“Una cosa di altri”: la storia di Ouale Kossula, l’ultimo schiavo africano

L’esodo dell’orrore vissuto da Ouale Kossula (Cudjoe Lewis), l’ultimo superstite della tratta degli schiavi africani.


Milioni di persone che dal continente africano vennero comprate e deportate in America per lavorare nei campi. Questa è l’immagine che rievoca la nostra mente quando si parla di tratta degli schiavi. A gestire questo “affare” furono prevalentemente gli europei: paradossale se si pensa che nel Vecchio Continente venivano professati ideali di libertà e uguaglianza, di fatto, riservati solo ai propri connazionali. I fautori del traffico degli schiavi, trovandosi a corto di manodopera, approfittarono di coloro che consideravano “diversi” e inferiori per costringerli a lavorare in situazioni estreme.

Ouale Kossula viene considerato l’ultimo uomo a essere stato vittima della tratta degli schiavi. Kossula nacque nel 1841 nello stato del Benin, secondo di quattro figli e con dodici fratellastri. All’età di 14 anni si arruolò come soldato e venne ammesso all’Oro, un’associazione segreta maschile del popolo Yoruba che si occupava di controllare la società, e a 19 anni si sposò. Nel 1860 le truppe del re di Dahomey attaccarono la città in cui viveva Kossula facendo razzie di civili e catturando diversi prigionieri. Ouale venne portato nella prigione di Ouidah e poi venduto nelle settimane successive, insieme a più di un centinaio di altre persone, alla nave schiavista americana Clotilda.

La traversata verso il continente Americano fu devastante. La storia dell’ultima spedizione della Clotilda è curiosa, dato che nel 1860 la schiavitù negli Stati Uniti era già stata abolita da più di cinquanta anni. Il carico arrivò a Mobile, in Alabama, durante la notte dell’8 luglio e fu voluto dal capitano Tim Meaher, che aveva scommesso una somma di denaro con un uomo d’affari se fosse riuscito a portare un carico di prigionieri nonostante il divieto.

La polizia venne avvertita dell’imminente arrivo e si precipitò al porto, non trovando però i trafficanti. Meaher possedeva una proprietà vicino Mobile a cui era possibile accedere solo in barca, e questo gli diede la possibilità di nascondere i deportati. Gli organi preposti, senza avere prove concrete della malefatta, furono costretti ad archiviare il caso e Ouale e i suoi compagni di sventura vennero sfruttati da Meaher. Kossula, nello specifico, venne venduto a James Meaher che lo fece lavorare come marinaio su un battello. In quegli anni fu anche costretto a cambiare il nome perché il suo proprietario aveva difficoltà a pronuncialo, divenne così Cudjoe Lewis.

La sua prigionia finì il 12 aprile 1865, al termine della Guerra di secessione americana, quando alcuni soldati yankee gli dissero che era un “uomo libero”. Il primo desiderio fu quello di ritornare a casa e insieme ad altri suoi connazionali chiese il rimpatrio in Africa. Tentarono di raccogliere fondi per il viaggio, ma ben presto capirono che il costo della traversata era insostenibile.

Kossula restò a lavorare nella segheria di Meaher e riuscì a comprarsi un piccolo terreno a Magazine Point. Sposò una donna che era stata anche lei vittima del traffico degli schiavi sulla Clotilda ed ebbero sei figli. Fondò la comunità di Africatown, ora conosciuta come Plateau, sempre nella città di Mobile, di cui divenne uno dei maggiori punti di riferimento.

Kossula morì all’età di 94 anni, restando l’ultimo superstite degli africani portati in America. Non ebbe la possibilità di tornare nel suo Paese d’origine nonostante rimase il suo sogno fino alla fine. Adesso riposa nel cimitero degli africani di Mobile con la sua famiglia.

A raccontare la sua storia fu Zora Neale Hurston, un’antropologa afroamericana, nel libro “Barracoon. The Story of the Last Black Cargo” scritto negli anni Trenta e pubblicato solo nel 2018. Il ritardo sembra essere dovuto ad alcuni intellettuali e politici di origine africana che non gradirono il linguaggio del testo estremamente veritiero e crudo in cui si raccontano le violenze che alcuni africani inflissero ai loro conterranei vendendoli come schiavi.

Il libro prende il nome di Barracoon, una delle prigioni africane da cui partivano le navi che trasportavano i prigionieri venduti come schiavi. L’autrice nelle ultime pagine del manoscritto racconta un episodio che rende perfettamente l’idea della semplicità di Kossula e il suo forte legame con l’Africa. Nello specifico fa riferimento a quando le diede il permesso di fotografarlo. Ouale volle indossare il “vestito buono”, ma non indossò le scarpe usanza tipicamente africana. Inoltre le chiese di scattare la fotografia al cimitero circondato dalle tombe dei suoi familiari.

La biografia di Ouala Kossula, diventato Cudjoe Lewis, serve per ricordarci un passato crudele, in cui anche alcuni africani lucrarono sulla vita di altri africani: una vicenda dolorosa che purtroppo ha diversi episodi simili nel corso della storia, situazioni in cui a fare del male è stato proprio il “vicino di casa”.

Nonostante la schiavitù sia ormai illegale, e spesso concepita come un fenomeno del passato, l’Organizzazione internazionale del lavoro e la Walk Free Foundation stimano l’esistenza di 40,3 milioni di schiavi “moderni”, di cui il 71% è rappresentato da donne e ragazze e il 25% da bambini. Le forme contemporanee di schiavitù si possono riassumere in: costrizioni a contrarre matrimoni, lavoro all’interno di fabbriche clandestine con la promessa di uno stipendio mai percepito, o su barche da pesca o dentro pericolosissime cave costantemente sotto minaccia.

Purtroppo questo lavoro disumano e per niente dignitoso produce gran parte dei prodotti che consumiamo quotidianamente: cibo, vestiti, accessori, cosmetici. Non finisce qui: pensiamo ai bambini soldato, a chi viene sfruttato sessualmente e al traffico degli organi. Vi sono ancora Paesi in cui si può addirittura nascere in una condizione di schiavitù ereditaria a seconda della famiglia di provenienza.

La schiavitù non è scomparsa, bensì ha cambiato forma. È pervasiva, e ancora così diffusa e sviluppata perché produce un grande ritorno economico ai trafficanti contemporanei. Lo studioso di schiavitù moderna Siddhart Kara ha stimato che i trafficanti, grazie alle moderne tecnologie e ai nuovi mezzi di trasporto, guadagnino trenta volte in più rispetto agli sfruttatori del diciottesimo e diciannovesimo secolo.


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