Papa Francesco e unioni civili: progressismo o moderata apertura?

La chiesa cattolica, nelle parole di Papa Francesco, sembra cambiare il linguaggio sulle unioni civili per la comunità LGBTI.


«Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo.» 

Sono queste le parole di Papa Francesco sulle unioni civili contenute nel documentario a lui dedicato del regista Evgeny Afineevsky, dal titolo Francesco, presentato al Festival del Cinema di Roma 2020. Parole che hanno destato scalpore, in particolar modo nel mondo cattolico e nella comunità LGBTI: le inaspettate dichiarazioni del pontefice hanno fatto il giro del mondo e la clip del documentario è stata pubblicata da tutte le testate giornalistiche e condivisa nei social network.

Il riconoscimento delle persone omosessuali come «figli di Dio» è il risultato di un travagliato cammino che la Chiesa sta ancora percorrendo e che dà sollievo a molti credenti appartenenti alla comunità LGBTI – e alle proprie famiglie – da tempo giudicati, allontanati ed emarginati. In poche parole, per rendere effettivo questo riconoscimento, Papa Francesco afferma che bisogna legiferare sulle unioni civili in modo che essi possano avere una copertura legale.

Sgomento per i conservatori, come per gli appartenenti al movimento del Family Day che si sono subito dichiarati indipendenti dalle dichiarazioni del Papa. La gioia del momento è stata subito sostituita da lucide ritrattazioni da parte delle testate giornalistiche vicine al Vaticano, e da chiarimenti da parte della comunità LGBTI, che invita a non abbassare la guardia; Papa Francesco, invece, non ha rilasciato nuove dichiarazioni in merito.

I vaticanisti e la stampa vicina alla Chiesa si sono mostrati indignati affermando che le parole del Papa sono state manipolate e interpretate fuori dal suo contesto originario, poiché la clip in questione è stata a sua volta estrapolata da un’altra intervista (rilasciata alla vaticanista messicana Valentina Alazraki a maggio del 2019) durante la quale il pontefice si è soffermato su alcuni temi controversi per la Chiesa.

Come afferma la stampa vaticana, nella versione originale dell’intervista il Papa si mostrava risentito dal modo in cui erano state interpretate le sue dichiarazioni sul volo di ritorno da Rio de Janeiro (28 luglio 2013), quando affermò che «se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?»: in quel caso il pontefice si stava esprimendo sul diritto di restare in famiglia, intesa sia come comunità cattolica che nucleo familiare, sottolineando così il diritto di non essere allontanato in quanto gay.

Di certo, non si mette in dubbio l’attenzione che il pontefice ha mostrato nei confronti delle persone omosessuali, ma questa non può essere definita una rivoluzione: le posizioni prese dal pontefice, infatti, non sono nuove e magari possono anche essere considerate progressiste per l’ambiente ecclesiastico e per i conservatori cattolici, ma ci sono alcuni muri che ancora si mostrano invalicabili.

Come ha affermato l’arcivescovo Victor Manuel Fernandez, teologo molto vicino a Bergoglio, queste posizioni “progressiste” del Papa rispetto alla Chiesa e ai suoi fedeli non sono una novità, in particolare quelle relative a una possibile stesura di una legge sulle unioni civili.

Tuttavia, è necessario tener conto che si tratta di un’apertura moderata, e per questo è indispensabile fare chiarezza per non strumentalizzare e travisare le parole del pontefice, tenendo conto che secondo Papa Francesco è necessario il riconoscimento di un diritto – ossia l’unione di persone dello stesso sesso – ma non equipara le unioni civili con il matrimonio.

Già nel 2010, durante un dibattito con l’episcopato sul matrimonio egualitario in Argentina, Papa Francesco, allora cardinale, si espresse a favore del riconoscimento degli omosessuali, ma ribadendo la distinzione tra matrimonio e unioni civili poiché incomparabili; la maggior parte dei suoi interlocutori si oppose a questa sua visione, troppo progressista per la comunità cattolica e in contrapposizione con la dottrina.

Alla marcata distinzione tra i due tipi di unione, si aggiungono anche altre sue dichiarazioni ancora più recenti, non riportate nel documentario di Afineevsky, sulle leggi in materia di unioni civili (come la Legge Cirinnà).

Come ricorda in un suo recente articolo l’Huffington Post, in un’intervista (2016) per il giornale francese Le Croix, Papa Francesco, rispondendo alla domanda su come i cattolici dovrebbero reagire di fronte a questioni come l’eutanasia o il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha dichiarato che «una volta che la legge è votata, lo Stato deve rispettare le coscienze» e ha aggiunto: «l’obiezione di coscienza deve essere presente, perché è un diritto umano. Anche per un funzionario pubblico, che è una persona umana», consigliando così l’obiezione di coscienza ai funzionari chiamati a registrare le unioni omosessuali.

A questa si aggiunge anche un’altra dichiarazione per niente progressista e che ha destato scalpore, rilasciata dal Papa solo due anni fa (2018) quando, rispondendo ai cronisti, prima ha semplicemente esortato le famiglie alla preghiera e al dialogo con i propri figli e, successivamente, ha esplicitamente affermato: «In quale età si manifesta questa inquietudine [dell’omosessualità] del figlio? Una cosa è quando si manifesta da bambino che ci sono tante cose da fare con la psichiatria, per vedere come sono le cose. Un’altra cosa è quando si manifesta dopo 20 anni o cose del genere».

Affermazioni, dunque, che richiamano alla mente un mondo dove ancora l’omosessualità è considerata una malattia da curare con l’aiuto di uno psichiatra o, per esempio, mediante l’impiego delle cosiddette terapie riparative e di riorientamento, pratiche ancora molto diffuse nel mondo occidentale (e cattolico) difficili da portare alla luce e messe al bando solo in pochi Paesi.

Dunque, le parole del Papa sulle unioni civili mostrano al mondo sì una Chiesa più aperta, ma non così tanto aperta da urlare alla rivoluzione o al cambiamento di un’epoca, come molte testate giornalistiche hanno riportato in modo grossolano questa notizia.

È possibile solamente affermare che si riscontra una mutazione del linguaggio utilizzato per parlare di un argomento considerato troppo spinoso e osteggiato dalla dottrina cattolica, poiché il riconoscimento delle persone omosessuali come «figli di Dio», fa sì che la Chiesa, intesa come istituzione, si pone contro tutte quelle azioni che portano alla stigmatizzazione di una persona per il suo orientamento sessuale e contro l’omofobia, proprio nel momento in cui si sta per discutere il ddl Zan sull’omotransfobia. Questo cambiamento di forma, però, non porterà al rinnegamento delle sacre scritture che definiscono gli atti omosessuali (e quindi gli omosessuali) come “sciagura”, “disordine” e dunque, da condannare moralmente.

Di certo, questa posizione “progressista” potrebbe portare all’instaurazione di un dialogo tra i credenti appartenenti alla comunità LGBTI e le proprie famiglie, che spesso vivono la propria sessualità come un peso per se stessi e per i propri genitori e, altre volte ancora, vengono cacciati di casa dopo aver fatto coming out. Come afferma Alice Rizzi, presidente del comitato provinciale Arcigay Foggia “Le Bigotte” «la questione religiosa è importante soprattutto in territori come il nostro. Sicuramente, oltre a dare molta fiducia alle persone LGBTI credenti darà soprattutto sostegno alle famiglie perché, vedendo giustamente nel Papa una guida, forse smetteranno di cacciare i figli di casa e cominceranno a riflettere».