Il monito dell’Agenda Draghi: «flessibilità e pragmatismo nel governare oggi»

Nel suo discorso al Meeting 2020 di Rimini, Mario Draghi ha evidenziato i punti fondamentali per il  rilancio socio-economico dell’UE.


Il fenomeno epidemiologico del Coronavirus (SARS-CoV-2 o COVID-19), come affermato dai principali istituti di statistica, ha prodotto notevoli effetti negativi globali che hanno condizionato non solo le economie, ma anche le politiche sociali e i sistemi di welfare degli Stati. Con specifico riguardo al contesto relativo all’Unione Europea (UE), la crisi sanitaria ha ulteriormente aggravato quelle divergenze economico-finanziarie che già avevano segnato, nel decennio passato, una netta demarcazione tra i diversi Paesi membri.

Muovendo da tale quadro e dalle misure adottate a livello comunitario per far fronte all’emergenza dettata dal fenomeno epidemiologico, l’ex Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Mario Draghi, durante il suo intervento al Meeting 2020 di Rimini, ha messo in evidenza i punti fondamentali per una ripresa socio-economica sostenibile, soprattutto nel lungo periodo. La crisi sanitaria, al pari dei precedenti shock finanziari, ha marcato con maggior vigore i limiti dell’assetto giuridico-istituzionale europeo, in particolare quella mancanza di competenze, sancita dagli Stati membri all’interno del Trattato sull’Unione Europea (TUE), che rende l’UE priva di quei poteri necessari per predisporre una risposta più rapida ed efficace contro le sfide che ne compromettono la stabilità.

Secondo Draghi, la pandemia rappresenta una minaccia sotto diversi punti di vista, un pericolo in grado di colpire non solo l’economia ma anche «il tessuto della nostra società», diffondendo incertezza, penalizzando l’occupazione e paralizzando i consumi, nonché gli investimenti. Nonostante i progressi raggiunti nel quadro dell’Unione Economica e Monetaria (UEM), le sfide dell’ultimo decennio hanno mostrato come l’intervento delle istituzioni – sia a livello nazionale che europeo – debba necessariamente tenere conto, quale presupposto fondamentale, dell’avvenuto mutamento del contesto di riferimento e, di conseguenza, adattare le risposte e le relative politiche, in conformità coi principi che guidano il progetto comunitario.

«Dobbiamo accettare l’inevitabilità del cambiamento con realismo e, almeno finché non sarà trovato un rimedio, dobbiamo adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche. Ma non dobbiamo rinnegare i nostri principi. Dalla politica economica ci si aspetta che non aggiunga incertezza a quella provocata dalla pandemia e dal cambiamento. Altrimenti finiremo per essere controllati dall’incertezza invece di esser noi a controllarla. Perderemmo la strada».

È proprio partendo da quei principi – come la solidarietà – che hanno determinato la nascita e il susseguente sviluppo del processo di integrazione europea che è possibile applicare quella flessibilità e quel pragmatismo che, ad oggi, risultano essenziali per costruire una governance economica che miri alla realizzazione di obiettivi comuni, a discapito degli egoismi nazionali e sovranisti. Senza di essi quale schema di riferimento multi-livello, il senso di disorientamento e di incertezza finirebbero per incrementare l’inadeguatezza degli assetti che hanno costituito la base per le precedenti e le presenti risposte europee alle crisi.

In tale ottica, le principali vittime del contesto appena descritto – a parere di Draghi – saranno i giovani, ai quali dovranno essere garantiti tutti quegli strumenti utili per poter pagare quel debito creato per contrastare gli effetti della pandemia e per vivere in una società migliore: «Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza».

Sebbene la direzione della risposta fornita dagli Stati membri – in seno al Consiglio europeo – alla pandemia sia stata «corretta», secondo l’ex Presidente della BCE la solidarietà che ne è derivata è stata – purtroppo – il «frutto di negoziati» dettati da circostanze particolari e non la logica conseguenza di una cooperazione spontanea tra Stati membri volti a proseguire nel processo di integrazione europea.

Nello specifico, l’accordo sul Recovery Fund, raggiunto nel luglio scorso, se da un lato rappresenta sicuramente un traguardo storico – prevedendo, per la prima volta, emissioni di debito comune – dall’altro ha dimostrato come i Paesi UE, soprattutto quelli dell’Eurozona, realizzino progressi – non sempre efficaci – all’interno dell’UEM solo in presenza di periodi di crisi e non per la convergenza spontanea di più volontà politiche nazionali volte a perseguire i medesimi obiettivi. Non a caso, i negoziati che hanno condotto alla definizione del contenuto dell’accordo sono stati caratterizzati da quella tensione che, già in passato, aveva influenzato le relazioni tra i gli Stati membri in tema di assistenza finanziaria.

draghi

La flessibilità e il pragmatismo professati da Mario Draghi nel suo intervento ben si allineano alla reazione che il Recovery Fund ha suscitato in seno al Parlamento europeo. Nello specifico, nonostante gli eurodeputati abbiano accolto con favore il raggiungimento dell’accordo, non sono mancate alcune critiche mosse nei confronti dei tagli apportati al bilancio a lungo termine, ossia il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) e ai programmi futuri volti ad assicurare una «ripresa sostenibile e resiliente».

In aggiunta, è stata sottolineata la necessità di garantire «un solido sistema di nuove risorse proprie che includa una tassa digitale o prelievi sul carbonio», con la previsione di un apposito calendario vincolante per la relativa introduzione.  Un accordo sulla riforma del sistema delle risorse proprie – ossia quelle raccolte direttamente dall’UE – e il rispetto dello Stato di diritto, dei valori fondamentali e della democrazia al fine di accedere ai fondi per la ripresa rappresenteranno i presupposti essenziali per la futura approvazione del Recovery Fund da parte del Parlamento europeo.

Al pari delle precedenti crisi, la pandemia costituisce un’ulteriore occasione per l’UE di rafforzare il suo assetto giuridico-istituzionale. La novità di prevedere l’emissione di debito comune, da sempre timore nevralgico dei cosiddetti “Paesi frugali”, traccia la giusta rotta che – almeno all’interno dell’UEM – gli Stati membri devono perseguire nel graduale processo di integrazione europea; un «debito buono», questo,  la cui sostenibilità – secondo Draghi – sarà garantita dal relativo utilizzo a fini produttivi, in termini di investimenti sul capitale umano, sulla ricerca e sulle infrastrutture.

In ultima analisi, ancora una volta, il “whatever it takes” dell’ex Presidente della BCE risuona, anche se con parole diverse, quale monito e linea guida nella realizzazione di quel necessario bilanciamento tra solidarietà responsabile e flessibilità delle regole: «È nella natura del progetto europeo evolversi gradualmente e prevedibilmente, con la creazione di nuove regole e di nuove istituzioni: l’introduzione dell’euro seguì logicamente la creazione del mercato unico; la condivisione europea di una disciplina dei bilanci nazionali, prima, l’unione bancaria, dopo, furono conseguenze necessarie della moneta unica.

La creazione di un bilancio europeo, anch’essa prevedibile nell’evoluzione della nostra architettura istituzionale, un giorno correggerà questo difetto che ancora permane. Questo è tempo di incertezza, di ansia, ma anche di riflessione, di azione comune. La strada si ritrova certamente e non siamo soli nella sua ricerca».