Libia, le dimissioni di al Sarraj aprono nuovi scenari

Le dimissioni del presidente di Tripoli al Sarraj aprono a qualsiasi scenario: Russia e Turchia sono vicine a un accordo sul congelamento del conflitto e che mira alla spartizione di zone di influenza in Libia, come in Siria.


Fayez al Sarraj si arrende: il capo del governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli, riconosciuto a livello internazionale, ha annunciato le dimissioni entro fine ottobre.

«Annuncio a tutti il mio sincero desiderio di consegnare le mie funzioni alla prossima amministrazione, al più tardi entro la fine di ottobre. A quel punto spero che il comitato di negoziazione abbia completato i suoi lavori e scelto un nuovo consiglio di presidenza. E che abbia anche scelto e nominato un nuovo capo del governo» ha dichiarato il presidente del GNA. Secondo il leader libico, la situazione politica e sociale in Libia è in uno stato di “cristallizzazione” che ostacola una soluzione politica pacifica. 

Al Sarraj ha affermato anche che i recenti colloqui tra le parti in guerra (quindi con il generale della Cirenaica Haftar), promossi dall’ONU in Marocco, hanno portato all’avvio dell’iter per le elezioni parlamentari e istituzionali. Recentemente, il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha affermato che i funzionari turchi e russi sono vicini a un accordo per un cessate il fuoco totale in Libia.

Nello specifico, due settimane dopo l’annuncio del ministro turco sul cessate il fuoco, i rappresentanti delle fazioni libiche rivali si sono riuniti a Bouznika, in Marocco, in vista dell’avvio di un processo di pace. Il ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita ha affermato che il suo paese offre ai libici “spazio” per discutere i punti di contesa che li dividono, senza presentare iniziative o programmi, con l’obiettivo di permettere ai rivali libici la ricerca di una soluzione, sotto gli auspici delle Nazioni Unite. All’incontro, che è stato definito “dialogo libico”, erano presenti cinque membri del governo di Tripoli e cinque componenti del parlamento di Tobruk.

Contemporaneamente al vertice marocchino, a Istanbul il presidente turco Erdogan ha incontrato Fayez al-Serraj, premier del governo di Tripoli, riconosciuto dall’Onu. Ma l’incontro non era andato a buon fine. 

I passi in avanti sono stati fatti invece nella serie di incontri svolti in Marocco, in vista dell’apertura di un processo di pace in Libia. Le delegazioni del governo di Tripoli e del parlamento di Tobruk si sono messe d’accordo sul meccanismo che definirà i ruoli chiave delle istituzioni del Paese. I dettagli dell’intesa non sono ancora noti, ma secondo i media libici si è discusso di come designare i vertici della Compagnia nazionale petrolifera, della Banca centrale e delle forze armate. Figure strategiche in un Paese che dal rovesciamento del regime di Gheddafi, nel 2011, è piegato dalla guerra civile, con conseguenze sulle due sponde del Mediterraneo.

Oltre agli incontri in Marocco, si è svolto l’11 settembre il Med-7 ad Ajaccio, in Corsica: gli stati dell’Europa del Sud si sono riuniti a confronto per trovare una soluzione ai problemi del Mar Mediterraneo. La riunione dell’EuroMed-7 ha affrontato i temi caldi della regione: in particolare, l’acuirsi delle tensioni tra Turchia e Grecia. Ma si è parlato, ovviamente, anche di Libia. All’incontro, organizzato e fortemente voluto dal presidente francese Emmanuel Macron, erano presenti Giuseppe Conte, Pedro Sanchez, Kyriákos Mitsotákis e i premier di Cipro, Malta e Portogallo.

«Il nostro obiettivo è proprio quello di ristabilire relazioni normali che permettano la stabilità della regione, con la Turchia di ottenere la fine delle azioni unilaterali, di poter ottenere la fine delle trivellazioni, ovviamente, e il pieno rispetto dell’embargo sulle armi per la Libia» ha dichiarato il presidente francese Macron a fine incontro. 

«L’Italia dà forte solidarietà, non solo ideale, ma concreta a Grecia e Cipro a fronte di azioni unilaterali turche» ha dichiarato invece il presidente italiano Giuseppe Conte. E ha aggiunto: «Sosteniamo le iniziative della presidenza tedesca e delle istituzioni europee per orientare i contenziosi verso soluzioni pragmatiche da cui ripartire per il dialogo».

A Tripoli, intanto, continuano le proteste popolari. Centinaia di manifestanti si sono radunati fuori dal Consiglio presidenziale, lamentando la carenza di servizi di base e chiedendo nuove elezioni. Il malcontento della popolazione, vittima di un conflitto ormai decennale, infiamma da mesi la Libia. Ad agosto erano esplose contestazioni in Cirenaica; negli ultimi giorni si sono diffuse in Tripolitania. L’accordo per un cessate il fuoco è stato raggiunto il 21 agosto e – nonostante il portavoce di al-Serraj denunci la violazione da parte delle milizie vicine ad Haftar – la tregua tutto sommato regge. Le due parti si sono accordate per incontrarsi di nuovo a fine settembre. 

Il generale della Cirenaica Khalifa Haftar, appoggiato da Russia, Emirati, Egitto e Francia,  ha promesso all’ambasciata statunitense di sbloccare presto la produzione di petrolio nel paese. Il dialogo quindi va avanti, mentre l’Unione europea fa la sua parte per far rispettare l’embargo sulle armi. Qualche giorno fa l’Operazione Irini ha bloccato un cargo di carburante per scopi militari, proveniente dagli Emirati e destinato ad Haftar. La settimana scorsa, l’uomo forte di Tobruk ha anche proposto al governo italiano il rilascio dei 18 pescatori italiani bloccati in Libia dal primo settembre in cambio della liberazione di quattro scafisti libici, condannati in Italia a 30 anni per omicidio e traffico di migranti. 

Furono arrestati nel 2015 con l’accusa di avere fatto parte di un gruppo di scafisti responsabile della morte di 49 migranti. Trafficanti e assassini, quindi, ma non per le famiglie, che da alcuni giorni si sono radunate nel porto di Bengasi per chiederne la liberazione. Stando alla loro versione i quattro sarebbero dei calciatori che avevano intenzione di cercare fortuna in Germania. Secondo alcuni analisti Haftar avrebbe deciso di sfruttare il caso per sferrare un attacco all’Italia e al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che nell’ultima visita in Libia ha snobbato il generale della Cirenaica.

Oltre a questo, bisognerà fare i conti con i possibili scenari dati dalle dimissioni del presidente Al Sarraj: secondo Alberto Negri, Russia e Turchia sono vicine ad un accordo che prevede di congelare il conflitto e spartirsi le zone di influenza, esercizio militare e diplomatico che Mosca e Ankara hanno già sperimentato in Siria dove, come in Libia, sono su fronti opposti ma hanno trovato un’intesa, sia pure precaria. Uno scenario confuso, che rende ancora più complicato il ritorno immediato dei pescatori italiani a Bengasi.

La trattativa di Russia e Turchia sulla Libia sarebbe una risposta al cosiddetto ‘Accordo di Abramo’ anti-iraniano e anti-turco, siglato l’11 settembre tra Israele, Stati Uniti, Bahrain ed Emirati. Per Mosca si tratta di allentare la pressione degli Stati Uniti che hanno imposto sanzioni al gasdotto Nord Stream in Germania ancora prima che esplodesse il caso Navalny e la rivolta contro Lukashenko in Bielorussia. 

Per la Turchia resta calda invece la guerra del gas con Francia, Grecia e Cipro nel Mediterraneo orientale dove Ankara rivendica la sua quota di gas, basandosi anche sugli accordi con Tripoli sulla delimitazione dei confini marittimi delle zone economiche esclusive.  In questo scenario di guerra totale nel Mediterraneo, può accadere di tutto.