire un bene culturale e la sua comunità.


La settimana è iniziata con l’annuncio dell’Assessorato regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana: «verrà destinato un milione di euro ai lavori di restauro del Castello della Zisa di Palermo». La splendida notizia da parte dell’assessorato guidato da Alberto Samonà porta l’attenzione sulla residenza d’epoca normanna e i suoi giardini, questi ultimi già oggetto di sistemazione in passato. I lavori di restauro, che erano già iniziati, sono stati interrotti dal lockdown di marzo, e si prevede potranno finire nel corso del 2021 anche grazie a questo ulteriore contributo.

La storia del Castello della Zisa è molto travagliata; si potrebbe quasi dire che è stato ridotto più volte “in stampelle”. La Zisa – come è chiamata più frequentemente dai palermitani – venne fatta costruire dal re normanno Guglielmo I nella seconda metà del XII secolo. Ma quello che vediamo oggi non è certamente il suo aspetto originale: la Zisa ha infatti subito notevoli trasformazioni nelle strutture e nell’immagine.

Nel Trecento fu realizzata una merlatura, segno inequivocabile dei tempi della sua applicazione, distruggendo parte dell’iscrizione in lingua araba che ornava l’edificio. È seicentesco il posizionamento all’ingresso dello stemma marmoreo con due leoni, simbolo della famiglia di Don Giovanni di Sandoval, casata che rilevò il palazzo. Diverse alterazioni della struttura originale vedono l’arrivo di nuovi volumi, di una nuova scalinata e perfino il rifacimento delle finestre in una versione meno “arabeggiante”.

Biblioteca Comunale di Palermo – Collezione del Fondo Di Benedetto

Il Castello della Zisa, nonostante la sua storia vetusta, divenne la Zisa che apprezziamo oggi – il monumento e non un’abitazione – solo molti anni dopo. Con la morte dell’ultimo Sandoval nel 1808 la Zisa passò alla famiglia Notarbartolo, nonché ai principi di Sciara, che la utilizzarono per usi residenziali fino al 1955, anno in cui la Regione Siciliana decise di espropriarla per permetterne il restauro e la valorizzazione come bene storico. Ma anche allora non venne compiuta la “giustizia culturale”.

Passarono altri 15 anni di abbandono (e un crollo) prima che qualcuno prendesse le redini di una progettualità che potesse recuperare la fortezza normanna che dà nome persino a un quartiere di Palermo. Nel 1971 la Zisa era irriconoscibile: il mancato consolidamento e l’inesistente manutenzione dopo l’esproprio, oltre a furti e atti di vandalismo che deturparono un pezzo di storia cittadina, resero il castello un vero e proprio rudere.

Il terremoto del 1968, inoltre, compromise ulteriormente le condizioni già precarie della struttura. Il colpo di grazia arrivò nella notte del 13 ottobre del 1971: una falla larga circa otto metri, dal primo piano fino alla copertura del fronte occidentale, fece sprofondare volte e coperture, privando la Zisa dell’ala destra.

Quell’anno, finalmente, l’amministrazione comunale diede avvio a un progetto di restauro: Paolo Marconi (come consulente) e l’architetto Giuseppe Caronia si occuparono della sistemazione degli esterni e degli interni, oltre che della ricostruzione dell’ala crollata. I lavori iniziarono solamente nel 1974 e, solo dopo vent’anni dal progetto di restauro, nel 1991 il Castello della Zisa fu restituito ai cittadini e ai turisti. Nel 2015, il monumento che ad oggi è tra i principali simboli del percorso arabo-normanno di Palermo, è entrato a far parte del Patrimonio dell’umanità Unesco.

L’assessore Alberto Samonà, in un post sulla sua pagina Facebook, scrive che la scelta di puntare sulla Zisa si inserisce in una più ampia azione di «riqualificazione del patrimonio abbandonato e degradato, creazione di nuovi spazi espositivi, miglioramento e adeguamento delle strutture museali e dei siti archeologici esistenti ai più moderni standard, promozione del territorio attraverso iniziative che incentivino la conoscenza e la visita dei luoghi della nostra cultura».

Come si legge anche sul sito della Regione Siciliana «I lavori da effettuare prevedono interventi sulla struttura e su tutto il giardino circostante, con opere di sistemazione esterna delle aree verdi e creazione di impianti idrici e di illuminazione – e si precisa che – le opere di manutenzione riguardano interventi di rimozione delle parti rovinate e di ripristino delle strutture che pregiudicano la fruibilità del sito, il restauro delle pavimentazioni in ceramica smaltata, dei rivestimenti marmorei, degli affreschi e dei mosaici alle pareti che risentono dell’usura del tempo».

L’attenzione del restauro è rivolta infatti al sistema di riciclo dell’acqua e al suo scorrimento all’insegna della salubrità nei giardini, alla messa in sicurezza della terrazza della Zisa per migliorarne la fruibilità da parte del pubblico e, infine, all’area archeologica, oggetto di maggiore protezione e indagine storica. La zona dello scavo archeologico è (e sarà) infatti affidata agli interventi dalla Sezione Archeologica della Soprintendenza dei Beni Culturali di Palermo, diretta da Lina Bellanca, che ha dichiarato: «potrebbero esserci delle belle sorprese» data la stratificazione storica dei lavori compiuti nei secoli sulla Zisa.

Il nobile intento di riqualificare un bene così tanto importante per la narrazione palermitana di «città multiculturale», come il Castello della Zisa sa essere, rischia però di concretizzarsi in una splendente cattedrale nel deserto se la città e la comunità intorno al castello non ne apprezzano il valore.

Il riconoscimento dei beni culturali passa soprattutto dall’educazione e dalla coltura – per dirla etimologicamente – di chi, quei luoghi, deve poterli sentire propri. Perché, d’altronde, lo sono. Il restauro della Zisa può essere un’occasione, l’ennesima, per ripristinare il legame tra beni culturali e territorio, ed evitare di dover raccontare in futuro di altri abbandoni, altri vandalismi, altri eventi sempre “troppo esterni” e privi di responsabilità.

Foto in copertina di Matthias Süßen


 

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