Pillon e la paura del porno nel Decreto Giustizia

 
 

Il Senatore Pillon porta il suo “attenti al porno” nel Decreto Giustizia, dove passa un suo emendamento privo di basi tecniche, infattibile, superficiale.


Un paese che ha paura del porno è un paese immaturo. Se non ci fosse quella minima capacità di distinguere la realtà dalla finzione, penseremmo che esistono uomini volanti che salvano la vita a vecchine che stanno per essere investite mentre attraversano la strada. O che esistono anche i dinosauri e che Steven Spielberg si è fatto ritrarre sorridente con un triceratopo appena morto. Se su queste ultime qualcuno ha avuto dei dubbi, sull’immaturità di un paese che ha paura dei “cattivi esempi” non ci sono incertezze: è un paese senza altri esempi da proporre. È così che l’Italia ha combattuto anche altre battaglie e continua a combatterne di nuove.

Normalmente la paura è quella reazione istintiva in risposta a uno stimolo non pienamente conosciuto o completamente sconosciuto. Anche questa volta la lotta al porno, la demonizzazione di questa industria, va di pari passo con la scarsa conoscenza, non solo dei meccanismi che spingono questo settore audiovisivo, ma anche del mezzo stesso di comunicazione pornografico.

Il protagonista da cui parte la vicenda – e molto altro in verità – è il Senatore della Lega Simone Pillon, orgoglioso firmatario di una particolare norma contenuta nel Decreto Giustizia, decreto dapprima sottoposto a fiducia, poi approvato in via definitiva dalla Camera e pubblicato in Gazzetta poco più di una settimana fa.

Nel testo, che attende i provvedimenti attuativi necessari a rendere operativo il documento in questione, in fondo al decreto – ma proprio alla fine – alla voce “Disposizioni in materia di sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio”, l’Onorevole Pillon ha fortemente voluto l’articolo che impone «agli operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche di prevedere, gratuitamente, fra i servizi preattivati e disattivabili solo su richiesta dell’utenza, l’attivazione di filtri, blocchi alla navigazione e di altri sistemi di parental control». In sostanza, gli operatori (come WindTre, Telecom, ecc) dovrebbero fissare dei filtri automatici a tutti quei contenuti «inappropriati» e «destinati a un pubblico di età superiore agli anni diciotto».

Il senatore Simone Pillon

Due questioni emergono immediatamente: la possibilità di inserire filtri automatici – anche se mossa da nobili intenti – come se bastasse un click o un’app a gestire una dinamica così complessa; la questione etica, il giudizio di inappropriatezza su alcuni contenuti.

È impossibile che le compagnie telefoniche, il mondo degli operatori in generale, assicurino in Italia un “filtro automatico” (appunto, disattivabile solo su richiesta) per contenuti cosiddetti «per adulti». Stiamo parlando di una quantità indefinita di dati cifrati che, semplicemente, non è possibile andare a ritoccare con un tac, un taglio ad annunci e contenuti promozionali violenti, pornografici o pseudo-pornografici.

Cosa dovrebbero fare precisamente le grandi aziende di telecomunicazione? Viene demandato loro di bloccare contenuti violenti, pornografici, in generale non adatti ai bambini, agendo di fatto come decisori autonomi sui contenuti. E se questo fa già storcere il naso, siamo solo all’inizio: per applicare un filtro completamente funzionante è necessario che le compagnie sappiano di volta in volta chi abbiano davanti ai “loro” dispositivi. È necessario che venga scoperchiato il barile dei dati sensibili che, per esempio, vengono difesi a spada tratta per la questione dell’app Immuni. Nella pratica, insomma, il “blocco anti-porno” sarà possibile solo su richiesta. Esattamente l’opposto di quanto vorrebbe Pillon, il quale aveva sognato – senza competenza alcuna – un controllo informatico di massa, per di più da parte di aziende private.

Una terza questione riguarda la poca cura delle procedure istituzionali: la norma è passata sotto l’occhio vigile del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle durante il procedimento di conversione in legge del Decreto Giustizia; gli esponenti della maggioranza l’hanno letta, approvata in commissione e approvata definitivamente. Il tutto – approvazione senza ulteriori passaggi di modifica – per evitare che passassero i 60 giorni limite entro cui deve essere emendato e confermato il decreto prima che possa crollare, facendo ricominciare tutto daccapo. È davvero tutto qui. Un emendamento, quello di Pillon, considerato “poca cosa” e lasciato passare, giusto per ingarbugliare ulteriormente quella grande matassa rappresentata dal web, dalle comunicazioni e le loro autorità competenti.

La segretaria della commissione Giustizia Enza Bruno Bossio, deputata del Pd, è attendista: «Chiediamo al governo di non rendere il testo immediatamente attuativo; non prima di un passaggio con gli operatori». Ma la malsana abitudine di inserire abomini last minute nei decreti in dirittura di arrivo per la conversione in legge – con conseguente e ulteriore sciatteria da parte di chi approva – resta, e non rassicura nessuno.

La questione etica che sottende la vicenda politica – e che meriterebbe un’ampia riflessione sulla sessualità e sull’eros – è la più grande e anche la più invisibile: la pornografia è “il male della società contemporanea” oppure è un prodotto come tanti altri, costruito per l’intrattenimento e basato principalmente sulla recitazione e sulla finzione? Non è una questione che si può esaurire in poche righe.

Se in Italia è possibile che oggi passi un emendamento, come quello di Pillon, per basilare incompetenza, oltre che per fretta o, chissà, per difendere i bambini dalle pubblicità eccitanti sul web, domani sarà possibile bloccare contenuti “pericolosi” o “sovversivi” con la complicità di aziende private. Questo scenario non solo è lontano anni luce dalla democrazia, ma manca clamorosamente il bersaglio: ai bambini a cui verrebbe impedito di incrociare un nudo, un atto violento o sessuale o un corto pornografico, è riservato un futuro roseo, pacifico e rispettoso? Dovremmo promuovere la scoperta del sesso e della sessualità solo alla maggiore età? L’educazione sessuale intanto resta sempre un tabù. Inimmaginabili e disastrose le conseguenze sulla prevenzione, con l’attività sessuale stessa ridotta a mero atto procreativo.

Fra la considerazione generica dei contenuti “non adatti ai bambini” e il controllo assoluto sui contenuti manca sempre lei: l’educazione, la cura dello sguardo, dell’interpretazione delle cose, gli stessi strumenti di osservazione che mancano a chi ha superato (e da molto) la maggiore età e che promuove un’azione grossolana, probabilmente infeconda, e che manca certamente di fattibilità.


 
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