Il canto del cigno di Lukashenko

 
 

Bielorussia al voto. Cittadini in piazza, brogli e arresti per truccare i risultati in favore di Lukashenka, le dichiarazioni della Cina.


Il canto del cigno, “in senso figurato, indica l’ultima e più pregevole opera di un artista. Fa riferimento alla credenza secondo la quale il cigno selvatico, poco prima di morire, avrebbe un canto armonioso. In realtà i cigni, a seconda delle specie, emettono suoni simili a schiocchi o a trombe. Lo fanno però raramente, quando si sentono minacciati.” Così la rivista Focus spiega ai suoi lettori il significato della locuzione. E c’è forse poco più da dire, benché si tratti di politica bielorussa, e non di pennuti.

La Bielorussia è già al voto, voto anticipato di quattro giorni per consentire “la libera espressione della propria scelta elettorale” a coloro che non potranno presentarsi ai seggi nel giorno dell’elezione presidenziale generale, questa domenica 9 agosto. Su quasi sette milioni di aventi diritto, il 4.98% si è avvalso del voto anticipato nella giornata di ieri.

Già indicato come principale fucina di brogli, questo voto anticipato, non smentisce le previsioni. Come denunciano i watchdog Bielorussi, alcuni elettori vengono costretti al voto anticipato dietro ricatto, e su Twitter circola già da qualche ora notizia che nei seggi siano stati effettuati degli arresti ingiustificati. E nonostante ciò, i semplici brogli non bastano: come aveva preannunciato, Lukashenko sta sfoderando tutte le sue carte.

Abbiamo visto un’inattesa troika – Tsikhanovskaya, Kolesnikova, Tsepkala – tre donne sul palcoscenico di un’elezione impossibile. Abbiamo visto le piazze delle varie città della Bielorussia gremite di manifestanti pacifici ad ascoltarle. Abbiamo sentito diverse teorie del complotto tramite le quali opinionisti di varie fazioni hanno voluto spiegare con elucubrazioni contorte qualcosa di molto molto semplice: il popolo bielorusso vuole il cambiamento. Ma ciò che non abbiamo ancora visto, se non in minima parte, è ciò che può succedere se il popolo bielorusso si incazza, e continua a manifestare nonostante la repressione poliziesca.

Peremen trebujut nashi serdza, peremen trebujut nashi glaza, “i nostri cuori e i nostri occhi esigono il cambiamento”, così cantava Viktor Tsoi a fine anni ‘80, a un attimo dalla caduta del Muro. E, peremen, questa è stata la parola chiave di un’opposizione che si è inaspettatamente compattata dietro tre donne e il loro grido al cambiamento.

La piazza non ha accennato a svuotarsi, nonostante i ripetuti arresti e pestaggi. A nulla sono serviti i richiami di Lukashenka all’ordine, le sue ultime carte, che ha giocato a ripetizione e a stretto giro. Innanzitutto, quella del “complotto russo”, la carta che ha giocato per convincere l’elettorato di essere lui l’unico baluardo dell’indipendenza bielorussa rispetto a Mosca. L’arresto dei 33 contractor della Vagner, un’ottima scusa per giustificare ulteriori misure di sicurezza, e l’agitazione del complotto kremlinista per addolcire il giudizio dell’UE riguardo ai già violati diritti umani e alla violenza che si preconizza per il post elezione. Naturalmente, ciò non ha affatto sortito l’effetto sperato.

“Ci hanno insospettito perché erano russi, ma non bevevano”, queste le farsesche premesse del presunto complotto per la destabilizzazione della Bielorussia da parte di “quella sporca trentina”. Professionisti della guerra provenienti da scenari ben diversi, che si sarebbero fatti notare nell’albergo appena fuori Minsk, come un investigatore privato con il trench giallo e baffi finti, sprecati a creare qualche scaramuccia di piazza per il solo scopo di rovesciare il buon Lukashenko.

Poi, le patetiche preghiere di un uomo disperato: le pensioni aumenteranno, ho portato lo stipendio minimo a 500$ per tutti! Torna da me, amore, non ti tradirò mai più! Ma il divorzio della Bielorussia da Lukashenka è ormai scelta fatta. E così, si passa alle minacce. Lukashenko dice in maniera quasi esplicita che non si farà scrupoli nel ricorrere alla violenza, qualora – come excusatio non petita dimostra – lui dovesse comunque vincere le elezioni, tramite brogli e inganni di ogni tipo, e il popolo, in risposta, manifestasse più forte di prima.

In effetti i canali Telegram pullulano di chiamate a raccolta, grandi manifestazioni sono in vista per sabato, e ciò che succederà è ancora tutto da vedere. Potrà davvero Lukashenko resistere al potere nonostante l’ormai totale e completo dissenso popolare? Potrà Lukashenko vivere di sole manganellate e disinformazione? L’ultima e più pregevole opera di Lukashenka, dunque, il canto del cigno che non ha intenzione di piegarsi alla volontà popolare, compatta nel volersi sbarazzare di lui, la vedremo dopo il 9 agosto.

Intanto, se Lukashenka ha scocciato anche il Kremlino, e l’Occidente rimane per il momento in disparte, la Cina, adesso, si fa sentire. Ieri, all’annuale “discorso del Presidente al Popolo Bielorusso e all’Assemblea Nazionale”, con una prolusione del proprio ambasciatore a Minsk, S. E. Qiming Cui, che sembra costituire un endorsement per il Presidente Lukashenka, ma che si conclude con un’affermazione che ha il delizioso gusto dell’ambiguità: “Per la Cina, la Bielorussia è un partner per tutte le stagioni”. Tutte, anche quelle senza Lukashenko.


 

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