Un secondo semestre da incubo

 
 

I dati dei principali istituti di statistica mondiali confermano le più fosche delle previsioni: un crollo del Pil paragonabile a quello post Seconda Guerra Mondiale.


Ad aprire le danze nella giornata di venerdì è stata l’Eurostat, con i dati sul Prodotto interno lordo dei paesi dell’eurozona e dell’Unione. I dati sono pessimi, il peggior dato statistico dall’inizio delle serie risalente al 1995. Il Pil dell’eurozona nel secondo semestre è crollato di 12,1 punti percentuali e quello dell’Unione dell’11,9% e come è possibile notare sono simili, sintomo di una crisi pandemica ed economica simmetrica nel vecchio continente. Secondo i dati dell’Eurostat, l’Italia ha mostrato una diminuzione del 12,4% rispetto al primo trimestre e del 17,3% rispetto allo scorso anno mentre, rispetto al trimestre precedente, le principali economie dell’area hanno fatto segnare un crollo non indifferente: Francia 13,8%, Spagna 18,5%, Germania 10,1%. È giusto fare la precisazione che, rispetto ad un anno, il calo desumibile è molto preoccupante: Francia 19%, Germania 11,7%, Spagna 22,1%.

Rispetto al nostro paese, l’Istat sottolinea qualcosa in più nel suo documento: il calo acquisito del Pil di quest’anno ha già raggiunto il 14,3%, una stima ben peggiore di tutte quelle indicate in precedenza. Ad alleviare la situazione le dichiarazioni del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che ha indicato come, da una prima verifica, è possibile per il terzo trimestre un rimbalzo del Pil del 15% che allevierebbe il dato precedente.

Dati ancora peggiori sono quelli che vengono dall’Istituto di statistica tedesca. Il calo del Pil del 10,1%, rispetto al trimestre precedente, e dell’11,7%, rispetto allo scorso anno, è peggiore del dato atteso dagli analisti e si conferma essere il peggiore dal 1970, dato di inizio delle serie storiche tedesche, e oltre il doppio rispetto al crollo del 2009, in piena crisi finanziaria, quando si ridusse del “solo” 4,9%. A rendere chiaro il quadro della crisi è il dato sulle esportazioni, crollato di quasi un terzo al 31,1%, e il dato degli ordini industriali, in calo del 25,8%.

Il dato francese dell’Institut national de la statistique et des études économiques (INSEE) per quanto peggiore di quello italiano e tedesco permette, invece, di tirare un parziale sospiro di sollievo. La caduta del 13,8% del Pil, rispetto al trimestre precedente, e del 19%, rispetto all’anno precedente, per quanto il peggiore dal secondo dopoguerra, presenta una situazione migliore rispetto a quella prevista dagli analisti, -15%, e dalle stime precedenti dell’Istituto nazionale di statistica francese, -17%.

L’Istituto Nacional de Estadistica (INE) segna, per la Spagna, il dato peggiore nel quadro delle principali economie europee, segnando un calo su base trimestrale del 18,5% e del 22,1% su base annuale. Il dato preoccupante è legato all’aumento della disoccupazione e al contestuale crollo degli occupati come dimostrato dal calo delle ore lavorate che è stato pari al 21,4%, rispetto al trimestre precedente, e del 24,8%, rispetto all’anno precedente.

In attesa dei dati sul Regno Unito che verranno pubblicati il 6 agosto, spostiamoci al di fuori dell’Europa per verificare l’andamento del Pil negli Stati Uniti grazie ai dati rilasciati dal Dipartimento del Commercio statunitense. Proprio gli USA hanno mostrato un crollo senza precedenti, il peggiore dall’inizio delle serie storiche nel 1947 e probabilmente simile a quello avvenuto durante il periodo della Grande Depressione. Il crollo del Pil nel secondo semestre, su base annuale, ha raggiunto ben il 32,9%. In realtà, il dato è migliore di quello atteso dagli analisti che si aspettavano un calo dell’ordine del 34% circa, ma rappresenta comunque un crollo devastante, nell’arco di un anno.

Si deve ipotizzare che è come se fosse evaporato un terzo dell’economia statunitense. Il dato preoccupante, inoltre, è la continua crescita dell’erogazione dei sussidi di disoccupazione, segno che l’economia statunitense, diversamente da quelle del vecchio continente, continua a dibattersi in una crisi sanitaria ed economica ancora perdurante. Nell’ultima settimana le richieste di un sussidio di disoccupazione sono aumentate di 1,43 milioni, al di sopra di quanto previsto dagli analisti che si attendevano una cifra intorno a 1,4 milioni.

Oltre al problema dell’occupazione, tutti gli altri dati mostrano un’economia in forte sofferenza negli USA trascinata al ribasso, in particolare, dal crollo della domanda interna. L’aspetto peggiore è che la maggior parte degli analisti, diversamente dalle analisi precedenti, non si attende un forte miglioramento della situazione nel prossimo trimestre: al contrario, l’allargamento della diffusione della pandemia e le difficoltà a contrastarla efficacemente, potrebbero provocare un terzo trimestre in forte calo seppur non ai livelli del secondo. Le prospettive per tutto il 2020 restano complicate oltreoceano.

I dati che provengono dalle due sponde dell’Atlantico mostrano come le economie dei paesi avanzati siano in profonda sofferenza. Una sofferenza che nel vecchio continente sembra essere alle spalle, ma senza rassicurazioni a causa del peggioramento delle condizioni sanitarie di tre dei quattro paesi analizzati (Francia, Germania e Spagna) – i cui dati sui contagi sembrano sempre più avvicinarsi a quelli pre-lockdown – ma che negli Stati Uniti è ancora attuale, come dimostra l’enorme numero di contagi giornalieri. Le condizioni economiche globali potrebbero avvicinarsi a quelle dello scenario peggiore prospettato dalle stime dell’OCSE, fondate su un doppio lockdown, e da noi analizzate in precedenza.

Anche se lo scenario peggiore, con la seconda serrata fra autunno e inverno prossimi, venisse schivato, la situazione sarebbe comunque peggiore del previsto. L’andamento della pandemia negli Stati Uniti e i suoi effetti economici avranno degli importanti contraccolpi sulla crescita mondiale: gli USA sono e rimangono il principale mercato globale. Un’economia americana debole è un’economia che assorbe poco i prodotti provenienti dal resto del mondo e che, contemporaneamente, esercita poco il suo ruolo di traino. Se alla situazione sanitaria aggiungiamo le tensioni commerciali con la Cina e il loro effetto di propagazione potremmo avere altre pessime notizie nei prossimi mesi. Il paragone fra la Grande Pandemia e la Grande Depressione diventa, ogni giorno, sempre meno azzardato.


 
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