Previsioni economiche di primavera 2020: i dati della Commissione europea

 
 

Il 6 Maggio scorso, la Commissione europea ha pubblicato le Previsioni economiche di primavera 2020, nell’ambito delle quali ha prospettato le possibili conseguenze e gli effetti negativi che il fenomeno epidemiologico del Coronavirus (SARS-CoV-2) ha provocato – e potrebbe aggravare – nell’economia dell’Eurozona e, più in generale, dell’Unione Europea (UE). I dati contenuti nel documento vanno analizzati sulla base della preliminare valutazione di alcuni fattori che favoriscono una migliore comprensione del loro significato e del relativo inquadramento nello scenario attuale interno all’UE e ai suoi Stati membri.

In tal senso, sebbene la pandemia abbia avuto effetti simmetrici sotto il profilo sanitario, al contempo ha prodotto shock asimmetrici che hanno incrementato quelle differenze economiche che già intercorrevano tra i Paesi UE, in particolare nell’ambito dell’area euro. In aggiunta, la risposta che è stata posta in essere dalle istituzioni europee, seppur con qualche esitazione iniziale, è stata il frutto di quel quadro normativo che caratterizza, dal punto di vista del regime delle competenze, l’Unione Economica e Monetaria (UEM).

Nello specifico, attraverso i Trattati, gli Stati membri hanno conferito all’UE una competenza esclusiva in materia di politica monetaria per quei Paesi che adottano l’euro, riservando alla logica intergovernativa e, dunque, alla competenza statale, con annesso diritto di veto in seno al Consiglio europeo, la materia fiscale. L’asimmetria che ne deriva impedisce all’UE di prevedere azioni coordinate e concrete contro le crisi finanziario-bancarie, potendo contare solo sull’intervento sostanziale della Banca Centrale Europea (BCE), pur sempre nel rispetto dei poteri ad essa attribuiti dai Trattati.

Partendo da tali considerazioni preliminari, è possibile comprendere come i dati indicati dalla Commissione europea nelle Previsioni economiche di primavera 2020, in realtà, non siano tanto il risultato diretto ed esclusivo della diffusione della pandemia, quanto piuttosto la conferma di quei limiti che già da tempo determinano un rallentamento e, in certi casi, una stasi, nell’evoluzione del processo di integrazione europea. Fra questi, la necessità di dotare l’UE di quelle competenze necessarie al fine di poter fronteggiare le crisi presenti e future e di rimuovere quelle differenze che impediscono un’effettiva convergenza e coesione tra le economie degli Stati membri. Si tratta di obiettivi che richiedono, quale requisito fondamentale, il raggiungimento di un’unione politica che abbandoni le logiche nazionaliste in favore di una maggiore credibilità che possa incentivare gli investitori a guardare con fiducia alla solidità dell’UE, soprattutto in ambito economico.

Entrando nel dettaglio di quanto previsto dalla Commissione europea, lo shock violento determinato dalla pandemia comporterà una contrazione nel 2020, sia per l’economia dell’UE che per quella dell’Eurozona, pari rispettivamente al 7½ % e al 7¾ %, per poi segnare una crescita nel 2021 del 6 % e del 6¼ %. I dati presi in considerazione suggeriscono che l’attività economica, nell’ambito dell’UE, ha subito una forte e rapida riduzione nelle ultime settimane, poiché le misure di contenimento innescate in risposta alla crisi dalla maggior parte degli Stati membri a metà marzo hanno messo l’economia in uno stato di “ibernazione”.

In aggiunta, stante il fattore dell’interdipendenza delle economie dei Paesi UE, una cooperazione decisa, rapida e coordinata tra i Governi nazionali è auspicabile, se non necessaria, al fine di garantire quella «dinamica della ripresa in ciascuno Stato membro»  in grado di incidere positivamente sulla crescita economica degli altri. L’importanza di un aspetto simile è stata sottolineata a più riprese da diversi rappresentanti delle Istituzioni europee: tra questi, il Vicepresidente esecutivo per Un’economia al servizio delle persone, Valdis Dombrovskis, il quale, nel sottolineare la «la gravità dello shock da coronavirus per le nostre economie», ha posto l’accento sulla stretta dipendenza della ripresa collettiva da «risposte costanti, forti e coordinate a livello nazionale e dell’UE».

Valdis Dombrovskis

Le conseguenze socio-economiche negative provocate dalla pandemia – oltre che i consumi, la produzione industriale, gli investimenti, gli scambi, i flussi di capitali e le catene di approvvigionamento – riguarderebbero anche l’aumento del tasso di disoccupazione. In tale prospettiva, secondo la Commissione europea, nell’ambito dell’Eurozona si passerà dal 7,5 % del 2019 al 9½ % nel 2020, per poi scendere nuovamente all’8½ % nel 2021; per quanto concerne l’UE, invece, si prevede un incremento dal 6,7 % del 2019 al 9 % nel 2020, per poi calare all’8 % circa nel 2021. Nonostante le diverse misure politiche adottate al fine di limitare la perdita di posti di lavoro, come le integrazioni salariali e il sostegno alle imprese, gli effetti asimmetrici provocati dal diffondersi della pandemia in contesti economici nazionali diversi determineranno un aumento maggiore della disoccupazione in alcuni Stati membri, in particolare quelli che presentano «una percentuale elevata di lavoratori con contratti a breve termine e quelli in cui gran parte della forza lavoro dipende dal turismo».

In tale contesto, un fattore di particolare preoccupazione per la tenuta finanziaria dell’UE, soprattutto della zona euro, è rappresentato dall’incremento dei disavanzi eccessivi e dei debiti pubblici. In tal senso, la sospensione delle regole del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) e l’attivazione della clausola di salvaguardia generale da parte della Commissione europea, se da un lato ha fornito agli Stati membri la possibilità di prevedere in modo rapido e deciso misure fiscali senza il rischio di incorrere nell’attivazione della procedura di infrazione per la violazione dei relativi valori di riferimento, dall’altro lato ha prodotto un incremento della spesa pubblica. Ciò comporterà una crescita del disavanzo pubblico da appena lo 0,6 % del Prodotto interno lordo (Pil) del 2019 a circa l’8½ % nel 2020, prima di scendere al 3½ % circa nel 2021; in aggiunta, si prevede un aumento del rapporto debito pubblico/Pil, nell’Eurozona, dall’86 % del 2019 al 102¾ % nel 2020, per poi diminuire al 98¾ % nel 2021, mentre nell’UE aumenterà dal 79,4 % del 2019 al 95 % circa quest’anno, per poi scendere al 92 % l’anno prossimo.

L’incertezza che, nella norma, caratterizza le previsioni economiche della Commissione europea risulta notevolmente aggravata, in questi mesi, a causa delle diverse ipotesi concernenti l’evoluzione della pandemia. Sebbene siano stati fatti dei passi avanti – nell’ambito della cooperazione tra gli esecutivi nazionali – in seno al Consiglio europeo e all’Eurogruppo in materia di azioni volte a fornire una risposta finanziaria alla crisi imperniata sulla solidarietà, le prossime settimane indicheranno con chiarezza la direzione che gli Stati membri intenderanno intraprendere nel contrastare gli effetti negativi provocati dal fenomeno epidemiologico. A tal proposito, la nuova sfida della pandemia rivela in maniera ancora più netta la necessità di progredire nel processo di integrazione europea, attraverso il raggiungimento di quell’unione politica tra gli i Paesi UE che rappresenta un requisito essenziale per favorire ed incrementare, nel presente e nel futuro, la fiducia degli investitori esteri sulla solidità del contesto comunitario.


 

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