«Fratelli tutti», la sfida di sognare un’altra umanità

L’ennesimo accorato appello di Papa Francesco, “Fratelli Tutti”, tocca il nervo scoperto di un’umanità sempre più vicina alla resa dei conti con se stessa.


Sabato 3 ottobre, nella ricorrenza annuale di San Francesco, il Papa ha firmato ad Assisi la sua ultima enciclica “Fratelli Tutti”, lettera rivolta a «tutti gli uomini di buona volontà» – quindi non solo ai credenti o ai cattolici – con la quale intende riportare al centro del dibattito pubblico il tema della fratellanza umana e dell’amicizia sociale. 

«Fratellanza umana universale» è l’espressione con cui Francesco e la Chiesa tutta desidera dare un nome alla meta del percorso umano iniziato con la rivoluzione digitale che ha ormai abbattuto definitivamente le frontiere nazionali. Parlare di “globalizzazione”, infatti, non specifica affatto con quale spirito o con quale stile comunicativo gli uomini del XXI secolo dovrebbero imparare a incontrarsi e a comprendersi meglio. Papa Francesco con questa lettera enciclica vuole proprio colmare questo vuoto, dando come immagine efficace dell’incontro il modello della fraternità. 

Le sue tesi, esposte e argomentate con estrema lucidità e schiettezza, appaiono fin dalle prime pagine come una sfida, una sfida “folle” alla mentalità comune della nostra società, tutta improntata all’indifferenza verso i poveri e i disabili, all’edificazione di muri e alla vendita di armi, alla sequela di un’economia di mercato pronta a strangolare lo stesso potere statale in nome del profitto e della concorrenza (spietata e sleale), giocando al ribasso sulla pelle dei lavoratori. 

«Siamo più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza. Aumentano piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori. L’avanzare di questo globalismo favorisce normalmente l’identità dei più forti che proteggono sé stessi, ma cerca di dissolvere le identità delle regioni più deboli e povere, rendendole più vulnerabili e dipendenti. In tal modo la politica diventa sempre più fragile di fronte ai poteri economici transnazionali che applicano il “divide et impera”». (paragrafo 12 dell’enciclica)

La diagnosi prosegue per tutta la prima parte, con uno sguardo obiettivo sui mali che affliggono il mondo, ai quali le vicende della pandemia da Covid-19 si sono aggiunte, quest’anno, a completare i contorni di una figura mostruosa e che sempre meno rassomiglia l’umano.

Le pagine si snodano seguendo un movimento concentrico, che come uno zoom ingrandisce i dettagli dei problemi, risalendo dalle cause manifeste a quelle più nascoste che hanno radice nell’interiorità del cuore. Le manifestazioni più eclatanti del generale senso di rifiuto dell’altro, così come la piaga della violenza verbale sono infatti il risultato su ampia scala dei semi di odio che il cuore degli uomini del nostro tempo ha lasciato germogliare, smettendo di curare e alimentare il proprio spirito di fraternità. 

Il Papa, proprio volendo fondare le sue tesi da un punto di vista razionale prima che dottrinale, ci tiene infatti a sottolineare che il valore dell’uguaglianza, rivendicato in Europa nel ‘700 con la Rivoluzione Francese, non basta a fondare l’equità e la libertà tra i popoli, perché l’uguaglianza può essere facilmente manipolata per servire l’ideologia, e dunque ammettere  come “eguali” solo gli esponenti di un gruppo, aventi pari dignità, sulla base di opinioni politiche, status economico, livello di istruzione, ecc. 

Nulla di tutto ciò assomiglia lontanamente a quello che si intende col senso più profondo di uguaglianza. Per essere veramente tutti uguali dobbiamo reimparare a sentirci fratelli: «l’uguaglianza […] è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità” (paragrafo 104 dell’enciclica).

Solo i fratelli, infatti, sono tutti “eredi” (delle risorse del pianeta), hanno pari dignità e pari diritti, hanno diritto a essere accolti in terra straniera, così come il diritto a restare nella propria terra, favorendone lo sviluppo creativo. Solo i fratelli hanno un patrimonio di valori condivisi perché si sono impegnati in un percorso di crescita comune, hanno camminato l’uno accanto all’altro anche nei momenti di difficoltà, cercando di contenere il conflitto e mai di alimentarlo. 

Ecco che il tema dell’accoglienza dei migranti e del rifiuto totale della guerra trovano nel discorso del Papa un posto speciale. Un’ampia e dettagliata trattazione dei doveri e dei diritti di ogni stato e uomo libero portano, infine, alla necessità di ribadire ancora (e ancora) che la pena di morte non potrà mai coincidere con la giustizia. Ma Francesco va oltre, perché la Chiesa è di tutti, è per tutti ma non potrà mai essere super partes, esprimendo una critica radicale anche nei confronti dell’ergastolo, definito una pena capitale “nascosta” (paragrafo 268 dell’enciclica).

Questa nuova enciclica è davvero un testo ricchissimo, pieno di considerazioni talmente moderne da sembrare fuori posto in un contesto ecclesiastico. Fa scalpore, infatti, che nell’enciclica trovi posto anche una profonda disamina del ruolo contemporaneo dei social media come Facebook, Instagram, Twitter e tanti altri. 

Rivolgendosi a giovani e meno giovani il Papa non mette alla gogna nessun aspetto del nuovo stile comunicativo dei social, ma avverte: non è la virtualità in sé a fare problema, né la centralità dei messaggi, delle immagini e dei video che ogni giorno ci scambiamo in tempo reale; il problema – come sempre – siamo noi, il problema è la strumentalizzazione che porta alla violenza e all’odio sociale e politico, la quale trova nello stile “facile e veloce” dei social un alleato perfetto per la diffusione di menzogne. 

«Oggi tutto si può produrre, dissimulare, modificare. Questo fa sì che l’incontro diretto con i limiti della realtà diventi insopportabile. Di conseguenza, si attua un meccanismo di “selezione” e si crea l’abitudine di separare immediatamente ciò che mi piace da ciò che non mi piace, le cose attraenti da quelle spiacevoli. Con la stessa logica si scelgono le persone con le quali si decide di condividere il mondo». (paragrafo 47 dell’enciclica)

Cosa significa essere fratelli in un mondo come il nostro? Come si costruisce e si coltiva il senso di fraternità? La risposta di Papa Francesco mette al centro la riscoperta della “gentilezza” che per lui «è un modo di trattare gli altri» o anche il semplice «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano». Ma essere fratelli significa soprattutto essere amici dei poveri, degli ultimi e degli scartati della società, sull’esempio di San Francesco.

Tuttavia, occorre tener fermo che “tenerezza” e “gentilezza” non sono solo virtù da poter recuperare ed esercitare in modo disgiunto dalla fermezza che occorre affinché certi valori fondamentali non vengano dimenticati, o peggio, abilmente decostruiti a svantaggio di chi è senza voce. Da qui nasce la presa di posizione che «il relativismo non è la soluzione», perché: 

«Sotto il velo di una presunta tolleranza, finisce per favorire il fatto che i valori morali siano interpretati dai potenti secondo le convenienze del momento. Se, in definitiva, non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, […] non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno. […] Quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare (Lett. enc. Laudato si’ – 24 maggio 2015)». (paragrafo 206 dell’enciclica)

Sebbene molti tendano a dimenticarlo o peggio a criticarlo, la Chiesa di Papa Francesco si impegna attivamente per promuovere la pace, da un punto di vista concreto, anche creando le occasioni materiali affinché i contendenti di un conflitto armato possano incontrarsi diplomaticamente e firmare degli accordi dal valore politico.

È successo proprio ieri, 14 ottobre, a Roma, grazie alla comunità di Sant’Egidio che ha portato a uno storico colloquio di pace tra la delegazione governativa del Sud Sudan e i gruppi ribelli che avevano rifiutato l’accordo del 2018 e che ora sono riuniti sotto la sigla del Sud Sudan Opposition Movement Alliance (SSOMA).È davvero impossibile riuscire a sintetizzare in modo esaustivo la ricchezza di temi, riflessioni e risposte di questa nuova lettera enciclica del Papa, così difficile che non resta che leggerla.


 

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