Lo smart working nella Pubblica Amministrazione: un’occasione per un’evoluzione digitale

 
 
 

Lo smart working è diventato necessario anche nella Pubblica Amministrazione, facendo emergere delle differenze sostanziali tra chi lavora al suo interno. 


L’emergenza derivante dalla pandemia da Covid-19 ha determinato, per via del distanziamento obbligatorio, l’uso dello smart working per molte aziende private e pubbliche. Di conseguenza, anche la Pubblica Amministrazione (P.A.) si è dovuta adeguare a questo processo ed infatti, con la circolare sullo smart working firmata dalla ministra della P.A. Fabiana Dadone a marzo del 2020, si segna il passaggio dalla sperimentazione all’obbligo dell’uso dello smart working, anche per la P.A.

Tale misura ha fatto emergere delle diseguaglianze in termini lavorativi e di competenze all’interno del personale della Pubblica Amministrazione. Ciò a cui ci si riferisce, in particolare, è la polarizzazione relativa alla distribuzione del carico di lavoro, specchio delle differenze in termini di competenza. Nel dettaglio, ci si riferisce ad un sistema che presenta, da un lato, molti sottoccupati rispetto alle mansioni assegnategli, e dall’altro personale occupato in mansioni che non rispecchiano le reali competenze acquisite.

Fra le cause, vi sono sicuramente sia una cattiva gestione di tipo strutturale del personale della P.A, sia una dirigenza concentrata più sull’attività funzionariale che gestionale e dirigenziale al fine di organizzare e programmare il lavoro. Infatti, grazie al processo di digitalizzazione, al fine di snellire e semplificare il lavoro della Pubblica Amministrazione, molte attività – come quelle di segreteria per esempio – sono scomparse, provocando un’eccedenza di personale non propriamente qualificato. Data questa situazione, pochi possono quindi lavorare utilizzando piattaforme che consentono di accedere ad archivi, alla documentazione utile, di aggiornarsi, di protocollare o di lavorare in team.

Con lo smart working è emersa una spaccatura in cui troviamo da una parte personale che non è facilmente utilizzabile e, dall’altra, personale con capacità avanzate. I motivi possono essere rintracciati da un lato nella “pigrizia” del datore di lavoro pubblico, che considera il personale una risorsa data, su cui soffermarsi solo all’atto del concorso e al momento del pensionamento, dall’altro perché le attività con basse competenze si sono ridotte, assorbite in altre attività o esternalizzate.

Sembra, inoltre, che sia emerso anche un ulteriore aspetto in cui vi sono lavoratori che ricoprono ruoli professionali inferiori alle proprie capacità. Fenomeno che è presente in molti altri settori dell’economia italiana, in cui i giovani sono spesso penalizzati essendo nella doppia posizione di svantaggio sia per il lavoro poco qualificato rispetto alle proprie competenze, sia per colpa della precarietà dell’impiego.

È fondamentale, quindi, una profonda riorganizzazione della Pubblica Amministrazione, che debba partire innanzitutto dalla riqualificazione dei lavoratori con il maggiore potenziale in funzione di un ridisegno digitale della P.A.: il motivo è che le nuove tecnologie stanno portando in tutti i settori a fare più cose con minori risorse e questo può contribuire ad aumentare la produttività del Paese. Per far ciò nella P.A., però, è necessario una visione nuova dell’amministrazione e non una banale reintegrazione del numero dei cessati, ma una riorganizzazione che parta dall’efficienza, cominciando a comprendere a valle quale personale reclutare e come organizzare il lavoro in funzione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana.

Tale Agenda riassume una strategia nazionale per raggiungere gli obiettivi indicati dall‘Agenda Digitale Europea, uno dei 7 pilastri della Strategia “Europa 2020”, che indica gli obiettivi di crescita dell’UE fino al 2020. In questo quadro, quindi, i principali obiettivi dell’Agenda Digitale italiana sono; 1) garantire l’accesso ai contenuti online; 2) agevolare fatturazioni e pagamenti elettronici; 3) unificare i servizi di telecomunicazione; 4) aumentare l’interoperabilità tra banche dati, servizi e reti; 5) consolidare la fiducia e la sicurezza online; 6) garantire una rete internet super veloce e accessibile a tutti; 7) innovare le tecnologie ICT, investendo nella ricerca e sviluppo; 8) alfabetizzare cittadini e imprese nell’uso di queste tecnologie.

A vigilare sul raggiungimento di questi obiettivi, c’è l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) fondata con il Decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 “Misure urgenti per la crescita del Paese”. L’Agenzia è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro da lui delegato e ha il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi e contribuire alla diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, favorendo l’innovazione e la crescita economica. L’AgID ha proprio il compito di coordinare le amministrazioni nel percorso di attuazione del Piano Triennale per l’informatica della Pubblica amministrazione, favorendo la trasformazione digitale del Paese. La pandemia sta dando, quindi, un’occasione per realizzare un ridisegno digitale della P.A. partendo, però, dai servizi più importanti e puntando sulla digitalizzazione e riduzione dell’intermediazione della stessa.