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Recovery Fund: il difficile negoziato tra Europarlamento e Consiglio europeo

 
 

Il negoziato sul Recovery Fund tra Europarlamento e Consiglio europeo ha raggiunto un punto di stallo che rischia di compromettere la ripresa delle economie UE.


L’accordo sul Recovery Fund – raggiunto nella riunione straordinaria del Consiglio europeo tenutasi tra il 17 e il 21 Luglio 2020 – ha segnato un cambio di rotta nello scenario politico dell’Unione Europea (UE), con gli Stati membri che, per la prima volta, hanno previsto l’erogazione di contributi a fondo perduto, accanto alla concessione di prestiti, al fine di fronteggiare gli effetti economici negativi derivanti dalla pandemia. Nonostante l’accordo sia stato considerato storico da molti deputati del Parlamento europeo, la maggior parte di essi ha rilevato la presenza di forti criticità che lo renderebbero positivo per la ripresa ma inadeguato per il lungo periodo.

I nodi cruciali su cui i membri dell’Europarlamento hanno ravvisato la necessità di un intervento da parte del Consiglio europeo riguardano: i consistenti tagli apportati al Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 (QFP o bilancio a lungo termine), il sistema delle risorse proprie dell’UE e l’assenza di un meccanismo chiaro che subordini l’erogazione dei finanziamenti previsti dal Recovery Fund al rispetto dello Stato di diritto. Si tratta di priorità imprescindibili evidenziate sin da subito dagli eurodeputati nella Risoluzione del 23 luglio scorso, con la quale il Parlamento europeo ha sottolineato con fermezza l’intenzione di non concedere la propria approvazione al QFP senza il raggiungimento di un accordo che possa garantire il pieno perseguimento degli obiettivi fissati per la ripresa e la resilienza. Al fine di comprendere le dinamiche che hanno caratterizzato – e continuano a caratterizzare – il difficile negoziato tra Europarlamento e Consiglio europeo, è opportuno fare chiarezza sui punti oggetto di contesa e sulle posizioni che le due Istituzioni comunitarie hanno assunto. 

Con specifico riguardo al QFP, la riunione straordinaria svoltasi lo scorso luglio tra i leader dell’UE ha determinato, tra i vari risultati, la riduzione del bilancio a lungo termine a 1.074,3 miliardi di euro; una diminuzione, questa, da considerarsi, secondo gli Stati membri, «nel contesto dell’ambizioso sforzo europeo per la ripresa» predisposto nell’ambito dello strumento Next Generation EU proposto dalla Commissione europea nel maggio scorso. Gli eurodeputati, invece, hanno fortemente criticato la scelta operata dai Capi di Stato e di Governo, poiché concretizzatasi in tagli apportati a quei programmi orientati al futuro – relativi a clima, transizione digitale, salute, gioventù, cultura, infrastrutture, ricerca, gestione delle frontiere e solidarietà – considerati punti chiave di quella strategia che mira ad una ripresa sostenibile e resiliente.

In merito al sistema delle risorse proprie, già in passato il Parlamento europeo aveva sottolineato l’esigenza di una riforma in grado di garantire nuove fonti di entrata e una maggiore disciplina di spesa, con il chiaro obiettivo di preservare la realizzazione di ambizioni comuni – come la lotta al cambiamento climatico e la trasformazione digitale – e di fronteggiare le relative conseguenze sociali. La pressione politica esercitata dagli eurodeputati sotto tale profilo mira a ridurre la stretta dipendenza che sussiste tra il bilancio UE e i contributi forniti dagli Stati membri: infatti, l’11% del QFP complessivo deriva dal trasferimento di una percentuale dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) riscossa dai vari Paesi, mentre il 66% viene ricavato tramite prelievo sul Reddito Nazionale Lordo (RNL) degli stessi. In aggiunta, l’art. 311 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) prevede che il bilancio a lungo termine sia «finanziato integralmente tramite risorse proprie», limitandone la portata al relativo sistema.

Per tali ragioni, tenuto conto dei mancati progressi in tema di nuove fonti di entrata da parte del Consiglio europeo, l’Europarlamento ha proposto una tabella di marcia recante un elenco di risorse proprie legate alle politiche e agli obiettivi UE, ponendo al centro del dibattito e della strategia di ripresa i cittadini europei. Nello specifico, si annoverano: la Plastic Tax, un contributo nazionale basato su rifiuti da imballaggi di plastica non riciclati (1 Gennaio 2021); la Carbon Tax, basata sull’Emission Trading System (ETS), o sistema di scambio delle emissioni (1 Gennaio 2021); la Digital Tax, volta a garantire un’equa tassazione sull’economia digitale (1 Gennaio 2023); la tassazione delle transazioni finanziarie, in modo da assicurare che anche tale settore fornisca il giusto contributo attraverso il pagamento delle tasse (1 Gennaio 2024); e, infine, risorse proprie basate sulla base imponibile consolidata comune per le imposte sulle società (1 Gennaio 2026). Ad esclusione della Plastic Tax, per la quale è stata raggiunta un’intesa, le altre nuove fonti di entrata proposte dagli eurodeputati sono ancora sul tavolo delle trattative, con punti nevralgici che necessitano di ulteriori chiarimenti. 

Si consideri, a completamento dell’analisi sul tema, che il QFP, a differenza di quanto accade a livello nazionale, è un bilancio di investimenti che non può operare in deficit: di conseguenza, secondo quanto stabilito dall’art. 310 del TFUE, le spese derivanti dagli atti che l’UE adotta – e che possono incidere in misura rilevante sul QFP – devono essere finanziate «entro i limiti delle risorse proprie dell’Unione», secondo un principio di sana gestione finanziaria. Appare chiaro, dunque, come l’introduzione di nuove fonti di entrata contribuirebbe a potenziare le possibilità di attuazione della strategia europea per la ripresa e per la resilienza, senza dover necessariamente sacrificare alcuni programmi faro in favore del rilancio di altri. A tal proposito, il Parlamento europeo si è dimostrato fortemente contrario alla previsione di ulteriori tagli al bilancio UE o all’aumento dei contributi nazionali esistenti, considerando la creazione di risorse proprie aggiuntive «l’unico metodo di rimborso accettabile».

Sul rispetto dello Stato di diritto, l’Europarlamento ha assunto una posizione più rigida nei confronti dell’operato del Consiglio europeo, accusato di aver significativamente indebolito gli sforzi compiuti a livello comunitario per difendere i valori posti a fondamento dell’UE. Le criticità legate alla protezione di tali valori sono emerse anche nell’ultima seduta plenaria del 5-8 ottobre, all’interno della quale gli eurodeputati hanno rimarcato la necessità di un rafforzamento dello Stato di diritto attraverso l’adozione di nuovi dispositivi e sanzioni efficaci per gli Stati membri in caso di violazione, ritenendo deplorevole la concessione di risorse UE – provenienti dal bilancio a lungo termine e dal Recovery Fund – in favore di Paesi che adottano azioni contrarie alla democrazia e ai diritti fondamentali.

Il difficile negoziato sul QFP ha subito una brusca interruzione l’8 ottobre scorso, dopo che il Parlamento europeo ha ritenuto «inaccettabile» la proposta presentata della Presidenza di turno tedesca nel giorno precedente, poiché carente nell’aumento degli stanziamenti ad alcuni capitoli di spesa del bilancio UE e nel rafforzamento del legame tra rispetto delle regole dello Stato di diritto ed erogazione dei fondi europei. Se, da un lato, l’Europarlamento reclama maggiore flessibilità, più risorse per garantire la piena ripresa nel lungo periodo e meccanismi in grado di vincolare gli Stati membri al rispetto degli impegni presi, dall’altro il Consiglio europeo subisce gli effetti di quella logica intergovernativa che impedisce – come ha fatto in passato – il netto e definitivo superamento degli ostacoli politici che minano il processo di integrazione. 

In attesa dei risultati della prossima riunione dei leader europei e del Vertice sociale trilaterale sul tema “Attuare insieme una ripresa economica e sociale inclusiva in Europa”, la principale preoccupazione che scaturisce dal difficile andamento del negoziato sul Recovery Fund, verte su quali potrebbero essere le conseguenze che un ritardo sul raggiungimento di un accordo tra le Istituzioni europee in causa potrebbe comportare. Sarebbe auspicabile intervenire quanto prima, al fine di consentire agli Stati membri – che presenteranno i rispettivi Piani di rilancio alla Commissione europea entro il 15 ottobre – di poter beneficiare degli stanziamenti previsti per la ripresa e la resilienza entro l’inizio dell’anno prossimo.


 

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