Dopo il Dpcm, Sicilia arancione: dimmi il tuo colore e ti dirò chi sei

 

Chi sta tifando contro i “gialli”, come l’arancione Sicilia contro la Campania, in un raccapricciante derby interregionale, sbaglia due volte: non conosce la propria Regione e, contemporaneamente, la disprezza.


Subito dopo la comunicazione in diretta del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in cui spiegava le nuove misure operative dal 6 novembre in tutta Italia nel contesto dell’emergenza sanitaria per la pandemia di Covid-19, la Sicilia è insorta. Sui social in tantissimi si sono chiesti come fosse possibile essere «relegati» – prendendo in prestito l’espressione da un post del presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci – a zona arancione.

Lo scenario dell’Isola, più precisamente il numero 3 di “alto rischio”, ha fatto cascare la forchetta sul piatto a tanti siciliani piazzati davanti la televisione, vista l’ora della conferenza di Conte. Moltissimi, esponenti delle Istituzioni compresi, sono rimasti increduli nella speranza di fregiarsi di un colore diverso, in quello che è diventato un perverso derby interregionale. Ma, se i dati trasmessi dalle Regioni in questi mesi sono corretti – e non abbiamo motivo di credere il contrario – i 21 parametri epidemiologici spiegati (nuovamente) in un’informativa del ministro della Salute Roberto Speranza compongono un puzzle molto chiaro sulle condizioni dell’Isola.

Nella tarda serata del 4 novembre dalla Sicilia sono partiti cori da stadio, in particolare quelli rivolti alla sciagurata Campania, rea di essere stata protagonista delle cronache di piazza e sanitarie delle ultime tre settimane. Sembra che le “Due Sicilie” non si volessero bene diversi secoli fa, ma se nel 2020 in molti hanno lamentato l’ingiustizia delle nuove restrizioni regionali, giudicando troppo blande quelle imposte alla gialla Campania, significa che un senso di competizione – squallida – è rimasto. I numeri, però, non mentono.

Secondo i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), per quanto riguarda la Sicilia, le province di Enna e Caltanissetta risultano essere fra le più a rischio d’Italia. Queste avrebbero varcato la soglia 1,5 dell’indice di trasmissibilità (RT) portando l’allerta ai livelli massimi, dovuta principalmente alla rapidità della diffusione del virus e all’inadeguatezza delle strutture ospedaliere. Tutta la Sicilia ha comunque superato la soglia 1 (che ricordiamo indica quante persone in media ogni positivo è in grado di contagiare).

Stando allo studio dell’ISS in riferimento alle ultime due settimane, l’indice di contagio medio in Sicilia è pari a 1,38, con «alta probabilità di progressione» e con «trasmissione non gestibile in modo efficace con misure locali». Lo scenario 4 (quello della classificazione rossa, sopra il valore di 1,5) sarebbe, dunque, dietro l’angolo. Sono molteplici le basi – i vituperati 21 parametri – che compongono la valutazione della cabina di monitoraggio che sta analizzando le criticità delle Regioni, e vale la pena entrare un po’ più nel dettaglio.

Non possiamo pretendere di far comprendere quale sia la complessità della situazione epidemiologica con una semplice tabella e una serie di numeri incasellati, seppur con significati evidenti anche per i non addetti ai lavori che hanno letto e ascoltato dibattiti e monologhi sul Covid-19. Leggendo i parametri (di seguito indicati) si può intuire, osservando le proprie condizioni regionali, quali grossi limiti del sistema sanitario esistano.

Cercando di riassumere, senza tralasciare nulla di importante, vanno citati gli “indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio” che sono: il numero di casi sintomatici notificati per mese che abbiano una storia di ricovero più o meno importante, elencati separatamente, che si tratti di terapie intensive o no; il numero di casi notificati al sistema di sorveglianza per mese in cui è riportato il comune di domicilio e residenza; la situazione delle checklist (richieste specifiche di adeguamento o gestione della struttura e del personale) somministrate alle strutture sanitarie settimanalmente e le criticità riscontrate. 

Per quanto riguarda gli “indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti”, sempre sintetizzando, ci sono: la percentuale di tamponi positivi; il tempo che trascorre tra data di inizio sintomi e data di diagnosi e data di isolamento; il numero e la tipologia di figure professionali e le risorse tempo-persona dedicate in ciascun servizio territoriale al contact tracing oltre che al prelievo e invio ai laboratori; il numero di casi confermati di infezione nella regione. 

In ultimo, andando a elencare in linea generale “gli indicatori di risultato relativi alla stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari” abbiamo: il numero di casi riportati nelle ultime due settimane; l’RT, ovvero il tasso di contagiosità; il numero di casi riportati alla “sorveglianza sentinella” per settimana; il numero di casi per data di diagnosi e per data di inizio dei sintomi per giorno; il numero di focolai attivi (che si tratti di 2 o più casi attivi e collegati); il numero di nuovi casi di infezione confermata da SARS-CoV-2 per regione non associati a catene di trasmissioni già note; il numero di accessi al pronto soccorso con quadri sindromici riconducibili al Covid-19; il tasso di occupazione dei posti letto di terapia intensiva; il tasso di occupazione dei posti letto totali di area medica per pazienti Covid-19.

La valutazione complessiva della colorazione assegnata a una regione, in definitiva, si basa sull’incrocio di due dati: l’indice di rischio (prodotto dall’intreccio dei numerosi parametri sopra indicati) e il valore RT, il valore che indica il tasso di riproduzione del virus. E andando a rispondere alle tifoserie siciliane, come conferma anche uno studio dell’Università degli Studi di Palermo, la Campania si trova in condizioni ben diverse rispetto alla Sicilia.

Secondo l’analisi dell’Iss la Campania si colloca nello scenario 2, con RT medio di 1,29. I focolai attivi in regione sono 154 – rispetto agli oltre 500 della Sicilia – ma pur sempre con la probabilità di una escalation a rischio alto nei prossimi 30 giorni. Nettamente differenti risultano i “livelli di resilienza” e i carichi sul sistema sanitario, prossimo al collasso nella tabella relativa alla Sicilia, e ancora con “margini di respiro” in Campania.

Ciò che sfugge ai commentatori seriali e agli esponenti illustri che da ogni parte d’Italia stanno proclamando la propria “innocenza” – ignorando che la valutazione di uno scenario più grave consiste in una maggiore attenzione e tutela da parte dello Stato, non in una colpa – è che in questi mesi, oltre ad arrivare impreparati alla seconda ondata italiana del nuovo coronavirus, gli enti che collaborano nella cabina di monitoraggio della pandemia hanno elaborato modelli e tabelle approvate scientificamente e politicamente. Per dirla con le parole del ministro Speranza, «si tratta di un processo standardizzato su parametri scientifici, per questo non ci sono trattative ma solo scambi di informazioni (…) e non dobbiamo perdere tempo in polemiche inutili e faziose; dobbiamo solo lavorare insieme, lavorare insieme, lavorare insieme».

Chi tiene per l’arancione ha capito la gravità della condizione in Sicilia; chi sta urlando all’eccesso (paradossalmente) contro una maggiore attenzione al territorio, puntando il dito verso la “squadra gialla”, ha perso la bussola, quella della cura ai più deboli. È vero che gli anziani e i malati sono in maniera preponderante i soggetti esposti al virus e in grave pericolo. Ma è vero anche che un virus circolante, seppur senza gravi conseguenze per molti, può uccidere tutti questi soggetti per un tempo indeterminato, fino allo sterminio di interi strati di popolazione, e continuare a mutare diventando potenzialmente imprevedibile, o peggio, più aggressivo. A noi la responsabilità di non farlo circolare fino all’arrivo di un vaccino. È difficile da capire?


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