Mario Paciolla, il cooperante Onu tra le vittime del conflitto colombiano

 

Il presunto suicidio di Mario Paciolla sembra inverosimile per familiari e amici. A questo si aggiunge un contesto problematico come quello del conflitto colombiano.


Lo scorso 16 luglio, alle ore 18, Anna Motta e Giuseppe Paciolla hanno ricevuto una chiamata dalla Colombia che li ha informati della morte del figlio Mario: “Crediamo si sia suicidato”. A sentire queste parole, i genitori e le sorelle di Mario Paciolla, il cooperante ONU trovato morto in Colombia, non hanno dubbi che sia successo qualcosa di più grave e che vada fatta giustizia. Si sa ancora troppo poco su cosa sia successo a Mario e si sa poco sul suo lavoro negli ultimi mesi, ma ciò che sembra certo per la famiglia e gli amici è che Mario non si sia suicidato.

«Era una persona con una certa esperienza, non era uno sprovveduto quindi si è trovato di fronte a qualcosa che lo ha sicuramente spaventato» afferma Simone Campora, amico di Mario che a 48 ore dalla notizia della morte del cooperante è sceso in piazza dinanzi al comune di Napoli dove è stato esposto uno striscione con scritto “Giustizia per Mario”.

Mario, infatti, si era laureato in Scienze politiche e la sua passione per la cooperazione internazionale lo aveva portato a vivere e lavorare all’estero: Francia, Giordania, India, Argentina e, infine, in Colombia come collaboratore delle Nazioni Unite. A quanto riferisce la sua famiglia, il cooperante lavorava a sud del Paese, nel dipartimento di Caquetá, e seguiva le delicate trattative tra il governo colombiano e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), cioè le Forze armate rivoluzionarie della Colombia: come riportato ne Il Manifesto, Mario nei giorni precedenti alla sua morte aveva partecipato ad alcune riunioni con le comunità rurali insieme al governatore di Caquetá, Arnulfo Gasca, e il sindaco di San Vicente, Juliàn Perdomo.

Proprio per la delicatezza del suo operato per conto dell’ONU, Mario ha sempre parlato poco del suo lavoro con la propria famiglia, ma nelle ultime settimane il cooperante ha sentito il bisogno di condividere il suo stato di agitazione e preoccupazione con i propri genitori: «Non mi piace come vanno qui le cose. Devo andarmene al più presto, c’è qualcosa di strano. Mi sono messo in un guaio». Aveva affermato Mario qualche giorno prima dell’acquisto di un biglietto aereo per il 20 luglio che l’avrebbe riportato in Italia. Purtroppo, cinque giorni prima del suo ritorno a casa il suo corpo è stato trovato nel suo appartamento a San Vicente del Caguán.

Sono proprio le ultime confidenze del figlio fatte alla madre che rendono ancora meno credibile il presunto suicidio. Inoltre, Radio Caracol ha rivelato che sul corpo di Mario erano presenti profonde ferite da arma da taglio ai polsi; sono state proprio queste ferite che hanno inizialmente fatto pensare a un suicidio. Adesso, però, le autorità colombiane hanno avviato un’indagine per omicidio, partendo proprio dagli ultimi incontri a cui il cooperante ha partecipato insieme al sindaco di San Vicente, il governatore della regione di Caquetá ed ex guerriglieri Farc disposti ad aderire al programma di pacificazione portato avanti dall’ONU.

Le Nazioni Unite in Colombia hanno espresso solidarietà alla famiglia del giovane e hanno assicurato che verrà condotta un’indagine interna e che le indagini delle autorità colombiane per determinare le cause del decesso verranno seguite da vicino. «Abbiamo paura che si palesi un altro Caso Regeni, che si disperdano le energie per appurare la verità sulle circostanze più che sospette che hanno portato alla morte di Mario», denunciano i suoi amici scesi in piazza a chiedere giustizia.

Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, il quale ha appoggiato l’iniziativa degli amici di Mario, si è già messo in contatto con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il sindaco partenopeo ha dichiarato che il ministro ha assicurato «massimo impegno e massima attenzione della Farnesina sulla vicenda». Intanto Erasmo Palazzotto (Leu), deputato e presidente della commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, ha annunciato su Twitter di aver depositato un’interrogazione parlamentare «perché il nostro governo solleciti il governo colombiano, affinché si faccia ogni sforzo utile a chiarire le cause della morte di Mario Paciolla».

Sebbene la dinamica dell’accaduto sia ancora poco chiara, così come le cause della morte e coloro che potrebbero essere i mandanti, è chiaro che questa vicenda ci dice molto di quello che continua a succedere in Colombia: un conflitto armato lungo più di mezzo secolo, che non si è fermato neanche a seguito dei tanto osannati accordi di Pace del 2016, per cui il Presidente Juan Manuel Santos venne insignito del Premio Nobel per la Pace.

Le Farc sono solo una piccola parte degli attori armati presenti nel territorio. A tutte le frange armate indipendenti fanno infatti seguito i cartelli della droga, i paramilitari, le gang e tutte le forze armate corrotte. Il conflitto colombiano è infatti caratterizzato dalla contemporanea presenza di più fronti di guerra: lo Stato contro i cartelli della droga; i cartelli della droga, alleati con i gruppi paramilitari, contro i guerriglieri; i gruppi di guerriglia contro lo Stato e spesso anche tra di loro.

Si tratta dunque di uno scenario che, ancora oggi, non lascia spazio alla pace e alla sicurezza dei colombiani e di chi ha deciso di vivere e lavorare in questo Paese, costretti a vivere ancora nel timore di uccisioni, violenze, stupri e sparizioni forzate. Mario è una delle tante vittime di questo conflitto. Se un accordo di pace fosse stato davvero raggiunto in Colombia, Mario e centinaia di migliaia di altri individui – sindacalisti, attivisti, leader sociali, indigeni – sarebbero ancora vivi e noi, anziché pensare alla Colombia per “Narcos”, droghe e cartelli, l’ammireremmo per le meraviglie che questo Paese cela.


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