Il “People’s Archive of Rural India”, la voce dei subalterni indiani

 

Raccontare le storie di più di 800 milioni di abitanti dell’India rurale. È l’ambizioso ed affascinante obiettivo del “People’s Archive of Rural India”, fondato nel 2014 dal giornalista P. Sainath.


Il censimento indiano del 2011 indica che, su un totale di più di 1 miliardo e 210 milioni di abitanti, 833 milioni di indiani vivono in zone rurali. Gli abitanti dell’India rurale rappresentano un vero e proprio “continente” all’interno del subcontinente indiano, come affermato dal giornalista indiano Palagummi Sainath. Una realtà in cui si parlano più di 780 lingue (ne sono sparite più di 250 negli ultimi 50 anni – al 2013) e caratterizzata da una immensa diversità culturale e straordinaria eterogeneità. È proprio a partire da un’iniziativa di Sainath, che nel dicembre del 2014 viene fondato il People’s Archive of Rural India, che ha un obiettivo principale e ambizioso: dare voce a quella parte dell’India marginalizzata dalla narrazione dei mass-media. 

Il People’s Archive of Rural India (PARI) è una piattaforma giornalistica, un manuale digitale e giornale “vivente” delle storie di ogni giorno dell’India rurale. Se il corporate e il brand journalism sono i protagonisti odierni del giornalismo indiano, la narrazione offerta dal PARI dà voce all’India più invisibile e nascosta, riempiendo il divario crescente tra i mass-media e la vera realtà delle masse.

Secondo Sainath, il fenomeno che sta più colpendo da decenni la popolazione dell’India rurale è lo spopolamento di massa delle campagne e lo spostamento nei centri urbani. Il movimento di milioni di persone non è semplicemente da relegare a fenomeni come la ricerca del lavoro in città, ma ad una complessa e lunga crisi dell’agricoltura per mancanza di terre, difficoltà di approvvigionamento di risorse come l’acqua o i pesticidi (ormai troppo costosi per i contadini) e soprattutto a causa delle conseguenze del cambiamento climatico.

I giornalisti del PARI hanno coltivato un modo di fare giornalismo che mette in primo piano il dialogo con la società indiana e la presenza fisica nelle zone da cui provengono le storie narrate. Sono presenti file audio, video, messaggi, foto, articoli: un archivio eterogeneo che prova, attraverso diverse forme, a documentare le “storie di ogni giorno delle vite di ogni giorno”. Le risorse sono spesso presenti in più lingue, tra cui inglese, urdu, hindi, oriya, assamese, tamil, marathi e gujarati. 

“Kalibudhi Gope, 18 anni, ha una deformità ossea e una gobba sulla parte superiore della schiena. Non può resistere a lungo in piedi, ma due volte a settimana frequenta un college a Jamshedpur, a circa 35 chilometri di distanza.” – Fonte: PARI “The ore that breaks bodies in Bango”

Tra i contenuti del PARI, si trovano album fotografici con le foto dei bambini delle proteste contadine del 2018 a Delhi, degli artigiani produttori di corde con un sistema ormai quasi dimenticato, articoli che raccontano delle difficoltà di artigiani e vasai durante la pandemia, nonché di contadini e migranti. 

Sono diverse le iniziative e i progetti lanciati dal PARI. “Faces”, dove i fotografi si impegnano a fotografare tre persone provenienti da ognuno dei 629 distretti dell’India, facendo emergere la sua incredibile diversità “facciale” ed etnica, e l’iniziativa “unselfie”, dove i volontari del PARI, invece di scattare dei selfie visitando dei luoghi come dei semplici turisti, si fermano a parlare con le persone del luogo, alla scoperta del loro lavoro, cultura e vite quotidiane. È presente anche uno spazio dedicato esclusivamente al mondo femminile, “Visible Work, Invisible Women”. Nel loro account Twitter, vengono postate quasi giornalmente delle storie di emarginati e dimenticati dell’India.

Il materiale contenuto nel PARI è sotto la licenza Creative Commons, quindi liberamente utilizzabile e riproducibile da tutti. Una vera e propria risorsa i cui usi possono spaziare dal rappresentare un manuale per le scuole primarie e secondarie dell’India, ad essere un punto di riferimento per gli studi subalterni nelle accademie indiane, asiatiche e mondiali. 

Attraverso l’iniziativa “PARI Education”, le ricerche e testimonianze raccolte dai collaboratori del PARI vengono portate direttamente sui banchi di scuola. Come si legge nella presentazione del sito, “come educatori, corriamo il pericolo di formare una generazione di indiani che sono lontani dai problemi nelle loro immediate vicinanze, ignari delle questioni sociali ed etiche e distaccati dalle crescenti disuguaglianze che ci circondano. Se vogliamo cambiare questa situazione, dobbiamo fornire loro gli strumenti e le informazioni per mettere in discussione gli stereotipi e pensare in modo critico oltre i loro libri di testo”.

Il lavoro di Sainath e dei suoi collaboratori ha già ispirato altri gruppi di studiosi nel mondo a creare degli archivi sul modello del PARI. È il caso, ad esempio, del “People’s Archive of Rural Nova Scotia”, una piattaforma multimediale che scopre lo “straordinario nell’ordinario” della provincia marittima di Nuova Scozia, sul versante atlantico del Canada.

“Non si tratta di parlare per loro, si tratta di affermare che hanno qualcosa da dire”, come ha affermato Sainath. Siamo pronti ad ascoltare? 


Foto in copertina di PARI “Lost on the island, and then found or forgotten”