Le criticità del nuovo Patto su immigrazione e asilo

 

Il Patto su immigrazione e asilo approvato dalla Commissione Europea presenta numerose criticità. A rischio la tutela dei diritti umani di migranti e rifugiati. 


Il 23 settembre è stato approvato dalla Commissione Europea il nuovo Patto europeo su immigrazione e asilo, che a detta della Presidente Ursula von der Leyen, dovrebbe aiutare i paesi di frontiera a gestire il fenomeno dei flussi migratori.

Ciò che molti festeggiano come un successo dell’UE sulla gestione migratoria, in realtà presenta gravi interrogativi sul sistema d’accoglienza e sulla tutela dei diritti umani di migranti e rifugiati. Il nuovo patto, che pure non ha forza di legge, è certamente rilevante nell’introduzione di linee guida della politica europea per la gestione migratoria dei prossimi anni. 

Il Patto, i cui tre pilastri sono proprio il rafforzamento delle frontiere esterne, l’introduzione di un meccanismo di solidarietà e la promozione di accordi con i Paesi di partenza, non solo continua a considerare il fenomeno migratorio in una logica di continua emergenza, ma lascia inoltre poco spazio a quelli che sono gli obblighi nella tutela dei migranti e dei loro diritti, che non risultano una priorità europea.

Per quanto il nuovo Patto intenda formulare e mettere così in pratica una politica migratoria europea comune, in cui responsabilità e doveri siano ben distribuiti tra i Paesi dell’Unione, emerge tuttavia la consueta discrezionalità nel cosiddetto “meccanismo obbligatorio di solidarietà”, che lascia il carico maggiore ai Paesi di frontiera, notoriamente Italia, Spagna e Grecia. 

Analisi dei tre piani

Il nuovo patto prevede, innanzitutto, uno screening dei migranti: con l’aiuto di una agenzia Ue per l’asilo, i Paesi di prima linea (come l’Italia) dovranno provvedere all’identificazione, alla registrazione, ai controlli sanitari e di sicurezza, e stabilire entro 5 giorni chi avrà possibilità di accedere alla richiesta di protezione internazionale e chi invece dovrà essere rimpatriato.  

Altro punto fondamentale è la solidarietà da parte degli altri Paesi. Gli Stati membri potranno fornire solidarietà scegliendo tra l’accoglienza di migranti vulnerabili, la “sponsorizzazione” di rimpatri (i migranti restano nel Paese di primo approdo ma è l’altro Stato a occuparsi della procedura, da completare entro otto mesi, pena trasferimento nello Stato sponsor), o anche altre forme di solidarietà, come invio di personale, mezzi, fondi o altro. Un caso a sé riguarda i migranti salvati in mare. Per loro non si applica il normale screening, ma scatta invece la solidarietà automatica con la possibilità di ridistribuzione per i migranti vulnerabili.

Infine il piano prevede una cooperazione con i Paesi di origine e transito, per aiutarli a combattere le cause della migrazione (come la povertà), a rafforzare la lotta ai trafficanti e al controllo delle proprie frontiere e applicando o stipulando nuovi accordi di rimpatrio. La cooperazione con Paesi terzi implica nei fatti l’invio di fondi volti a evitare che le persone possano partire, prevedendo, allo stesso tempo, accordi con i Paesi di origine per i rimpatri e le espulsioni.

Mentre assume sempre più importanza il sistema Hotspot – che più come punto di crisi è ultimamente percepito come un centro di detenzione – poco si dice sulle operazioni di ricerca e soccorso in mare e sul ruolo delle ONG, negli ultimi anni costantemente criminalizzate e tacciate di corruzione.  

A rischio la tutela dei diritti umani 

La procedura velocizzata delle domande d’asilo e dei rimpatri potrebbe causare un sovraffollamento dei luoghi di detenzione, rendendo insostenibile la gestione degli hotspot e soprattutto rischiando di non consentire una valutazione attenta e accurata delle domande di asilo.

Il pre screening previsto dal Patto – volto proprio a identificare i migranti che attraversano irregolarmente le frontiere e fare una prima cernita tra chi può richiedere l’asilo e chi invece dovrà essere rimpatriato – limita di fatto le procedure stesse di richiesta di protezione internazionale, arginando altresì la possibilità di ingresso effettivo nel territorio.

Più che garantire ai cittadini stranieri un effettivo e imparziale accesso alle procedure di protezione internazionale, il Patto sembra piuttosto predisporne vincoli e limiti.

Un esempio emblematico sarebbe l’hotspot di Moria nell’isola di Lesbo, arrivato a ospitare 13mila persone, sei volte di più della sua capienza, stimata in duemila ospiti. Costruito nel 2015 per volere dell’Unione europea nell’ambito dell’Agenda europea sulle migrazioni, prevedeva che le persone arrivate dalla Turchia via mare rimanessero solo per pochi giorni, per essere identificate prima di essere trasferite sulla terraferma e in altri Paesi dell’Unione europea attraverso i ricollocamenti. Nel 2017, tuttavia, il programma di reinsediamento dalla Grecia e dall’Italia è stato sospeso e le isole greche si sono trasformate in carceri a cielo aperto. ll campo di Lesbo è stato recentemente distrutto da un incendio, lasciando più di 13 mila persone senza un riparo.

Secondo quanto affermato da Sergio Carrera del Center for European Policy Studies, questo sistema metterebbe a serio rischio la tutela dei diritti umani, perché il migrante che arriva da un viaggio già di per sé estenuante e rischioso per la sua vita, sarà costretto a dover subire un ulteriore controllo alle frontiere, con il pericolo di doversi vedere negato l’asilo.

Quanto costerà l’autonomia agli Stati membri?

Sebbene il Patto doti di maggiore autonomia gli Stati membri, sorge il problema di permettere a Paesi Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) che non hanno mostrato solidarietà nell’accoglienza, di poter respingere i migranti arbitrariamente e favorendo così i rimpatri forzati.

Come affermato da Philippe Dam, «affidare i rimpatri a quei Paesi che rifiutano la solidarietà è un insulto al principio stesso della solidarietà. C’è un serio rischio di arbitrarietà e di erosione dei meccanismi minimi di salvaguardia». Quindi, ci ritroveremmo nuovamente di fronte a una politica di chiusura da parte di questi Stati che già usavano metodi di respingimento illegale, senza garantire la tutela dei diritti umani.

Le basi del nuovo Patto – che poggiano proprio sulla cooperazione con i Paesi terzi, il rafforzamento delle frontiere esterne e l’accelerazione di effettive e rapide procedure di rimpatrio – più che proporre nuove soluzioni, reitera una certa tendenza alquanto diffusa nell’approccio europeo alle migrazioni, che punta più sull’esternalizzazione delle frontiere che sulla solidarietà.

Il progetto di riforma del sistema di asilo presentato dalla Commissione europea è ben lontano dalla realizzazione di una visione comunitaria nella gestione del fenomeno migratorio, che parta da una condivisione di responsabilità e della tutela dei diritti fondamentali dei migranti. 

Con l’auspicio che l’Unione Europea possa superare questi limiti attivando una politica migratoria efficiente, prendendo in seria considerazione la tutela dei diritti umani, sarà responsabilità dei nostri governi e dell’Unione stessa facilitare l’accesso al territorio europeo e incoraggiare l’accesso a strumenti di regolarizzazione.


 

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