Palermo e i due fiumi perduti, Kemonia e Papireto

Palermo, a detta degli esperti, è “seduta” sopra una vera e propria bomba idrogeologica. Questo ordigno d’acqua è stato innescato dalla scelta, fatta a fine ‘500, di interrare i due fiumi palermitani.


«Domani sarò ciò che oggi ho scelto di essere» – diceva Joyce – indicando la connessione logica degli eventi, nonché i frutti delle nostre scelte, come chiave di lettura, criterio, giudizio, su chi siamo veramente. Tra le scelte più difficili, in senso non solo logico ma soprattutto storico-sociale, troviamo le scelte collettive, quelle che, per esempio, un governo o un’intera comunità cittadina deve affrontare.

Oggi cercheremo di rileggere in controluce gli eventi storici che hanno portato alla scelta di interrare il Kemonia e il Papireto, i due fiumi che fino al XVI secolo attraversavano la città di Palermo proprio nella zona dell’attuale centro storico.

Il fiume Kemonia scorre sotto l’attuale via Porta di Castro, vicino piazza Vittoria e Corso Vittorio Emanuele. Veniva chiamato anche fiume del Maltempo dato il suo carattere torrentizio che tende ad aumentare notevolmente la portata d’acqua in seguito a forti piogge.

Al Kemonia o fiume d’Oriente si contrapponeva il Papireto (chiamato così perché sulle sue sponde cresceva una rigogliosa vegetazione di papiri) a Occidente. Quest’ultimo, si legge, «nasceva dalla Fossa di Danisinni, ad ovest della Paleopolis, dove fu costruito il Palazzo Reale, e scorreva diritto verso il mare, attraversando i rioni del Capo, della Conceria (via Bari, via Venezia) e della Vucciria in direzione della Cala» arrivando autonomamente fino al mare. Veniva utilizzato anche come fogna per lo smaltimento dei liquami, abitudine che pian piano ne inquinò irreparabilmente le acque favorendo lo sviluppo di un ambiente paludoso e insalubre.

Entrambi i fiumi erano navigabili, tant’è vero che consentivano alle imbarcazioni di raggiungere rapidamente la Cattedrale e la zona del centro storico, primo nucleo della Palermo punica, tramite porti e cantieri navali, documentati sotto l’odierno polo monumentale dei Gesuiti (Casa Professa).

Lo svolgersi degli eventi che hanno portato nel 1591 alla decisione di interrare i fiumi e i relativi porti, su disposizione del viceré Diego Enriquez Guzman, fu notevolmente influenzato dalla catastrofica alluvione che il 27 Settembre del 1557 devastò Palermo distruggendo le case che erano state appena costruite nel quartiere Albergheria per far fronte al notevole incremento demografico di quegli anni («nel periodo tra il 1505 e il 1570 il numero degli abitanti di Palermo aumentò da 25.000 a 70.000»).

C’è da dire però che le costruzioni travolte dall’esondazione, trovandosi proprio a ridosso del letto del fiume Kemonia, erano frutto di una speculazione edilizia, avallata dal Senato cittadino che nel 1554 fece costruire un muro-diga per scongiurare il rischio di inondazioni e frenare le acque provenienti da Monreale, facendole invece confluire verso il fiume Oreto. La zona su cui dunque si era scelto di costruire era già allora una zona ad elevatissimo rischio idrogeologico.

La situazione precipitò quando, tra il 21 e 22 Settembre 1554, un tremendo nubifragio si abbatté su Palermo per giorni, l’acqua oltrepassò il muro-diga – rivelatosi una soluzione inefficace – e si alzò fino a 4 metri. Dopo giorni di pressione continua, il 27 Settembre il muro cedette, dando sfogo ad una immensa quantità d’acqua che non risparmiò nulla di ciò che si trovava lungo il suo cammino.

Un muro d’acqua di 4 metri di altezza riuscì ad aprire una voragine di 44 metri nella diga «facendo crollare la chiesa dell’Itria e travolgendo per prime le 500 nuove case dell’Alberghiera e i suoi abitanti. L’acqua si riappropriò del corso del Kemonia, non risparmiando edifici e persone, invase Ballarò, danneggiò il monastero della Martorana, si incanalò in via Lattarini verso il quartiere della Loggia, fino ad abbattere le mura all’altezza della Dogana Vecchia alla Cala, riversandosi in mare».

Facile immaginare l’impatto psicologico di tale evento (furono oltre 7000 le vittime), così come altrettanto facile e scontata sembrò la soluzione di interrare i due fiumi con l’obiettivo, in futuro, di evitare altri disastri.

Tuttavia, nei secoli successivi, arrivando fino ai giorni nostri, sembrò che il rischio non fosse stato affatto rimosso ma solo nascosto alla vista, come polvere sotto al tappeto. Infatti, appare chiaro come, senza esagerazioni, i due fiumi siano ancora oggi percepiti come una minaccia continua “sotto il cemento armato” che ogniqualvolta si verifica un violento temporale torna a farci sentire con l’acqua alla gola.

Il timore condiviso è che in occasione di piogge eccezionalmente abbondanti una grande quantità d’acqua piovana venga improvvisamente convogliata nei letti dei fiumi sotterranei. «I corsi d’acqua devono respirare», avverte Mario Tozzi, geologo del Cnr. Altrimenti il rischio è che trovino da soli la strada verso la luce perduta da 400 anni. Sommergendo Palermo.

Questa opinione non è affatto isolata, al contrario è possibile connettere le vicende che riguardano i meccanismi naturali legati alle esondazioni di questi due fiumi a quelle della recentissima alluvione dello scorso 15 Luglio.

In questa malaugurata occasione, infatti, il fiume Papireto è tornato a dare segni di vita. Gli abitanti di Via Colonna Rotta e Via Imera se ne sono accorti trovandosi strade e case allagate dal flusso continuo delle sue acque, risvegliatesi quasi fosse un “vulcano dormiente”.

Appare chiaro che le necessità che portarono alla decisione di cancellare questi fiumi dal panorama cittadino, forzandoli a nuovi percorsi sotterranei, siano comprensibili, ma non essendo state prodotte direttamente dalla presenza dei corsi d’acqua, vanno considerate in larga parte determinate e aggravate dall’azione dell’uomo.

Dei fiumi Kemonia e Papireto resta comunque vivo il fascino. Di quell’incredibile impatto visivo che doveva avere Palermo nel Cinquecento, resta ben poco. Effimero, dopotutto, il tentativo di rivivere quegli anni nel ricordo, improvvisando percorsi sonori come quello promosso dall’ERSU nel Settembre 2017, quando si decise di installare «circa 2.900 metri di percorso sonoro in un’area che abbraccia circa 720 mila metri quadrati». L’evento “Palermo a Palermo, il suono dei Fiumi” fu una installazione di Alessandro Librio che, in quella domenica, 3 settembre, dalle 5 del mattino, tentò di far rivivere, attraverso la musica, i due storici fiumi di Palermo, il Kemonia e il Papireto, che oggi scorrono nei sotterranei.

Per un giorno è stato come se i due fiumi fossero tornati a scorrere in superficie, a testimonianza che il rumore e la percezione della presenza di queste acque fanno ancora parte della nostra identità nonostante venga trattato alla stregua di un ricordo da sottoporre quotidianamente ad una rimozione forzata.