Panafricanismo: origine ed evoluzione

“Panafricanismo”, una parola che evoca un movimento politico e culturale, ma anche un ideale di appartenenza della diaspora africana.


Durante il primo Congresso Panafricano, tenutosi a Londra tra il 23 e il 25 luglio del 1900, l’avvocato di Trinidad Henry Sylvester Williams fece un appello al governo britannico a «non trascurare l’interesse e il benessere delle razze native» nelle sue colonie. Rivolgendosi a tutte le nazioni, protestò contro «il rifiuto di negare a più di metà del mondo il diritto di condividere, al massimo delle loro capacità, le opportunità e i privilegi della civiltà moderna» invitando a «fermare il furto di terre nelle colonie, la discriminazione razziale e iniziare a discutere dei problemi riguardanti i neri».

È da questo Congresso che venne coniato il termine “panafricanismo”, parallelamente alla creazione, da parte di Williams, dell’African Association, un’organizzazione formata da leader di origine africana per unire gli sforzi contro l’imperialismo.

Da quel momento in poi, il significato della parola “panafricanismo” ha intrapreso principalmente due direzioni: la prima è quella che interpreta il panafricanismo come un movimento politico e culturale che promuove l’unità tra i paesi africani e la creazione di istituzioni che la rendano effettiva; la seconda è l’idea secondo la quale tutte le persone nere del mondo siano in origine cittadini dell’Africa (diaspora), ed è un concetto alla base dei “ritorni all’Africa”, dei movimenti nazionalisti neri e di una più generale consapevolezza e “fierezza” dell’essere nero. 

Le origini del panafricanismo

Henry Sylvester Williams contribuì in modo decisivo alla nascita ed evoluzione del termine “panafricanismo”, ma alcune delle idee alla base del movimento che si sviluppò fin dai primi decenni del XX secolo sono rintracciabili già durante l’Ottocento, specificatamente nelle voci degli afroamericani Martin Delany e Alexander Crummel. Le prime idee panafricane emersero in risposta a schiavitù, imperialismo, colonialismo e razzismo, e si ponevano l’obiettivo di essere la risposta ideologica alla Conferenza di Berlino del 1884, tristemente famosa per la spartizione dell’Africa da parte delle potenze coloniali. 

I primi ideologi panafricani enfatizzavano i punti in comune tra africani e i neri degli Stati Uniti: l’abolizionista e giornalista Delany fu il primo sostenitore del nazionalismo nero, propugnando l’idea che gli afroamericani dovevano creare una nazione separata, e Crummel credeva che il luogo ideale per questa nuova nazione fosse proprio il continente africano.

Influenzati probabilmente dallo zelo dei missionari cristiani, i due pensavano che gli africani del Nuovo Mondo dovessero ritornare alla loro terra d’origine per civilizzare i suoi abitanti e creare un’entità politica che potesse unire gli africani della diaspora. È proprio Delany che ha riportato il famoso slogan “l’Africa agli Africani” dopo un viaggio in Nigeria nel 1860; lo slogan è poi diventato popolare grazie a Marcus Garvey, che l’ha inserito nella Declaration of Negro Rights nel 1920. 

Oltre alle idee di Delany, Crummel e Williams, quello che è definito come il padre del panafricanismo moderno, almeno inteso nella sua accezione più teorica, è William Edward Burghardt Du Bois. Durante la sua vita da sociologo, storico e attivista per i diritti civili, Du Bois intraprese studi sulla cultura e storia africana, e fu il principale promotore della Seconda Conferenza Panafricana del 1919.

Durante le discussioni di quest’ultima, una delle questioni più importanti fu come guidare l’Africa fuori dal dominio europeo, e quali direzioni politiche e ideologiche fossero da seguire. Il contributo di Du Bois fu centrale per l’identificazione di un legame di solidarietà e comunanza tra i neri della diaspora. A lui è accreditata la celebre frase «il problema del XX secolo è il problema della linea del colore». 

Uno dei limiti dei primi ispiratori del movimento panafricano fu proporre una lettura influenzata dall’istruzione di stampo occidentale. Il giovane Du Bois vedeva l’istruzione degli africani come un criterio imprescindibile per la loro “civilizzazione”, e nei primi due Congressi ciò che emerse fu spesso una visione anglo-americana della liberazione del continente africano, che rifletteva un’immagine “borghese” dei panafricanisti atlantici. Inoltre, la presenza di panafricanisti nell’Internazionale Comunista influenzò tra gli anni ’30 e ‘40 l’idea che il socialismo fosse la via da seguire per l’unificazione e per il futuro dell’Africa.  

I processi di decolonizzazione

Il Quinto Congresso Panafricano del 1945 abbandonò l’idea di adottare un modello anglo-americano o socialista per la liberazione dell’Africa, e pose in termini radicali il problema della decolonizzazione e della liberazione politica e culturale. Fu l’ultimo dei Congressi Panafricani di Du Bois, ma il panafricanismo continuò a evolversi e divenne il principale motore ispiratore di tutte le lotte anticoloniali dei decenni successivi.

Nel 1958 si svolse ad Accra la prima Conferenza degli Stati Africani Indipendenti, promossa da Kwame Nkrumah subito dopo l’indipendenza del Ghana. Alla conferenza parteciparono tutti gli Stati africani che avevano già ottenuto l’indipendenza: Egitto, Libia, Tunisia, Sudan, Liberia, Etiopia e Marocco. Alla seconda riunione della Conferenza parteciparono Patrice Lumumba, Frantz Fanon, Ahmed Ben Bella e Sekou Touré.

In quel momento storico, nel continente africano il panafricanismo assunse un’accezione fortemente politica ed economica, principalmente grazie alla spinta delle idee di Nkrumah, che promosse la creazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana, formata nel 1963. Un panafricanismo “istituzionale” che vide nella creazione di nuove nazioni la via dell’affermazione dell’ideale panafricano. 

Il panafricanismo tra narrazione politica, culturale e sociale

Una seconda fase del panafricanismo inteso come movimento culturale riemerse sulle tracce di quelle che erano state le manifestazioni artistiche, letterarie e accademiche delle comunità nere degli anni ’30 e ’40, in cui spiccano gli scrittori dell’Harlem Renaissance, e intellettuali come George Padmore e C.L.R. James (scrittore de “I giacobini neri”).

A partire dagli anni ’60 e ’70, gli afroamericani provarono sempre di più a rintracciare e riprodurre le loro radici culturali africane. Il Black Power Movement rappresentò un movimento sociale di risposta alla supremazia bianca negli Stati Uniti, e fu influenzato fortemente dalle idee di Malcolm X, che ponevano l’accento sulla “liberazione” culturale e ideologica degli afroamericani, in quanto criterio decisivo per la ricostruzione della connessione con l’Africa.

La consapevolezza “afro” era possibile solamente a partire dalla liberazione dalle catene della conoscenza di stampo occidentale, che poteva dare vita alla “rinascita” dello spirito e della cultura africana nei neri della diaspora. L’idea di una creazione di un proprio sistema di valori e storia è anche alla base dell’Afrocentrismo, un movimento politico e culturale nato negli anni ‘80 che promuove la piena emancipazione e autodeterminazione dei neri. 

Il panafricanismo, nelle sue varie forme, è servito a sviluppare una consapevolezza e coscienza politica e culturale che è stata alla base di movimenti politici di liberazione nazionale che hanno messo fine alla colonizzazione del continente africano. Inoltre, ancora oggi come in passato, il panafricanismo ha anche a che fare con un senso di appartenenza che va al di là degli Stati-nazione, e che ha avuto le sue manifestazioni negli svariati movimenti culturali e artistici che vedono nel riconoscersi di origine africana un elemento unificante e di solidarietà tra i neri della diaspora. 


 

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