Addio Rossana Rossanda

 
 

È morta Rossana Rossanda: giornalista, intellettuale, comunista, scrittrice, fondatrice de Il Manifesto, una delle più grandi firme del giornalismo italiano e della vita politica del ‘900.


Il 20 settembre del 2020 è morta Rossana Rossanda, all’età di novantasei anni: giornalista, intellettuale, comunista, scrittrice, fondatrice de Il Manifesto con Lucio Magri, Luigi Pintor e Valentino Parlato, prima come rivista e poi come quotidiano. Il sottotitolo della rivista era Bimestrale di critica dell’emergenza. Poi quotidiano che ha continuato a definirsi, nonostante tutto, comunista.

Fu allieva del filosofo Antonio Banfi, “il mio maestro”, come lo definiva. Amica di Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, aveva vissuto a lungo a Parigi. Ma col tempo divenne amica personale anche di altri personaggi celebri, come Anna Maria Ortese, per la quale organizzò un viaggio in Unione Sovietica, Louis Aragon, Bertolt Brecht e Louis Althusser. Antifascista militante, partecipò alla Resistenza e alla lotta armata, e ne ha ricordato continuamente l’importanza. 

Lei, nata nel 1924 a Pola sul tormentato confine orientale, amante della filosofia e dell’arte (preferì rinunciare alla carriera universitaria per fare politica), era una donna complessa, acuta, estremamente intelligente, ingombrante; vista la sua profonda cultura – prima di iscriversi al Pci lavorò anche per la casa editrice Hoepli, subito dopo aver partecipato alla Resistenza come partigiana, col nome di “Miranda” –  fu nominata da Palmiro Togliatti responsabile della politica culturale del Pci ed eletta alla Camera dei Deputati nel 1963. 

Esponente dell’ala di sinistra interna del PCI, gravitante sulla figura di Pietro Ingrao e detta appunto “ingraiana”, voce di un ’68 al femminile, pubblicando un piccolo saggio intitolato L’anno degli studenti, in cui esprimeva la sua adesione piena ed incondizionata alle rivendicazioni che gruppi e collettivi di sinistra – anche all’infuori dei circuiti del PCI – stavano portando avanti.

Ma come scritto in precedenza, fu una figura ingombrante all’interno del suo Partito, col suo instancabile spirito critico: fu radiata dal Pci nel 1969 durante il XII Congresso nazionale del Partito svoltosi a Bologna – nonostante il parere contrario del futuro segretario nazionale Enrico Berlinguer – con l’accusa di “frazionismo” assieme ad Aldo Natoli, Luciana Castellina, Lucio Magri, Luigi Pintor, passata per l’esperienza del Pdup, Partito di Unità Proletaria per il comunismo, e soprattutto con la fondazione de Il Manifesto. Il motivo? Rossana Rossanda era fortemente critica nei confronti del socialismo reale dell’Unione Sovietica e dei paesi del Blocco Orientale, e per il loro rapporto troppo stretto e per nulla indipendente con il Partito. Nello specifico, a far infuriare il Comitato centrale del partito fu la netta condanna (sua e di tutto Il Manifesto) dell’occupazione della Cecoslovacchia da parte di paesi del Patto di Varsavia. 

A proposito della Primavera di Praga il Pci di Longo-Berlinguer si limitò a parlare di errore politico, mentre Il Manifesto affermò che il socialismo sovietico era divenuto un sistema non più riformabile. La condanna dei fatti di Praga arrivò dal PCI solamente dieci anni dopo, quando ormai era iniziata la rivoluzione liberista di Reagan e della Thatcher e il dibattito politico si interrogava sulla possibilità stessa di un socialismo democratico, anziché di un socialismo diverso da quello sovietico. Ma lo strappo nei confronti dei giornalisti de Il Manifesto non venne più ricucito.

Nonostante ciò e contrariamente a molti intellettuali, Rossana Rossanda non rinnegò mai il suo sentirsi comunista: diceva che «il comunismo aveva sbagliato ma non era sbagliato».

Rossana Rossanda continuò la sua lotta politica e culturale militante: contro le Br, contro il capitalismo, contro il Pci, contro le socialdemocrazie, ne aveva per tutti. Durante il rapimento di Moro sostenne la tesi della trattativa. Dopo essere stata direttrice de Il Manifesto sin dalla fondazione, decise di lasciare per alcuni anni la politica attiva per dedicarsi al giornalismo ed alla letteratura, senza però abbandonare il dibattito politico e la riflessione sui movimenti operaio e femminista italiani. Negli ultimi anni è stata anche attivista per Antigone.

Nel 2005 con la casa editrice Giulio Einaudi Editore, pubblicò l’autobiografia “La ragazza del secolo scorso”, arrivando seconda all’edizione 2006 del Premio Strega con 150 voti contro i 177 di “Caos Calmo” di Sandro Veronesi. Una delle autobiografie italiane più importanti attraverso cui capire meglio quel secolo complesso quale è il Novecento, ma soprattutto per capire meglio una figura così straordinaria, grande esempio di lucidità critica e libertà d’espressione, coraggio e passione. 

I prossimi anni saranno destinati ai ricordi, soprattutto grazie ai colleghi che hanno lavorato con lei. Chi la ricorda sostiene che lei era una pessimista, ma nonostante tutto una grande amante della bellezza, credeva in qualcosa di nuovo.

Addio Rossana Rossanda, grazie di tutto.