La spada nella porta. Storia e leggenda al palazzo Arcivescovile di Palermo

 

Sul palazzo arcivescovile di Palermo, proprio a fianco della Cattedrale, l’elsa di un’antica spada porta con sé un giallo storico, fra realtà e leggenda.


Tutti sanno che il complesso monumentale della Cattedrale di Palermo è affiancato, sul lato sinistro dell’osservatore, dall’edificio del palazzo arcivescovile, all’interno del quale si trova anche il Museo Diocesano (MU.DI.PA.). La storia che approfondiamo oggi riguarda proprio il palazzo sede dell’arcivescovo e, in dettaglio, un particolare di notevole rilievo posto nel portone principale.

Una parte della Cattedrale di Palermo, a sinistra la sede del Museo Diocesano.

Si tratta dell’elsa di una spada, posta a circa tre metri da terra, sul lato destro del portone. La storia che si cela dietro questo curioso frammento di spada ha poco a che vedere con le funzioni del palazzo, ma probabilmente molto con gli interessi di chi vi abitava. La storia narra gli eventi di un vero e proprio giallo, un omicidio, risolto in linea di massima, attorno al quale però si sono sedimentati particolari pseudostorici che purtroppo non confermano né smentiscono la veridicità degli eventi.

La leggenda narra che quest’elsa sia quanto rimane dell’arma con cui Matteo Bonello, signore di Caccamo, uccise Maione di Bari, l’allora primo ministro del Re Guglielmo I. Guglielmo I, detto il “malo” fu re di Sicilia dal 1154 al 1166. Fu il discusso successore di Ruggero II che a causa del suo stile di vita dedito agli agi che lo portava a trascorrere la maggior parte del tempo tra gli harem e giardini impose uno stile di governo decisamente improntato al modello orientale arabo-bizantino caratterizzato dal distacco nei confronti degli affari del Regno, la cui gestione veniva sistematicamente delegata a potenti intermediari. 

Proprio per le carenze personali del re, la figura di un primo ministro plenipotenziario acquistò un ruolo decisivo: è qui entra in gioco la vittima, Maione di Bari, che fu proclamato dallo stesso re Guglielmo “amiratus amiratorum” ossia “emiro degli emiri”. 

Maione dovette fronteggiare da solo numerose rivolte da parte di nobili e alto clero e le vicende che portarono all’assassinio dello stesso riguardano proprio una di queste congiure. Nel 1160 l’arcivescovo Ugo (o Ugone) decise di organizzare una congiura con l’obiettivo finale di detronizzare il re in favore del figlio, ancora piccolo (Guglielmo II detto il “buono”, famoso per essere citato da Dante nel XX canto del Paradiso) per poter detenere ufficiosamente il potere in Sicilia attraverso un piccolo consiglio di nobili, che sarebbe stato presieduto dall’arcivescovo stesso. Per poter mirare direttamente al re in persona bisognava però fare fuori Maione, suo braccio destro, ecco il movente. 

Tuttavia, Maione che ebbe probabilmente dei sospetti o fu informato da una spia, cercò in tutti i modi di rivolgere la trappola verso il suo creatore, attentando alla vita dell’arcivescovo Ugo con una dose di arsenico. La differenza nella storia la fece proprio questo dettaglio: il fatto che la dose non fu mortale! Ugo, sopravvissuto all’avvelenamento e presumibilmente furioso, decise di scatenare contro Maione l’ira del capo armato della congiura, Matteo Bonello (Bonel o Bonnel), discendente di una delle più importanti famiglie francesi che si stabilirono nell’Italia Meridionale al seguito dei Normanni. 

Matteo, nella notte di San Martino (10-11 Novembre 1160) organizzò un’imboscata ai danni di Maione proprio all’uscita del palazzo, lungo la cosiddetta “via coperta” che era a quel tempo la strada che collegava la Cattedrale al palazzo Reale. Maione colto di sorpresa tentò di difendersi ma alla fine fu trafitto dalla spada di Bonello e morì. L’arcivescovo Ugo, vero mandante dell’omicidio, fu così soddisfatto della riuscita del suo progetto oscuro, tanto da chiedere a Bonello in regalo la spada incriminata per poterla appendere sul portone d’ingresso. 

Questo gesto doveva infatti rappresentare un monito per il potere politico, la prova di una supremazia della Chiesa non solo da un punto di vista spirituale ma anche materiale. In altre parole, quando si tratta di potere, anche un arcivescovo era disposto a macchiare le sue mani di sangue, sentendosi probabilmente giustificato dalla bontà dei suoi scopi (difendere il regno dalla malsicura guida di Guglielmo). 

Non contenti della loro vendetta, i congiurati decisero di dare il corpo di Maione in pasto ad una folla inferocita, a causa di una rivolta popolare, che lo fece letteralmente a pezzi. I rivoltosi diedero assalto alle case degli arabi, depredandone i beni e attentando alla dignità delle loro donne. 

Queste tristissime pagine di storia provocarono un violento scossone nel tenore di vita del Re, che di fronte a questi atti fu costretto ad occuparsi finalmente del Regno in maniera diretta. Fu infatti in seguito alla rappresaglia “memorabile” che organizzò dopo la rivolta che Guglielmo I si guadagnò il soprannome di “Malo”

La furia di Guglielmo imperversò e colpì soprattutto alcuni baroni provenienti dalla Lombardia, colpevoli a suo dire di non aver osservato prudenza nei confronti delle congiure a suo danno. Per questa ragione, colonie lombarde in Sicilia come Butera e Piazza Armerina vennero passate a ferro e a fuoco, mentre i musulmani stessi, bersaglio della rivolta popolare, decisero di loro iniziativa di acciuffare Bonello, autore materiale dell’omicidio del primo ministro Maione. Guglielmo fece arrestare e processare Bonello che fu condannato a pesantissime torture fisiche, che lo condannarono di lì a poco alla morte. 

La lama della spada, affissa sul portone del Palazzo di Ugo venne spezzata, tuttavia nessuno si occupò mai di rimuoverne l’elsa, che rimane ancor oggi visibile, a tre metri a destra.

Questi fatti, misto di storia e leggenda, non bastano a spiegare il fatto che da un’analisi superficiale risulta chiaro che la spada ancora oggi visibile non possa in alcun modo risalire al 1160, ma debba essere per forza un oggetto posteriore a questi eventi di qualche secolo. L’elsa di tipo “a vela” fu infatti il tipo di spada più diffuso nel XVI secolo, non prima, fatto che apre a possibili scenari differenti.

Il primo è che si tratti di una spada collocata a fine ‘800 alla memoria di Bonello, nell’occasione del “battesimo” della strada in suo onore; la seconda opzione interpretativa è che la spada non c’entri nulla con le vicende dell’assassinio di Maione e sia invece un simbolo dell’allora vigente “ius gladii” il potere di giudizio (potere di vita e di morte) che ogni feudatario poteva esercitare nei confronti dei suoi vassalli. Di solito, infatti, all’ingresso dei feudi era usuale vedere appesa una forca, ad indicazione del “diritto” vigente in quel luogo. 

Potrebbe darsi, perciò, che anche l’allora arcivescovo di Palermo, il quale era un feudatario a tutti gli effetti – dal momento che possedeva molte terre – abbia voluto appendere la spada sul portone del suo palazzo con la stessa valenza della forca, simbolo macabro dello ius gladii et necis, ma dal minore impatto simbolico-visivo.Quando il sistema feudale cadde in disuso e i suoi diritti aboliti, la spada e il suo autentico significato furono probabilmente dimenticati fino a quando la storia di Bonello e dell’ammiraglio Maione non tornò ad affascinare la memoria dei posteri.