Libia, il GNA conquista la base di Al-Watiya, duro colpo per Haftar

 
 

Mentre il mondo è ancora alle prese con la pandemia, in Libia prosegue la guerra e lo scenario si fa sempre più complesso. In quella che ormai è con tutta evidenza una guerra per procura, lo sponsor del governo di Tripoli, la Turchia, ha permesso a Fayez Al Sarraj di assestare un altro duro colpo al generale della Cirenaica Kalifa Haftar. Se fino a pochi mesi fa la situazione sul campo era completamente ribaltata ad oggi la conquista della capitale per il generale diventa un obiettivo sempre più difficile da raggiungere. 

È notizia di pochi giorni fa, durante l’operazione “Vulcano di Rabbia”, la presa della base di al-Watiya, 140 chilometri a sud-ovest della capitale libica, al confine con la Tunisia. Al-Watiya, fino ad ora nelle mani delle milizie di Haftar, rappresentava uno degli avamposti  strategici per l’avanzata verso Tripoli. Il merito di questo successo va certamente all’impiego dei droni d’assalto turchi, che hanno fatto da copertura aerea alle brigate del Governo di Accordo nazionale (GNA).  Al loro ingresso la base era già stata evacuata. Secondo indiscrezioni riportate dai media libici, sarebbe stata intavolata una trattativa con le città di Zintan e Al Rujban per consentire alle forze di Tripoli di ottenere questo importante risultato senza spargimenti di sangue. Le milizie del GNA, hanno trovato in uno degli hangar dello scalo un Pantsir russo. I Pantsir sono missili semoventi terra-aria di media portata e di artiglieria antiaerea di fabbricazione russa, usati dalle forze del generale Khalifa Haftar per difendere la struttura. Nei giorni scorsi altri Pantsir russi sono stati distrutti dai raid turchi. 

Presa questa importante base strategica il governo di Tripoli – o sarebbe meglio dire la Turchia – può adesso vantare il controllo sullo spazio aereo dell’intero ovest della Libia e secondo alcuni analisti Al Watyia potrebbe diventare una base d’appoggio o di rischieramento per i caccia F16 turchi.

Al-Serraj stesso ha commentato la vittoria descrivendola come «la liberazione da bande criminali» e ha aggiunto che questa «vittoria non segna la fine della battaglia, ci porta soltanto più vicino al giorno della liberazione di tutte le città, e di tutte le regioni e all’eliminazione del progetto di dominazione e tirannia».

L’attenzione infatti adesso si sposta a sud–ovest della capitale, su Tarhuna, altra città molto importante per il generale perché ultimo appoggio logistico per l’offensiva su Tripoli, ma già da settimane sotto assedio che, se dovesse cadere nelle mani del GNA, metterebbe un punto alle mire espansionistiche sulla capitale da parte di Haftar. Già ieri l’Esercito nazionale libico ha dovuto ritirarsi da alcuni settori del fronte di Tripoli. Il portavoce del LNA, Ahmed al Mismari, ha minimizzato parlando di un “riposizionamento” e sottolineato che l’esercito «continua a combattere e ha le capacità necessarie per liberare Tripoli dalle milizie criminali ed estremiste e dai mercenari siriani filo-turchi».

In realtà, i recenti successi militari di Serraj e della Turchia hanno assestato un duro colpo all’uomo forte della Cirenaica e hanno preoccupato, e non poco, i suoi alleati. Gli Emirati hanno aumentato i rifornimenti di armi, droni e di missili antiaerei. Il principe Mohammed bin Zayed ha fatto trasferire anche materiale militare in Egitto, da cui poi le armi proseguono via terra per la Libia. La Russia invece ha iniziato ad arruolare in Siria dei miliziani siriani, membri (spesso giovanissimi) dei gruppi sciiti assadisti, da schierare in Libia.

Come appare evidente, da entrambe le parti si continua a parlare con le armi, in barba all’embargo voluto dall’Onu e della missione Irini messa in piedi dall’Unione Europea per farlo rispettare. La missione, che dovrebbe bloccare l’arrivo di armi in Libia che riforniscano le due parti in conflitto, ha già trovato non pochi ostacoli. 

Sul fronte europeo si è già registrata la defezione di Malta. Il Governo de La Valletta, pur avendo addotto questioni finanziarie, teme che in caso di un’eventuale ripresa dei flussi migratori, la Guardia costiera libica non collabori più nel blocco delle partenze e scarichi la gestione dei flussi sulle autorità maltesi. 

Sul fronte libico ad essere particolarmente indispettito dalla decisione di mettere in piedi Irini è proprio Al Serraj il quale sostiene che, essendo una missione sostanzialmente navale, finirebbe col bloccare solo i rifornimenti che arrivano via mare dalla Turchia e non quelli ad Haftar che giungono in Cirenaica via terra dall’Egitto e per via aerea dagli Emirati.

Mentre l’Europa prova nuovamente a darsi un ruolo all’interno del conflitto libico e gli sponsor internazionali muovono le proprie pedine per spartirsi il territorio, i civili continuano a morire, gli ospedali ad essere bombardati (solo dall’inizio del 2020 l’Onu ha registrato 17 attacchi contro strutture sanitarie) e la situazione umanitaria nel paese diventa sempre più drammatica, ma questo pare essere l’ultimo dei problemi per tutti gli attori in gioco.