Le conseguenze della pandemia sul settore turistico nell’Unione Europea

La diffusione del coronavirus ha comportato l’interruzione delle attività del settore turistico. Qual è il quadro normativo a livello comunitario e quali sono le misure messe in campo dalle istituzioni europee per rispondere alla crisi?


Tra i settori maggiormente colpiti, all’interno dell’Unione, dall’attuale crisi sanitaria, economica e sociale vi è quello del turismo: le restrizioni alle frontiere interne ed esterne all’Area Schengen hanno condotto gli Stati membri ad un necessario coordinamento nelle sedi istituzionali europee, al fine di scongiurare il possibile rischio di un ulteriore danno all’economia dell’Unione, causato dalle azioni unilaterali e non coordinate dei singoli Paesi UE.

Al riguardo, il 13 maggio scorso la Commissione europea ha presentato un pacchetto di raccomandazioni e orientamenti per coadiuvare gli Stati membri – mediante un approccio graduale e coordinato – nel progressivo processo di rimozione delle restrizioni di viaggio, introducendo, al contempo, disposizioni concernenti i mezzi di sicurezza e le precauzioni necessarie a garantire gli spostamenti, senza incorrere nel possibile rischio di contagio. Si tratta di principi generali e di misure più concrete volte a ripristinare gradualmente – ma in maniera sicura – il trasporto dei passeggeri per via aerea, ferroviaria, stradale e navale.

Dopo le prime misure adottate il 16 marzo scorso, il 5 giugno i Ministri dell’interno degli Stati membri hanno deciso di prorogare fino a 1° luglio – salvo che per motivi essenziali – il blocco delle frontiere esterne all’Area Schengen. Come dichiarato da Ylva Johansson, Commissaria europea agli affari interni, per quella data si auspica un ripristino generale della libertà di circolazione e una rimozione complessiva dei controlli alle frontiere interne, fatta eccezione per alcune specifiche restrizioni, che potrebbero restare in vigore fino a metà luglio.

Anche nel settore alberghiero e delle attività turistiche è stato definito un quadro comune in base al quale dovrebbero esservi regole generali per tutti gli Stati membri, volte ad incrementare il turismo e, al contempo, a tutelare i viaggiatori e i lavoratori. Uno degli obiettivi più ambiziosi cui si mira, ad esempio, è il rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali, al fine di migliorare la capacità di risposta alle eventuali emergenze connesse al sovraffollamento turistico.

Le attuali disposizioni in materia prevedono che, qualora un biglietto o un pacchetto turistico venga cancellato, gli acquirenti viaggiatori abbiano diritto a delle specifiche garanzie: più in particolare, si tratta di scegliere tra un rimborso in denaro, ovvero un buono da impiegare per una futura partenza. Tali diritti non costituiscono una misura emergenziale ed erano già vigenti, nello spazio comunitario, nel periodo antecedente all’attuale crisi; oggi, tuttavia, vi è una chiara prelazione della modalità di ristoro dei buoni-viaggio rispetto al rimborso economico, che comporterebbe un gravame eccessivo anche per gli operatori del settore turistico.

I buoni, più nello specifico, dovrebbero essere garantiti dalla possibile insolvenza dell’emittente, con un periodo di validità minimo di 12 mesi ed essere rimborsabili, se non riscattati, dopo un massimo di un anno. Ciò che appare essenziale è consentire ai passeggeri di viaggiare sulla medesima rotta e con le stesse condizioni di quelle originariamente pattuite, nonché garantire la possibilità di trasferire i voucher erogati ad un terzo potenziale viaggiatore-acquirente.

La Commissione europea, inoltre, ha pubblicato degli orientamenti interpretativi con il fine di chiarire le modalità di applicazione delle disposizioni in materia di diritti dei passeggeri nell’Area Schengen. Tali atti a carattere nomofilattico, tuttavia, sono riconducibili alle circostanze eccezionali della pandemia: un esempio tipico è rappresentato dall’impossibilità di procedere a compensazione nel caso di cancellazione del volo nelle due settimane antecedenti alla data di partenza. Si tratta, ad ogni modo, di raccomandazioni non giuridicamente vincolanti, che, come tali, possono essere derogate dall’autonomia dei singoli Stati membri.

Per la data del 30 giugno, dunque, le restrizioni dovrebbero essere quasi completamente revocate in base ad una serie di criteri a carattere oggettivo, che rispettino comunque i principi di necessità, proporzionalità e non discriminazione. Tra i parametri contemplati si annoverano la situazione sanitaria del singolo Stato membro, la capacità di adottare misure di contenimento durante i viaggi e le considerazioni economiche e sociali di ciascun Paese UE. Appare chiaro come ogni misura debba essere adottata in maniera coordinata e uniforme, allo scopo di armonizzare la prassi dei controlli alle frontiere e le condizioni generali di viaggio.

L’assenza di parametri oggettivi e di basi scientifiche certe per dichiarare quali cittadini europei possano essere considerati immuni al virus, tuttavia, appare tutt’oggi chiara ed ha condotto Bruxelles a respingere la proposta avanzata da diversi Stati membri, tra cui l’Italia, di istituire un Passaporto sanitario.

Non vi è dubbio che tutte le Istituzioni dell’UE concordino sulla necessità di rilanciare il settore turistico in occasione della prossima stagione estiva, ripristinando appieno la libera circolazione all’interno dell’Area Schengen. L’esigenza di dare nuova linfa a questo settore si spiega anche in ragione della circostanza per cui tale industria fornisce direttamente lavoro a oltre 12 milioni di cittadini europei; in tal senso, le misure per garantire una ripresa appaiono cruciali e l’approccio coordinato rappresenta un momento decisivo per il futuro dell’UE. Si tratta di circa 2,3 milioni di imprese – principalmente piccole e medie imprese – che nel 2018 hanno contribuito direttamente al PIL dell’Unione per il 3,9%. Se si considerano le influenze che detto settore riverbera su altri ambiti dell’economia, si raggiunge la soglia dell’11,7% del PIL e un numero di lavoratori corrispondente a 27,3 milioni.

Nonostante la volontà di coordinamento, tra gli Stati membri continua il dibattito circa la possibilità di concludere accordi bilaterali mediante i quali favorire eventuali “corridoi turistici”. Tale iniziativa, secondo il Governo italiano, rischierebbe di rappresentare uno strumento di concorrenza sleale che potrebbe condurre ad uno squilibrio del mercato unico europeo.

L’Italia, più nello specifico, si è detta pronta a riaprire i confini quanto prima; altri Paesi, come ad esempio la Spagna, si sono mostrati inamovibili sull’esigenza di attendere, almeno, il termine del 1° luglio. Appare chiaro come trovare un accordo su una data esatta che tenga conto delle posizioni dei singoli Stati membri sia un nodo molto complesso; per tale ragione, non è escluso che possano esservi riaperture “a gruppi di Stati” che, secondo Bruxelles, potrebbero rappresentare un buon compromesso per garantire una ripresa più celere del settore. Tale ripresa, oggi, appare essenziale se si considera che le politiche europee nel settore del turismo consentono all’Unione di perseguire obiettivi di più ampia portata, in materie essenziali quali l’occupazione e la crescita.

Il problema principale, come accennato in precedenza, è rappresentato dall’assenza di criteri effettivi, standardizzati e uniformemente attendibili che possano guidare l’agire degli Stati membri; è certo che le possibili aperture mediante accordi bilaterali potrebbero davvero creare una situazione di disomogeneità tra i Paesi UE e comportare un potenziale rischio di discriminazioni per i cittadini europei, che rischierebbero di vedere negata la loro richiesta di accesso all’interno di uno Stato aderente all’Area Schengen in base a parametri del tutto arbitrari.