Previsioni economiche Istat e Ocse per il 2020: un quadro tetro

 
 

I dati relativi all’economia italiana mostrano un quadro di pesante sofferenza. Questa situazione è desumibile dalle pubblicazioni dell’Istat e dell’Ocse.


I dati forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) possono essere ritrovati in due pubblicazioni recenti: le prospettive per l’economia italiana nel 2020-2021 e le statistiche fornite sulla produzione industriale nel mese di aprile. In tali documenti, l’Istat mette in guardia circa la validità delle previsioni, essendo lo scenario nel quale ci muoviamo altamente volatile e contraddistinto da una fortissima incertezza. Determinati fattori – quali una seconda epidemia e una seguente quarantena (in Italia e/o a livello globale), l’andamento del commercio internazionale, il costo delle materie prime e la reazione dei Paesi – risultano problematici da prevedere.

Nonostante queste difficoltà, l’Istat si lancia in una serie di previsioni che appaiono maggiormente ottimistiche rispetto a quelle dei principali istituti di statistica o di ricerca globali (i dati coevi per pubblicazione dell’Ocse come vedremo sono radicalmente diversi), soprattutto nelle prospettive economiche; meno ottimistici sono i dati – quelli sì realistici e consolidati – che provengono dalla produzione industriale del primo quadrimestre.

Il prodotto interno lordo (Pil) nazionale dovrebbe ridursi dell’8,3% nel 2020 e rimbalzare del 4,6% il prossimo anno. La maggior parte della contrazione proverrebbe dalla domanda aggregata in calo del 7,2%. Come è ovvio attendersi, gli effetti della pandemia sulla domanda sono pesanti: la clausura forzata comporta un crollo dei consumi delle famiglie, degli investimenti delle imprese e, date le condizioni globali, anche il settore del commercio internazionale non può che esserne influenzato. Ai mesi di blocco si accompagnerà una marcata riduzione della domanda legata agli effetti economici della recessione che si sta concretizzando: la riduzione del Pil avrà un effetto, seppur mitigato dalle misure governative, sia sulla disoccupazione che, ancora una volta, sui consumi. Il risultato sarà quello di peggiorare ulteriormente la domanda e, a cascata, il Pil.

Il tasso di disoccupazione dovrebbe sfondare nuovamente il muro del 10%, anche se il livello finale «rifletterebbe anche la decisa ricomposizione tra disoccupati e inattivi e la riduzione del numero di ore lavorate»: detto in termini diversi, il livello degli inattivi è esploso nei primi quattro mesi segnando l’incremento monstre di 500.000 unità. L’impatto sugli occupati è, però, già arrivato: il tasso di occupazione assiste alla scomparsa di 274.000 unità pari a una caduta dell’1,2% sul mese precedente e dello 0,7% complessivamente. La maggior parte di queste unità provengono da mancati rinnovi dei contratti a termine (129.000 unità) e da lavoro indipendente (69.000 unità).

A livello dei prezzi, si assisterebbe a una nuova spirale deflattiva trainata dall’andamento negativo del prezzo del petrolio e confermata dall’inflazione di fondo che rimarrà stabile o lievemente negativa. Infine, per quel che concerne il commercio con l’estero, l’Istat non si fa illusioni, denominando il paragrafo “Crollo del commercio estero”: un crollo che sarà del 14,4% per le importazioni e del 13,9% delle esportazioni nel 2020, recuperando solo in parte nel 2021 con una crescita delle importazioni del 7,8% e delle esportazioni del 7,9%. Come è evidente da questi numeri, la caduta dell’economia nazionale non verrà recuperata prima del 2022, nella speranza che non si presentino nuove difficoltà.

L’analisi che riguarda l’andamento della produzione industriale presenta tinte più fosche. Il primo quadrimestre di quest’anno vede un crollo della stessa del 42,5% in termini tendenziali. Tale decremento concerne tutte le aree economiche presenti, con variazioni che vanno dal -6,7% nel settore farmaceutico, al -80,5% del settore tessile. Particolarmente pesante è la caduta del settore della fabbricazione dei mezzi di trasporto, che ha segnato un crollo del 74%. Andando oltre il mero dato numerico, questo significa che nei primi quattro mesi dell’anno si è prodotto quasi la metà dei beni normalmente prodotti, e che quindi ne verranno venduti la metà con implicazioni evidenti per l’economia italiana.

Dati peggiori sono quelli rilasciati dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) che, a detta dei suoi stessi autori, presentano una forte incertezza tanto da definire l’economia “sul filo del rasoio”. Innanzitutto, bisogna sottolineare come nel suo Economic Outlook sia presente un doppio scenario in base all’evoluzione della pandemia a livello globale: il primo vedrebbe il peggio ormai alle spalle, con una ripresa dell’attività economica nel secondo semestre di quest’anno; il secondo è molto più tetro, basandosi su quello che viene definito un double hit, cioè un ritorno forte dell’epidemia nell’autunno di quest’anno e una conseguente nuova clausura.

In questa proiezione per l’anno in corso, l’Ocse prevede una caduta del Pil italiano dell’11,3% nello scenario favorevole, un crollo di ben il 14% nel caso di una seconda diffusione del virus. Il nostro Paese sarebbe, per altro, in ottima compagnia: dati simili, se non peggiori, sarebbero registrati in Francia, Regno Unito e Spagna. Persino la Germania sfonderebbe il muro dell’8%, con una caduta dell’8,8%, nel caso di uno scenario a doppio colpo, del “solo” 6,6% se gli effetti economici del virus fossero alle spalle.

L’area dell’Euro assisterebbe a una contrazione nel caso peggiore dell’11,5%, nel caso migliore del 9,1%. In entrambe le ipotesi, è prevista per il 2021 una ripresa economica, ma la sua portata si differenzia in base agli scenari per il 2020. Con un doppio colpo l’area dell’Euro crescerebbe appena del 3,5%, in assenza del quale la crescita sarebbe molto più robusta, segnando un 6,5%. L’Italia vedrebbe, per la prima volta dopo lungo tempo, tassi di recupero superiori a quelli europei, registrando rispettivamente un 5,3% e un 7,7% nel 2021, in base allo scenario. Proiezioni simili presentano i Paesi maggiormente colpiti a livello economico dall’epidemia, in particolare Francia e Spagna. Come indicato dall’Istat, la caduta del Pil proverrebbe per larga parte dal crollo della domanda interna e da quello del commercio estero: l’Ocse stima una perdita netta di un decimo della domanda aggregata nazionale per il 2020 (del 13,7% in caso di nuova ondata), una caduta del 14,4% delle esportazioni (17,8% nel caso peggiore) e una riduzione del 13,6% delle importazioni (17,2% con nuova ondata).

Le dolenti note arriverebbero, per il nostro Paese, a livello occupazionale. Le previsioni dell’Organizzazione indicano nel 2020 una disoccupazione al 9,7% (simile a quanto indicato dall’Istat), ma un dato ben oltre il 10% nel caso di un nuovo lockdown. Una crescita del tasso di disoccupazione simile è prevista per Francia e Germania. Il nostro Paese e i nostri vicini mitigherebbero l’impatto della crisi attraverso le misure di politica fiscale messe in campo per supportare la disoccupazione, almeno per quella di breve termine. Una situazione molto peggiore sarebbe presente per quegli Stati, come Spagna e Regno Unito, dove il welfare state ha avuto una lunga tradizione di tagli e riduzione della spesa.

È proprio la spesa pubblica per il sostegno all’economia che darebbe strascichi pesanti per i conti pubblici. L’Ocse ha calcolato come Spagna, Giappone, Stati Uniti, Italia, Grecia e Spagna sarebbero le nazioni che vedrebbero esplodere il proprio debito pubblico. La presenza o l’assenza di una seconda ondata creerebbe effetti sostanziali in Francia (17,95%), Italia (17,37%), Spagna (20,3%) e Germania (16,02%) che vedrebbero livelli simili di crescita in punti percentuali sul Pil nel caso in cui il peggio fosse alle spalle. La situazione si deteriorerebbe parecchio nell’ipotesi di una nuova ondata con una conseguente e ulteriore spesa prevista di 13 punti per la Spagna, 13,34 per l’Italia, 9,51 per la Francia e 10,59 per la Germania: un nuovo indebitamento complessivo che varierebbe dal 26% a oltre il 30%. La media dell’eurozona non andrà lontano dai valori tedeschi, con un impatto singolo del 16,08% e uno aggiuntivo del 10,37%.

L’unica certezza, a guardare le stime, riguarda il recupero del crollo di quest’anno: infatti, non basterà la ripresa del 2021, poiché i livelli pre-covid19 verranno recuperati probabilmente soltanto nel 2023. Questo significa che saranno persi ben quattro anni con innegabili conseguenze sociali, in particolare per le giovani generazioni meno tutelate, e probabilmente politiche, senza peraltro aver mai superato, in alcune aree d’Europa, gli effetti della crisi finanziaria del 2008, prima, e del debito sovrano, poi. Inutile sottolineare come le previsioni dell’Ocse scontino la presenza delle misure finora dispiegate a livello nazionale ed europeo, non naturalmente quelle soltanto in previsione o ancora allo studio. Servirà tutto il sostegno nazionale ed europeo disponibile, altrimenti ci aspetterà un tetro avvenire.