Referendum in Cile, maggioranza schiacciante contro la Costituzione di Pinochet

 
 

Il Cile ha approvato con una maggioranza del 78,12 per cento dei voti il referendum per la modifica della Costituzione. Inizia così un lungo processo di trasformazione del sistema politico cileno il cui esito è tutt’altro che scontato.


È un giorno di festa in Cile. Dopo un anno di proteste contro il governo di Sebastian Pinera, scandite dalla repressione e da una pandemia i cui effetti in Cile (come in tutta l’America Latina) sono stati particolarmente sentiti, il popolo cileno ha approvato con una maggioranza schiacciante il referendum per la modifica della Costituzione, eredità del regime di Augusto Pinochet e ostacolo a qualsiasi cambiamento strutturale della società.

Alla domanda «Quiere usted una Nueva Constitución?», più del 75% degli elettori hanno risposto «apruebo». Al primo quesito referendario ne seguiva un altro, ovvero quello sulla composizione dell’Assemblea Costituente che dovrà scrivere il nuovo testo costituzionale. Gli elettori hanno optato per un’assemblea formata esclusivamente da membri eletti, bocciando l’ipotesi di un’assemblea mista (ovvero formata per metà da membri eletti direttamente e per metà da parlamentari già insediati).

L’esito del referendum, secondo la stragrande maggioranza degli analisti, era scontato: la voglia di cambiamento e di una rottura con un passato fatto di autoritarismo e violazioni sistematiche dei diritti è trasversale rispetto alle fratture geografiche, politiche ed economiche. Tuttavia, il voto di ieri è solo il primo passo di un lungo processo che potrebbe durare quasi due anni: la prossima tappa è quella dell’11 aprile, quando gli elettori dovranno scegliere i 155 membri della Convención Constituyente. Dopodiché, l’Assemblea avrà al massimo un anno di tempo (nove mesi, più un’eventuale proroga di tre) per scrivere una proposta di riforma della Costituzione. Solo a quel punto il nuovo testo costituzionale potrà essere approvato con un secondo referendum. Nel caso in cui l’accordo sul nuovo testo non dovesse essere raggiunto o il nuovo testo non venisse approvato dalla maggioranza degli elettori, resterebbe in vigore la Costituzione attuale.

Tanti i problemi che questo processo politico appena avviato dovrà e potrà risolvere. Primo tra tutti, la disuguaglianza economica. Il Cile, infatti, è unanimemente considerato il laboratorio storico del neoliberismo: è lì infatti che, dopo il golpe di Pinochet degli anni settanta ai danni del governo socialista di Salvador Allende, un gruppo di economisti seguaci di Milton Friedman (i Chicago boys) ebbero l’occasione di sperimentare sul campo la presunta efficacia di un’economia di mercato neoliberista, che ponesse l’iniziativa privata al di sopra del resto, anche rispetto a beni e servizi che in altri sistemi economici (socialisti o misti) sono considerati diritti fondamentali, dalla sanità all’istruzione. 

Nonostante i numerosi emendamenti alla Costituzione, i governi che si sono succeduti dopo la dittatura di Pinochet non hanno mai scalfito questo impianto. Il risultato è una disuguaglianza economica estrema: il Cile è infatti il più diseguale fra i paesi dell’OCSE, con il peggior indice GINI (46 per cento), con il 26 per cento del Pil in mano all’un per cento della popolazione.

Il secondo problema fondamentale del Cile sono i rapporti di genere. È in Cile infatti che è nato l’ormai celebre inno femminista “Un violador en tu camino, non solo come risposta all’abuso sistematico della violenza e della repressione da parte dei “Carabineros” e “milicos” (decine di morti, centinaia di manifestanti accecati dai proiettili di gomma, migliaia di arresti indiscriminati, torture e stupri), ma come rivendicazione universale dell’uguaglianza di genere: in Cile sono infatti tantissime le donne costrette a svolgere lavori non remunerati o “invisibili” per lo Stato e che non si convertono in un deposito per le pensioni in base allo schema degli Administradoras de Fondos de Pensiones, ovvero dei fondi pensione privati incapaci di garantire uno standard di benessere minimo durante la vecchiaia.

Il terzo nodo da affrontare è l’integrazione dei popoli indigeni: i temi non sono solo quelli della plurinazionalità e del riconoscimento delle culture e delle lingue indigene, ma anche e soprattutto quelli di un’adeguata rappresentanza politica e di una rottura con un passato (purtroppo recente) di violenze e persecuzioni a danno di queste popolazioni. Emblematico il caso dei Mapuche, un popolo indigeno a cui appartiene circa il 10 per cento della popolazione cilena e che da tempo si batte contro le discriminazioni da parte del governo centrale e per la restituzione delle terre ancestrali, contro gli interessi del governo e delle multinazionali straniere.

Lo scenario politico in Cile è dunque aperto, tanto quanto quello del resto dell’America Latina. La pandemia sta mettendo a dura prova la tenuta del potere da parte dell’ultraconservatore Bolsonaro in Brasile; in Bolivia, le elezioni della settimana scorsa hanno visto la vittoria di Luis Arce, candidato del Movimiento Al Socialismo (MAS) di Evo Morales, costretto all’esilio dopo il golpe dell’anno scorso e la consegna del potere nelle mani di Jeanine Áñez; in Venezuela, infine, tra poco di più di un mese (il 6 dicembre) si terranno le elezioni parlamentari, banco di prova sia della tenuta di Nicolas Maduro sia dell’unità dell’opposizione, dopo la crisi politica dell’anno scorso.


 

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