Elezioni in Polonia, vittoria del sovranista Duda

 
 

Il presidente uscente Andrzej Duda ha battuto per un pugno di voti lo sfidante Rafal Trzaskowski. Il ritratto è quello di una Polonia sempre più divisa.


Alla fine di una lunga notte elettorale, il risultato delle elezioni presidenziali in Polonia è ormai chiaro: a pochissimi seggi dal termine dello spoglio, la vittoria sembra ormai definitivamente nelle mani di Andrzej Duda, con il 51,2% dei voti. Il presidente uscente ha battuto per un pugno di voti lo sfidante Rafal Trzaskowski, sindaco di Varsavia, in un ballottaggio il cui esito sembrava tutt’altro che scontato.

Alla fine del primo turno delle presidenziali, tenutesi il 28 giugno scorso tra mille polemiche e ostacoli dovuti all’emergenza coronavirus, Duda si era classificato primo con il 43,5% dei voti. Lo sfidante Trzaskowski si era fermato al 30,5%, partendo sfavorito al ballottaggio, ma in molti avevano pronosticato una battaglia all’ultimo voto proprio per la sua capacità di attrarre voti da quelle fasce di elettorato preoccupate dalla deriva illiberale del governo uscente.

Quello tra Duda e Trzaskowski è stato infatti uno scontro tra due idee in buona parte contrapposte di paese: da un lato Duda, un sovranista ultraconservatore legato al partito Diritto e Giustizia (Pis) di Jaroslaw Kaczynski, dall’altro Trzaskowski, esponente di una destra liberale e laica sostenuto da Piattaforma civica (Po), il principale partito di opposizione. Da un lato una destra ultracattolica che ha cercato il consenso attraverso un mix di nazionalismo euroscettico, politiche sociali per le fasce più deboli e meno urbanizzate e intolleranza tradizionalista nei confronti delle minoranze; dall’altro una destra europeista, aperta ai diritti delle minoranze e impegnata nella difesa di istituzioni liberal-democratiche che ormai da anni in Polonia sono costantemente sotto attacco.

Dal 2015, l’egemonia del Pis si è infatti tradotta in una serie di riforme illiberali che hanno polarizzato il paese, in particolare la riforma del sistema giudiziario, giudicata in contrasto con i principi dello stato di diritto da Bruxelles. Altri fronti particolarmente caldi sono i diritti delle donne (basti pensare alle proposte di legge estremamente restrittive sull’aborto) e quelli della comunità LGBT.

Il problema dell’omofobia in Polonia non è nuovo. Più di 100 amministrazioni locali hanno dichiarato di essere “libere dagli LGBT”: un territorio che si estende per un terzo del Paese in cui non è consentito parlare di diritti LGBT. Le marce del Pride sono obiettivo di attacchi, le bandiere arcobaleno vengono bruciate. Non sorprende che il Paese sia considerato il peggiore in cui vivere in Unione Europea per la popolazione queer. Una comunità che ha atteso con timore e incertezza questi risultati, soprattutto considerando la difesa “tiepida” dei progressisti.

Seppure Trzaskowski sostenga le unioni civili per le coppie omosessuali, e si sia espresso a favore di politiche a sostegno delle comunità da candidato sindaco di Varsavia, in questa campagna elettorale si è espresso con molta più cautela. Secondo Ewa Bujacz, un’attivista bisessuale e psichiatra infantile, il candidato avrebbe “venduto” la comunità per attirare l’elettorato conservatore. «Una grande parte della nostra comunità si sente tradita» afferma.

«Il presidente, il Partito Diritto e Giustizia, ci sta usando come capro espiatorio» afferma Magdalena Swider, attivista di KPH (Campagnia Contro l’Omofobia) durante un’intervista rilasciata a inizio mese all’EuroCentralAsian Lesbian* Forum. In occasione delle scorse elezioni, ricorda, era stato il turno dei rifugiati. «Ora si concentrano sulla strategia della disumanizzazione, sostenendo che le persone LGBTI non sono persone, ma un’ideologia».

Una strategia che secondo Swider non sta sortendo gli effetti sperati. «Non abbiamo iniziato [le proteste silenziose] da soli. Alcuni le hanno cominciate spontaneamente. Il mondo accademico ha reagito con almeno 20 università che hanno rilasciato dichiarazioni contro i discorsi d’odio. E non solo molti sono andati a votare, ma a volte ci sono andati indossando calzini arcobaleno e altri segni nell’abbigliamento per mostrare perché erano andati a votare». La popolazione è “frustrata e furiosa” per il fallimento del governo nella gestione del covid-19, «e colpevolizzare la comunità LGBT non era credibile». L’attivista mette però in guardia contro l’idea che le istituzioni europee possano legare i fondi al trattamento del Paese verso la comunità. «Perché allora sembrerebbe colpa degli LGBT se vengono tolti i soldi».

La vittoria di Duda prospetta dunque una polarizzazione sempre più marcata, all’interno di un paese che per altri versi è decisamente omogeneo (mono-etnico, mono-confessionale, compattamente atlantista e anti-russo). Dal momento che in Polonia la prerogativa principale del Presidente della Repubblica, accanto alla nomina del primo ministro, è il potere di veto delle leggi approvate dal parlamento, il Pis avrà un ostacolo in meno nel proseguimento del suo percorso di riforme all’insegna dell’intolleranza e del tradizionalismo. Per non parlare del fronte europeo, dove (salvo imprevisti) il cosiddetto blocco di Visegrad (V4) di cui la Polonia è parte insieme a Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca continuerà a promuovere i propri interessi particolari in contrapposizione con le istituzioni europee e contro qualsiasi sforzo diretto a una maggiore integrazione politica.


 

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