Regolarizzazione migranti: visibili “a tempo determinato”

 
 

«Da oggi, gli invisibili saranno meno invisibili. Lo Stato è più forte del caporalato». Così, una commossa Teresa Bellanova, ministra delle politiche agricole, ha commentato, in conferenza stampa da Palazzo Chigi, l’accoglimento nel Decreto Rilancio delle misure relative all’emersione del lavoro nero e alla concessione di permessi di soggiorno temporanei per i lavoratori stranieri operanti nei settori agricolo e domestico. «Un atto dovuto, un atto di civiltà», ha aggiunto il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano che, assieme a Bellanova, Lamorgese e Catalfo, si è battuto per superare lo scontro politico con i Cinque stelle e giungere ad un testo condiviso sulla regolarizzazione di circa 200 mila lavoratori in nero. Dopo giorni di tensioni e trattative, l’intesa tra Pd, Italia Viva, Leu e Movimento 5 stelle, è stata raggiunta con una sanatoria a tempo e l’eliminazione – come richiesto dai penta stellati – di ogni tipo di scudo penale per i caporali che si autodenunciano.

Il ministro Teresa Bellanova

Nel testo del provvedimento, inserito nella maxi manovra da 55 miliardi varata dal Governo per arginare gli effetti della crisi economica generata dalla pandemia, compaiono alcuni dei punti “irrinunciabili” per i Cinque stelle. Ai sensi dell’art 110-bis, i datori avranno la possibilità di concludere un contratto o regolarizzare un rapporto di lavoro sommerso, tuttora in corso, con lavoratori sia italiani che stranieri, mentre gli immigrati con un permesso di soggiorno scaduto tra il 31 ottobre 2019 ed il 31 gennaio 2020 potranno richiederne uno temporaneo della durata di sei mesi per lavorare come braccianti agricoli, colf e badanti. La regolarizzazione è concessa ai cittadini stranieri rimasti nel territorio nazionale e foto segnalati prima dell’8 marzo 2020, data di inizio del lockdown. Quanto allo scudo penale, invece, è esclusa la possibilità di presentare istanza di regolarizzazione per i datori di lavoro che, negli ultimi cinque anni, siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati gravi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta finalizzata alla prostituzione e allo sfruttamento dei minori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Più che una regolarizzazione vera e propria, il compromesso raggiunto dal governo appare come un provvedimento di emersione del lavoro sommerso, pure abbastanza cauto. Sebbene probabilmente idonee ad accendere una luce sui rapporti di lavoro e sugli immigrati irregolari, consentendone la registrazione e la catalogazione di dati anagrafici, sanitari e previdenziali utili anche a gestire la pandemia, le misure inglobate nel decreto risultano ancora molto lontane da una regolarizzazione tout court della posizione dei cittadini stranieri. Per quanto le reazioni dell’opposizione, con al centro i leader Salvini e Meloni, continuino a far leva su una questione ideologica, gridando ad una ingiustificata quanto generalizzata regolarizzazione dei clandestini, la sensazione rimane piuttosto quella di una manovra debole e poco strategica, con misure poco strutturali e funzionali alle esigenze del mercato del lavoro. A ritenere insufficiente il provvedimento sono anzitutto i sindacati e le associazioni che si occupano della tutela dei diritti dei migranti.

«La durata del permesso è troppo breve e manca un permesso per la ricerca di lavoro. Da mesi, il governo non risponde alle richieste di confronto sull’abolizione dei decreti Salvini» ha dichiarato Giuseppe Massafra, segretario confederale della CGIL, in una intervista rilasciata a Il Manifesto, rilevando come in Italia, in tema di immigrazione, il vero problema continui ad essere una normativa che non consente di richiedere un permesso di soggiorno idoneo a regolarizzare un rapporto di lavoro o, semplicemente, a cercare impiego. La disciplina dei visti prevista dal Testo unico dell’Immigrazione (d.lgs. 286/1998) e le recenti disposizioni dei decreti sicurezza contengono una serie di cavillosi divieti che costringono la stragrande maggioranza degli immigrati in Italia ad un periodo di irregolarità che li espone inevitabilmente ai soprusi e allo sfruttamento della criminalità organizzata. Assicurare ad alcuni di loro un ritorno alla visibilità, per di più “a tempo determinato”, non sarebbe perciò sufficiente anche solo ad immaginare garantiti dignità e diritti. Una regolarizzazione che si rispetti non dovrebbe limitarsi ad alcune categorie di lavoratori né tanto meno contenere scadenze temporali finalizzate esclusivamente alla salvaguardia delle logiche di mercato. Il rischio, ad oggi, è quello di un provvedimento parziale e discriminatorio, che finisca per delegittimare caporalato e clandestinità in funzione di un’emergenza piuttosto che di politiche attive e lungimiranti. La blanda emersione del lavoro nero a poco servirà, infatti, se ad essere tutelate sono le braccia e non le persone.


 
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