Recovery Fund: i Piani di ripresa degli Stati membri UE

 
 

Nell’attesa del prossimo Consiglio europeo, i Paesi UE hanno cominciato a definire i Piani di ripresa attraverso cui beneficiare dei fondi del Recovery Fund.


L’emergenza epidemiologica del Coronavirus (SARS-CoV-2 o COVID-19) ha imposto agli Stati membri dell’Unione Europea (UE) di predisporre, a livello comunitario, apposite misure volte a fronteggiare la nuova sfida sanitaria, a rilanciare l’economia e promuovere la convergenza, la resilienza e la trasformazione nell’UE. A seguito di intensi negoziati, la riunione straordinaria del Consiglio europeo, tenutasi tra il 17 e il 21 Luglio scorsi, ha condotto al raggiungimento di un compromesso sul Recovery Fund, uno strumento che ha segnato una svolta storica non solo con specifico riguardo alla lotta contro gli effetti prodotti dalla crisi pandemica attuale, ma anche con riferimento al contesto comunitario generalmente inteso.

Nello specifico, la sua dotazione da 750 miliardi di euro – che prende le mosse dalle proposte avanzate nei mesi precedenti dalla Commissione europea e dall’asse franco-tedesco – è costituita non solo da prestiti (360 mld), ma anche – e per la prima volta nella storia del processo di integrazione europea – da contributi a fondo perduto (390 mld). La necessità di definire uno strumento con tali caratteristiche è stata dettata dalla – ora più che mai – stretta interdipendenza tra le economie dei Paesi UE, che ha richiesto il raggiungimento di una risposta il più possibile comune, coordinata e rapida, tenendo conto delle divergenze socio-economiche presenti nei diversi Stati membri.

Nell’attesa del prossimo Consiglio europeo, la cui ultima riunione è stata rinviata all’1 e 2 ottobre a causa dell’auto-isolamento cui il Presidente Charles Michel si è dovuto sottoporre a seguito del contatto con una sua guardia del corpo risultata positiva al test per il Coronavirus, i Governi nazionali hanno cominciato a definire i Piani di rilancio e i progetti la cui predisposizione risulta necessaria al fine di poter beneficiare dei fondi previsti dal Recovery Fund. Le prime bozze degli stessi dovranno essere presentati entro metà ottobre alla Commissione europea, che provvederà a valutarli entro due mesi sulla base di alcuni criteri, quali: coerenza con le raccomandazioni specifiche per paese; rafforzamento del potenziale di crescita; creazione di posti di lavoro; resilienza sociale ed economica dello Stato membro, nonché effettivo contributo alla transizione verde e digitale. 

Da un confronto tra gli Stati membri sotto il profilo della preparazione dei Piani di riforma e di investimenti e alla luce del termine di metà ottobre, emerge come alcuni Paesi UE – quali la Francia, la Germania e i Paesi Bassi – hanno raggiunto un ottimo grado di predisposizione, mentre altri – tra cui la Spagna e l’Italia – hanno riscontrato alcune difficoltà legate principalmente al contesto politico interno. Tale disomogeneità rispecchia quella storica – e, oramai, consolidata – contrapposizione tra Paesi frugali e Stati mediterranei, tra rigorismo fiscale e flessibilità finanziaria, che ha fortemente condizionato il dibattito politico europeo sotto il profilo delle politiche economico-monetarie. Date la strategia denominata Next Generation EU promossa dalla Commissione europea e la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita (PSC), appare chiaro come il Recovery Fund costituisca un’occasione unica per i Paesi UE per rilanciare i rispettivi contesti socio-economici, muovendo da un nuovo paradigma che tenga conto di priorità quali i diritti umani e  il benessere sociale.

Il quadro appena descritto è stato ulteriormente arricchito, lo scorso 17 settembre, dalla pubblicazione della Strategia annuale per la crescita sostenibile 2021, con cui la Commissione europea ha delineato gli orientamenti per l’attuazione del Recovery and Resilience Facility, dispositivo chiave attraverso cui verranno concessi agli Stati membri prestiti e sovvenzioni per un ammontare di 672,5 miliardi di euro, allo scopo di fornire un sostegno finanziario anticipato nei primi anni della ripresa. Anche in questo caso, per poter accedere all’erogazione dei fondi, i Paesi UE dovranno presentare dei Piani per la ripresa e la resilienza che siano in grado di affrontare adeguatamente le sfide politiche delineate nelle raccomandazioni specifiche per Paese dettate dall’UE nell’ambito del Semestre europeo, muovendo dalle quattro dimensioni della sostenibilità ambientale, della produttività, dell’equità e della stabilità macroeconomica.

Analizzando nel dettaglio le azioni intraprese dai singoli Stati membri, alla luce degli strumenti poc’anzi delineati, risulta evidente – come già anticipato – il differente approccio adottato dai Governi nazionali nella predisposizione dei Piani di rilancio, frutto di quei divergenti contesti socio-economici che già la Grande Recessione del 2008 aveva contribuito ad incrementare. Con specifico riguardo alla Francia, che ha ricevuto 39 miliardi di euro a fondo perduto dall’UE, è stato lanciato il “Plan de Relance”, uno strumento da 100 miliardi che punta a favorire la transizione energetica, la coesione sociale e territoriale e competitività delle imprese, in un panorama istituzionale notevolmente avvantaggiato da una forte stabilità di governo.

Una buona strategia al passo con le raccomandazioni della Commissione europea è stata adottata anche dalla Germania, con il cosiddetto “Der Wumms”, un piano da 130 miliardi che prevede numerosi ambiti di intervento – oltre 50 – tra cui misure di sostegno economico a breve termine e investimenti nell’economia sostenibile, nella mobilità, nelle energie rinnovabili e nella digitalizzazione. I Paesi Bassi, cui andranno 7 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni, hanno annunciato un piano nazionale per la crescita di 20 miliardi per il periodo 2021-2026, che si aggiunge alla proposta di un fondo per il clima da 60 miliardi promossa dai GroenLinks (Verdi). 

Tra gli Stati membri che invece hanno – e stanno – riscontrato delle difficoltà nella predisposizione dei Piani per la ripresa e la resilienza spiccano la Spagna e l’Italia: il Paese iberico, al pari del secondo, non ha nessuna particolare strategia ben definita, a causa della precarietà del Governo socialista guidato dal Presidente Pedro Sánchez, nonostante la dotazione di 140 miliardi (73 in prestiti e 67 in contributi a fondo perduto) ricevuta dai fondi del Recovery Fund; lo scenario italiano, invece, pur presentando criticità comuni a quello spagnolo, come l’alto livello di disoccupazione e di debito pubblico, soffre di un contesto politico fortemente incerto – e ancor più messo alla prova dal recente referendum costituzionale – e di un ritardo significativo nel raggiungimento degli obiettivi definiti nella strategia “Europa 2020”, come sottolineato dalla Corte dei Conti europea.

Indipendentemente dai fondi erogati e dal Paese UE cui si fa riferimento, appare chiaro, in conclusione, come le risorse predisposte attraverso gli strumenti promossi a livello europeo necessitino di un utilizzo intelligente e virtuoso che miri ad ottimizzare la ripresa e la resilienza economica. La diversa distribuzione quantitativa dei fondi sulla base di determinati parametri – tra cui la popolazione, la grandezza del Paese, il tasso di disoccupazione medio tra il 2015 e il 2019 e l’impatto della crisi sanitaria – rappresenta un primo passo fondamentale verso una governance economico-finanziaria in grado di bilanciare la responsabilità in capo agli Stati membri con una cooperazione più coordinata e fondata su un’attenta applicazione del principio di solidarietà, esente da logiche politiche sovraniste e particolaristiche. Ancora una volta, i Capi di Stato e di Governo e i Paesi UE che rappresentano in seno al Consiglio europeo hanno la possibilità di convertire l’ennesima sfida globale in un nuovo e più concreto impulso in favore del processo di integrazione europea.