Israele sigla un accordo di pace con il Bahrain, dopo mesi di bombardamenti a Gaza

 
 

Dopo l’accordo con gli Emirati, Israele sigla un importante accordo di pace con il Bahrain, sotto la regia americana. Dopo mesi di bombardamenti a Gaza ai danni dei palestinesi, spicca il silenzio delle democrazie europee.


Dopo anni di rapporti tra i due Paesi, in alcuni casi molto stretti ma sempre tenuti nascosti, Bahrain e Israele siglano un importante accordo di pace. Un mese dopo la pace “storica” – secondo la definizione del presidente americano Donald Trump – tra Emirati Arabi Uniti e Israele.

La firma di quello che viene definito “Accordo di Abramo” è avvenuta ieri a Washington. Mentre il presidente israeliano Netanyahu ha evidenziato le potenzialità economiche della cooperazione fra Israele e i paesi del Golfo, Trump ha insistito anche sull’aspetto religioso di queste intese.

Delusione per questo accordo da parte palestinese: nelle prime reazioni a caldo, il Bahrain viene accusato, come gli Emirati, di aver “tradito” la causa della Palestina.

Ad aver guidato la regia strategica di questo accordo è stato Donald Trump, che ha voluto fortemente questo accordo tra Israele e Bahrain nell’ottica di una stabilizzazione dei rapporti tra Israele e Paesi Arabi e soprattutto in ottica anti iraniana. L’avversione da parte di Tel Aviv nei confronti di Teheran è nota; il Bahrain invece teme che l’Iran possa favorire una rivolta anti bahreinita: la maggioranza della popolazione del Bahrain è sciita, mentre la dinastia regnante è sunnita. 

Inoltre, per Trump l’accordo è un trionfo diplomatico perché siglato l’11 settembre, dunque ha un alto valore simbolico per gli americani. A due mesi dalle presidenziali statunitensi, il presidente americano ha anche annunciato un accordo di principio per il Kosovo per il riconoscimento di Israele e per la Serbia per il trasferimento della sua ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.

Questo tra Israele e Bahrain è però un accordo siglato col “sangue”, dopo mesi di bombardamenti continui da parte di Israele nella Striscia di Gaza, con continue soluzioni militari, come la creazione di un nuovo sistema laser contro i palloncini incendiari.

Secondo Israele nel 2019 i palloncini incendiari lanciati dalla Striscia di Gaza hanno distrutto oltre 4 mila ettari di terreni coltivabili e vegetazione; una stima approssimata per difetto secondo le autorità israeliane, in considerazione del fatto che i lanci non si sono ancora fermati. Una minaccia a cui Israele ha risposto con la predisposizione di un sistema laser in grado di intercettare i palloncini incendiari. 

Il laser è in grado di colpire obiettivi a una distanza di due chilometri, di giorno o di notte. Se il bersaglio è un drone, può bruciare parti del velivolo fino a quando non precipita. Ma la risposta di Israele al lancio dei palloncini da parte di gruppi collegati ad Hamas è stata anche offensiva con il moltiplicarsi dei raid aerei, divenuti quotidiani, sulla Striscia. 

L’Egitto e il Qatar hanno cercato di sostenere un cessate il fuoco informale. Al centro delle nuove tensioni il blocco di Israele che strangola Gaza. Secondo Hamas, Israele non ha rispettato i precedenti accordi, che prevedevano un allentamento dell’embargo oltre che permessi di lavoro per i cittadini palestinesi in Israele e il finanziamento di progetti di sviluppo. Misure necessarie per garantire ristoro minimo a un territorio impoverito dove la disoccupazione supera il 50 per cento.

Infatti, da mesi Israele ha continuato incessantemente i suoi attacchi a Gaza: gli aerei israeliani hanno bombardato diversi siti di Hamas a Khan Yunis circa una decina di volte, consecutivamente.  Una risposta, secondo le autorità israeliane, innescata dal lancio di due razzi dalla Striscia, che hanno causato lievi danni a una casa nel sud di Israele e ferito leggermente uno dei suoi abitanti, e che hanno seguito un mese infernale, con bombardamenti giornalieri.

I militari israeliani hanno motivato gli attacchi aerei con il lancio di palloncini incendiari che i gruppi affiliati ad Hamas hanno inviato attraverso la frontiera di Gaza in territorio israeliano. I palloncini hanno causato decine di incendi che hanno bruciato i terreni agricoli israeliani. La risposta non si è fatta attendere e non è stata certamente timida: Israele ha bombardato la Striscia di Gaza tutto il mese di agosto, ogni sera. 

La situazione già difficile a Gaza è peggiorata con il blackout: i palestinesi hanno denunciato il fatto di ricevere elettricità solamente quattro ore al giorno, mentre le temperature salivano vertiginosamente. Infatti, da martedì 18 agosto anche l’unico impianto di corrente elettrica della Striscia è stato chiuso, il combustibile si era esaurito: il governo israeliano ha infatti deciso di bloccare il trasporto di carburante che serve per la centrale di Gaza

La stretta si è fatta ancor più dura con il divieto ai pescatori palestinesi di uscire in mare. Israele ha consegnato il carburante due settimane dopo, “normalizzando” il servizio, con Gaza che riceverà, nell’unica centrale elettrica locale, 10-12 ore quotidiane di elettricità. 

La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza resta inimmaginabile con l’incredibile carenza di tutti i servizi igienico-sanitari e sociali. Nella Striscia vivono oltre due milioni di palestinesi, uno dei luoghi più sovraffollati e poveri al mondo, segnato da guerre e tensioni, con un tasso di disoccupazione e di povertà superiore al 70 per cento.  Inoltre dal 2007 sulla Striscia vige un embargo imposto da Israele che limita l’ingresso di merci e la mobilità dei suoi abitanti. 

Dopo l’annuncio da parte del presidente americano Donald Trump di una pace arabo-israeliana che spera possa aiutare la sua rielezione in novembre, il Segretario di stato Mike Pompeo è atterrato a Tel Aviv a fine agosto come prima tappa di un viaggio in Medio Oriente.

Israele e gli Emirati Arabi Uniti hanno stretto un accordo per normalizzare le relazioni, con Israele che rinuncia all’annessione della Cisgiordania occupata. Un accordo che però non è piaciuto ai palestinesi. Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente palestinese Mahmud Abbas ha affermato: «la leadership palestinese annuncia il suo forte rifiuto e la condanna della dichiarazione tripartita a sorpresa americano-israeliano-emiratina su una piena normalizzazione delle relazioni tra lo Stato di occupazione israeliano e gli Emirati Arabi Uniti, in cambio di una presunta sospensione temporanea del piano di annessione palestinese e della estensione della sovranità israeliana su di esse».

Pompeo è giunto in prima battuta in Israele anche per rassicurare sulla vendita di cacciabombardieri F35 agli Emirati Arabi Uniti. Un tema particolarmente delicato per Tel Aviv: non vede di buon occhio il fatto che l’amministrazione Trump abbia “intensificato” la sua vendita di cacciabombardieri F-35 di nuova generazione agli Emirati che già possiedono una sessantina di Mirage 2000. 

Israele però ha ampiamente gradito la politica anti-iraniana di Trump, che secondo il Mossad resta la grande questione: l’Iran è definito dal presidente israeliano Netanyahu «l’avversario più pericoloso». L’Iran continua a sostenere Hamas e gli Hezbollah, continuando a spaventare Israele, attestandosi sempre sui suoi confini. 

Questo mentre Israele continua a martellare con i bombardamenti Gaza e si dichiara pronta a lanciare un’offensiva militare molto distruttiva in un’area già fatiscente. In questo scenario di guerra, spicca l’assordante silenzio delle antiche democrazie europee. Hamas, che controlla Gaza, ha diffuso un comunicato in cui afferma che non starà a guardare.


 
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